Blue Willa    
di e. g. (no ©)




foto_di_Angelica_Gallorini
Maestrina: Vediamo se hai studiato, chi sono i Blue Willa?
Alunno: Vediamo se ho capito... i Blue Willa sono i Baby Blue 1 bassista e 3 dischi dopo.
Maestrina: Esatto, ma sei troppo schematico... cerca di elaborare l'argomento... e mettici un po' di fantasia, che non guasta mai.
Alunno: Posso provarci, ma la vedo dura....
Quella che dai Baby Blue porta ai Blue Willa, al di là della sostituzione del bassista Duccio Barberi con Lorenzo Maffucci e al di là del Baby spostato in coda e mutato in Willa, è la storia di una maturazione, e utilizzo questo termine - maturazione - consapevole che si può prestare a più di un equivoco.
Quello dei Baby Blue non era infatti uno stato di immaturità , artistica o tecnica, e il loro primo mini CD omonimo, con canzoni pienamente compiute come Ice Cream, Alligator e River ( quest`ultima poi ripresa anche nel successivo “Come!”), è chiara dimostrazione di una personalità già formata ed esuberante.
Il loro era piuttosto definibile come uno stato adolescenziale, segnato dalla spensieratezza, dove il rock e il blues si incontravano con la filastrocca (Alligator, Suga, Far From Home, All You`ve Known, Don`t Ask Me Why, All Right...) o con reminiscenze punk (Miss...).
Quindi per loro non c`è stato niente di simile alle mutazioni bruco / farfalla o girino / ranocchio, ma potrei invece azzardare un paragone con quelli che sono il cucciolo di gatto e il gatto adulto. Il primo già caccia, soffia, rizza il pelo, miagola, morde e graffia, alla stessa maniera dell`adulto, solo che è più giocoso o, meglio, meno serio.
Dovendo scegliere un punto di rottura, o di passaggio, in un percorso comunque lineare, questo è chiaramente da individuare nella litanie di nastri al rovescio che fanno da coda in Porto Palo, brano che chiudeva il terzo CD dei Baby Blue “We Don`t Know”.
foto_di_Angelica_Gallorini Con “Blue Willa”, fermi restando i motivi che hanno generato il gruppo, si assiste a un incupimento delle atmosfere. Il disco è più duro dei precedenti, ma non si tratta affatto di un disco hard rock, ed è un pugno nello stomaco, o meglio è come una pietanza difficile da digerire.
Il gruppo si addentra in quei bayou, gli stessi attraversati dai neri americani in fuga dalla schiavitù, che in precedenza aveva studiato dai margini o attraverso contenute incursioni.
“Blue Willa” è un disco sofferto, tormentato, malato, dai suoni dilatati, psichedelici vien da dire, ma di una psichedelia virata in psycho. Sicuramente un buon contributo a questa maturazione l`ha dato la produzione di Carla Bozulich, niente da eccepire comunque rispetto al precedente lavoro svolto da Paolo Benvegnù e Alessio Pepi, ma sono convinto che il team toscano sarebbe comunque approdato esattamente lì, a quel crocicchio johnsoniano, Bozulich o non Bozulich. Diciamo che la musicista americana è stata un mezzo, necessario per raggiungere un dato obiettivo, e non una guida.
Quello che porta dai Baby Blue ai Blue Willa è anche il viaggio di un gruppo di giovani amorati dell`america e partiti alla ricerca di una propria America. Una propria America che scoprono essere forse diversa da quella dell`amoramento iniziale, più povera in $ e più ricca in tribolazioni, un`America che parte dai canti di sofferenza e fatica dei deportati neri nelle piantagioni e dai rituali degli indomiti popoli nativi per arrivare al blues degli ex-schiavi trasformati in hobo girovaghi.
foto_di_Angelica_Gallorini L`unico neo in questa percorso scevro da compromessi, a voler essere eccessivamente severi, sta nell`aver accettato il sinistro sistema dei concorsi assoggettandosi alla logica del rock contest.
La strada è l`unico vero test, il bagno di sudore con il proprio pubblico, la fatica accumulata nei tour, altrochè giurie e giurie, meglio lasciare che gli esami e i voti restino materia scolastica e i concorsi materia impiegatizia....
«Nous c'est dans la rue qu'on la veut la Musique!»... così cantava Léo Ferré, e questo è ancor più vero per la musica rock.

Maestrina: Potrebbe andare, se non fosse per una vena troppo polemica e per un'esposizione troppo contorta ed ermetica... non si capisce bene cosa vuoi dire!
Alunno: Forse è meglio sentire direttamente i componenti del gruppo....


Da Baby Blue a Blue Willa, ha a che fare con l`arrivo di Lorenzo Maffucci o c`è dell`altro?
Lorenzo: Dal mio punto di vista so bene che chiaramente c'è dell'altro. In generale mi verrebbe da dire che sia più corretto associare un preciso nome (per quanto senso o nonsenso possa mai avere un nome, una parola) a un preciso nucleo di persone che in un preciso momento sta dando gambe a un progetto preciso. Consideriamo comunque che ci troviamo a fare roba in un sotto-mondo, quello del "rock" "underground", che è sporco per definizione, e quindi è con una teoria di approssimazioni che dobbiamo avere a che fare ogni giorno mentre cerchiamo disperatamente di non perdere il filo. Abbandonare "Baby" e guadagnare "Willa" (che è il nome di un personaggio del film "La morte corre sul fiume") ha forse a che fare con l'ingresso nella preadolescenza: i Baby Blue sono esistiti per quasi otto anni e sono quindi arrivati a essere piuttosto grandicelli. A questo si sommano diverse ragioni molto più spicciole e meno interessanti, per esempio casi di omonimia con altri musicisti, sintomi della difficoltà nel farsi trovare su internet e faccende di questo tipo. La spinta in direzione del cambiamento l'ha data ancora una volta Carla Bozulich, che si è sbilanciata provando a indicarci la possibilità di un nuovo segnale anagrafico oltre che di senso sonoro.
Mirko: E` stato anche una sorta di processo di purificazione, doloroso ma salutare: abbiamo dovuto superare la paura di ripartire in qualche modo da zero, lasciandoci alle spalle molti anni di lavoro come Baby Blue e proponendo al contempo un materiale che, rispetto agli album precedenti, probabilmente richiede all'ascoltatore una partecipazione e un'attenzione maggiori. Per riuscire a portare a termine questo processo è stato necessario credere ancora di più in noi stessi ed impegnarci ancora più a fondo. All'inizio ne siamo usciti destabilizzati, ma adesso siamo in grado di vedere chiaramente quanto tutto ciò ci abbia fatto bene.

Quindi l`influenza del cinema nella vostra musica non si è affatto dissolta?
Mirko: No, ma direi che si è spostata. Rispetto ai Baby Blue, questo disco è decisamente più visionario: a posteriori mi sembra che abbiamo usato soluzioni per così dire più slegate dalle convenzioni musicali e forse più vicine ad altre arti. E` stato spesso tirato in ballo il teatro, ma credo che molte soluzioni sonore (soprattutto grazie agli interventi di Carla che usa il suono in modo molto materico) siano vicine anche alla pittura; nei testi continuiamo ad usare le immagini come strumento principale e nelle atmosfere molto marcate del disco ci siamo avvicinati più che mai al cinema.foto_di_Angelica_Gallorini
C'è da precisare che sono comunque tutte considerazioni a posteriori: durante la fase di scrittura, arrangiamento, registrazione e mixaggio non abbiamo mai ragionato in questi termini, abbiamo solo cercato di essere continuamente presenti a ciò che stavamo facendo.
Lorenzo: Il riferimento esplicito a “La morte corre sul fiume” (cioè “The Night of the Hunter”) è stato un punto di convergenza per una serie di coincidenze: l`affezione a questo film da parte nostra è individuale e per percorsi diversi, ma la potenza delle sue immagini, per combinazione, raffigurava in maniera sintetica e precisa gran parte del senso complessivo che stava emergendo dai testi e dalle atmosfere del disco già nelle sue fasi iniziali. Inizialmente avevamo preso in considerazione l`immaginario del film in maniera aperta anche per il progetto dell`artwork, poi abbiamo lasciato carta bianca a Cuore di Cane, l`artista che ha realizzato l`illustrazione in copertina. Quel film, comunque, è talmente classico, un pilastro universale: parlando con Carla Bozulich durante la produzione del disco si è scoperto che lei aveva utilizzato più volte in concerto un campionamento del monologo iniziale di Robert Mitchum: «Well now, what's it to be Lord? Another widow? How many has it been? Six? Twelve? I disremember. You say the word, Lord, I'm on my way... You always send me money to go forth and preach your Word. The widow with a little wad of bills hid away in a sugar bowl. Lord, I am tired. Sometimes I wonder if you really understand. Not that You mind the killin's. Yore Book is full of killin's. But there are things you do hate Lord: perfume-smellin' things, lacy things, things with curly hair.»

Trovo che “Blue Willa” abbia qualcosa di sciamanico... cosa ne dite?
Mirko: Quando componiamo e quando suoniamo siamo innanzitutto gli sciamani di noi stessi: è un processo del quale non abbiamo il controllo e che lavora essenzialmente attraverso i nostri corpi. Quando riesce per noi è un vero e proprio rito purificatorio; se attraverso di esso riusciamo a penetrare anche gli abissi degli spettatori vuol dire che abbiamo svolto il nostro compito.al_Primavera_Sound
La musica ha l'immenso potere di essere un ponte verso lo spirito e verso gli spiriti che abitano in noi, e nonostante i contesti, i mezzi e le nostre stesse debolezze spesso ci restringano la visuale, per noi sarebbe persino disonesto non riconoscere questo potere e non sentire l'enorme responsabilità di doverlo utilizzare e gestire in modo appropriato, in tutti i sensi.
Serena: E` un po' come ricreare le sensazioni di un racconto o di un viaggio, qualcosa che dai, lasciando che prenda forma e che trovi la sua narrazione solo nell'intimo dell'ascoltatore, è come cercare di raccontare un odore o rappresentare il volo di uno stormo di uccelli, mani, guanti e volti nel cielo che lasciano alla mente lo spazio per slanciarsi e incendiare allo stesso tempo.

Quant`è stato importante lavorare con Carla Bozulich... o meglio: il vostro ultimo disco sarebbe stato molto diverso senza la sua presenza alla consolle?
con_Carla_Bozulich Serena: Lavorare con Carla ha aperto a ciascuno di noi enormi squarci di atmosfera e paesaggi; ha saputo guidare questi pezzi e noi in una lunga passeggiata sott'acqua; senza di lei credo che avremmo tentato di divertirci il più possibile a giocare con quello che uno studio di registrazione può offrire e col bagaglio e le inventive di tutti... ma rischiavamo di perderci l'immersione subacquea!
Mirko: Ovviamente è impossibile dire come sarebbe stato il disco senza la sua presenza, ed è molto difficile anche solo immaginarcelo, perchè tutto si è svolto in maniera così naturale che a posteriori ci pare che non sarebbe potuta andare diversamente.
Sapevamo la direzione nella quale doveva andare questa musica e di quali atmosfere necessitava l'album, ed è anche per questo che abbiamo chiesto a Carla di produrlo. E` bastata una email inviata da Prato a New York per spiegarle le nostre intenzioni, e da allora tutto ciò che lei ci ha via via proposto ci è sembrato assolutamente naturale, ovvero ciò che avremmo fatto noi se avessimo saputo come si fa.
Ogni volta che ci mettevamo al lavoro Carla si trasformava, diventava quell'intensità palpabile che si sente nella sua musica. Quella intensità è stata un preziosissimo carburante per tutta la lavorazione dell'album, e i suoi interventi non sono mai risultati invasivi proprio perchè quello che avveniva non era un'imposizione o una spinta verso una direzione prestabilita, quanto piuttosto una specie di circuito elettrico che coinvolgeva tutti e all'interno del quale si suonava, accadevano cose e nascevano le idee. Credo sia stato questo il suo contributo più importante.
Lorenzo: In effetti non abbiamo chiaro esattamente cosa sia successo, ma all`ascolto è evidente che qualcosa si è trasformato. Confrontando le registrazioni grezze dei pezzi, che avevamo mandato a Carla per darle un`idea del punto a cui ci trovavamo, e i risultati raccolti in questo disco (per quanto strano, disassato e fuori linea rispetto a tante produzioni indipendenti di oggi), si ha la sensazione di essere stati rovesciati una volta e poi ancora una volta. Le canzoni quindi sono di nuovo in piedi apparentemente nella stessa maniera, ma di fatto è successo che qualcosa dentro si è spezzato, aggiustato, tagliato, fatto male, goduto, sbriciolato, addensato, e questo ha fatto la differenza.

Ci sono altri nomi con i quali vi piacerebbe lavorare... ovvero: se la Bozulich non fosse stata disponibile a chi vi sareste rivolti?
Mirko: Howe Gelb! Quando ascoltai "Cover Magazine", rimasi sconvolto dal fatto che si potesse suonare e concepire gli arrangiamenti in quel modo. Me ne sono accorto solo in seguito, ma quello è stato assolutamente uno degli album che più mi hanno spinto a suonare e a comporre, e mi rendo conto che ancora adesso continua ad influenzare il mio modo di vedere la musica.

Da dove provengono i blues, intesi sia come musica sia come umori, che vi scorrono nelle vene?
Serena: La sinuosità disperata e stritolante del blues mi ha scosso fin dalla prima volta che le mie orecchie capitassero lì ed è stato un amore a prima vista, con tutte le regole di un amore a prima vista: le farfalle, la passione, l'imbarazzo, l'impazienza, la gelosia... Lo ascoltavo senza capire le parole, giusto qualche dittongo e seguivo le melodie, semplici e penetranti, capaci di illuminare dei percorsi, è un canto catartico, dondolante e che fa bene all'anima. Sembrava di seguire il corso di un fiume, di una storia.
Mirko: E` sempre difficile definire cosa sia il blues. Per me alla base c'è uno slancio pieno di passione verso qualcosa che potremmo chiamare 'libertà '; questa libertà , terrena e spirituale, è a un passo, tangibile, ma è ostacolata da uno stato di schiavitù che di volta in volta può identificarsi con l'amore perduto o non corrisposto, l'impossibilità di raggiungere Dio o le catene dei lavori forzati. Il lamento che deriva da questa condizione, che non diviene mai lamentela o depressione ma piuttosto la voce della propria umanità ferita, potrebbe essere il blues.
Noi quattro siamo nati quando gli attuali sistemi capitalisti-nazisti si sono palesati, sono entrati dentro le persone e poi hanno iniziato ad incrinarsi, e abbiamo raggiunto l'età adulta nel momento in cui hanno iniziato a crollare - speriamo - definitivamente; quindi quel lamento che era un tempo di Robert Johnson, Washington Phillips, Skip James, Blind Willie Johnson,foto_di_Sharon_Nicotera oggi è sicuramente nella nostra musica e lo sentiamo particolarmente vicino, perchè da un lato vediamo che la libertà è a un passo, dall'altro le catene dentro le nostre teste sono ancora molto difficili da rompere.

Serena ha avuto una parentesi come cantante dei Mariposa che, in linea di massima, hanno testi in italiano... e anche come Baby Blue ha reinterpretato una canzone di Iosonouncane con testo in italiano....
Volevo chiedergli se è più difficile cantare in italiano o in inglese... e anche se l`esperienza con i Mariposa è destinata a proseguire....

Serena: Dipende dal pezzo e dal testo, è una questione di abitudine; ciascuna lingua offre sviluppi e sfumature interessanti per la voce, ma forse in fondo in fondo tutte le lingue sono un po' innaturali per il canto. La voce sarebbe libera dalla scelta di una lingua, sono la musicalità e l'intensità che non possono mancare; mi son ritrovata a interpretare dei pezzi che già adoravo, musicali e intensi, per cui superare questa barriera è stato divertente e più semplice. Per quanto riguarda i Mariposa spero di rifarci presto una cantata.

A proposito di musicalità dei testi... succede abbastanza spesso che i gruppi rock anglosassoni impiegano delle parole o delle frasi che sono assolutamente fuori contesto, dei non-sense utilizzati unicamente per il loro suono... foto_di_Angelica_GalloriniAccade anche a voi, o i vostri testi raccontano comunque e sempre una storia o delle emozioni?
Mirko: Per quanto mi riguarda non mi pongo il problema del senso. Quello che mi interessa è che i nostri testi e la nostra musica riescano ad aprire delle porte: dove poi queste porte conducano non possiamo deciderlo noi ed è bello così.
Finora ho trovato un solo metodo di scrittura che mi garantisce un risultato sincero ed efficace ai miei occhi: inizio con una frase che mi è uscita fuori automaticamente mentre stavo improvvisando e della quale mi fido per istinto. Il gioco è continuare quella frase senza fermarsi a pensare - l'inglese è ovviamente un ottimo alleato da questo punto di vista -, cercando di rimanere all'interno dello stesso flusso di ispirazione fino a quando il testo non è finito. Ciò a cui mi stavo riferendo nel testo di solito riesco ad interpretarlo nei dettagli solo mesi dopo, e così scopro delle cose, ma tutto continua a rimanere comunque qualcosa di fluido, che può cambiare il giorno successivo in base a mille fattori. Le interpretazioni degli altri di solito sono molto diverse dalle mie, e questa per me è una cosa meravigliosa.
Serena: Non mi pongo il problema del senso prima ancora di scrivere qualunque cosa, cascherei dall'intento.foto_di_Angelica_Gallorini
Spesso è un suono o due a dare vita a tutto un testo o a delle sillabe, però che abbia senso o no, non so cosa altro può smuovere la scrittura di un testo e una melodia, anche al livello più embrionale, anche una sola parola che rotola, se non il desiderio di raccontare e fermare una piccola visione, un brivido nella schiena, un brutto sogno o un bellissimo sogno, uno sguardo, un gatto.

Blue Cats potrebbe essere un bel suggerimento per quando deciderete di cambiare nuovamente nome.... nelle vostre canzoni appaiono abbastanza spesso riferimenti a esponenti del 'parlamento' animale... Che tipo di rapporto c'è fra voi e quel mondo? E, restando in tema, pensate di essere degli 'animali da palcoscenico`?
Lorenzo: Animali e animaletti: basta stare attenti a non ingabbiarli in metafore troppo strette, ma a posteriori sono stati effettivamente così presenti e pertinenti a tanti sentori che abbiamo accumulato in questo disco da chiedersi dove sia finita la cattività loro e dove sia cominciata la nostra. E` banale a dirsi ma è vero: il palco è il luogo in cui i guinzagli si allungano, le sbarre si allargano, i basti si alleggeriscono, e acquista senso tutta la strana manfrina che un gruppo porta avanti attraverso i verdi pascoli della musica moderna.
Mirko: Fin da quando ero piccolo ho sempre avuto un grande interesse per gli animali. Il semplice fatto che esistano, il modo in cui si comportano, il modo in cui sono fatti e in cui si relazionano a ciò che li circonda, tutto ciò mi è sempre parso miracoloso, misterioso e affascinante. Ed è così che sono venuti fuori nei testi di questo album, come una sorta di passaggio verso un mondo altro, quasi magico, ma che di volta in volta può diventare esemplare, destabilizzante, inquietante o salvifico. Oggi più che mai trovo evidente il fatto che osservando attentamente gli animali si può attingere ad un oceano di saggezza e buon senso che può esserci estremamente utile in tutti i campi, e anche nel fare musica. "Ascolta gli uccelli" è il primo comandamento dei chitarristi di Captain Beefheart: «That's where all the music comes from. Birds know everything about how it should sound and where that sound should come from. And watch hummingbirds. They fly really fast, but a lot of times they aren't going anywhere.»
Serena: Sono impaurita e incuriosita da loro, come credo lo siano loro da noi; mi viene di chiudermi tra le spalle di fronte ad un istinto così secco, ampio e senza filtro.
Se potessi diventare un animale sul palco allora vorrei essere un gatto randagio dal pelo lungo, lunghissimo.

Avrei potuto scommettere sul gatto di Serena, ma gli altri in quale pelle (o penne... o squama.... o altro...) si sentirebbero più a proprio agio?
Lorenzo: Siccome non credo nella reincarnazione ma in una roba simile, penso che al prossimo giro se potessi essere una bestia marina qualunque mi riuscirebbe forse di superare lo stress da masse di acqua eccessivamente grandi che accompagna questa porzione della mia vita su questa terra.
Mirko: Dietro alle cascate Kaieteur in Guyana c'è una caverna enorme, nella quale milioni di rondoni vanno a riposare. Per entrarci devono volare dietro all'acqua, che ne sbarra l'entrata, così nessuno a parte i rondoni può entrarci o sapere cosa ci sia all'interno. Vorrei essere uno di quei rondoni lì: vivrei in Sud America, sarei in grado di volare e di cinguettare e potrei vedere cosa c'è dentro quella caverna.

Sempre a proposito di animali, trovo che siete molto 'camaleontici'... nel senso che vi adattate a suonare sia in acustico sia in elettrico, oltre alle situazioni intermedie che ci sono fra i due poli, e penso che questo porti ad aumentare il vostro lavoro... cioè ogni brano deve essere arrangiato in tre, quattro o cinque versioni.foto_di_Angelica_Gallorini Sicuramente questa vostra adattabilità vi procura molte più occasioni di suonare ma, vi chiedo, il gioco vale la candela? Cioè le occasioni di suonare sono tante di più da giustificare il maggior impegno richiesto?
Serena: Acustici ci siamo nati nel senso che l'embrione dei pezzi è sempre acustico, secco, stilizzato..a tu per tu; siamo dell'idea che se un pezzo è ben scritto deve poter stare in piedi in tutte le salse (sarei curiosa di sentire un remix per esempio di alcuni pezzi nostri). Non mi pare ci sia un'unica dimensione in cui noi possiamo dire "noi siamo così o dovremmo essere così per essere apprezzati" e nemmeno ci sono situazioni o soluzioni ambientali e musicali per cui dovrebbe essere o risultare in un modo preciso la nostra musica..non ci accontentiamo e ci adattiamo perchè è stimolante e perchè per noi è un momento di superamento e di improvvisazioni e spiazzamenti, esploriamo le possibilità che una canzone in una situazione può dare. Il contesto può anche non contare e di solito non attenua la nostra foga di partire con il pubblico lontani.
Mirko: In realtà le occasioni di suonare in acustico o semi-acustico sono poche, così tendiamo ad essere molto meno sistematici nel lavorare su quell'aspetto, affidandoci ancora più del solito all'istinto e all'improvvisazione e confidando nell'energia e nell'attenzione che riusciremo a metterci al momento dell'esibizione. Quando ci capita un concerto a bassi volumi riusciamo a dedicargli una o al massimo due prove nei giorni precedenti; non riarrangiamo i pezzi, ma proviamo semplicemente a capire, tramite qualche tentativo e qualche variazione dettata dall'ispirazione del momento, se e come riusciamo a farli stare in piedi utilizzando un suono più asciutto, volumi più bassi ed una batteria ridotta. Di solito si tratta semplicemente di suonarli con un sentimento diverso e di cercare di conservare quel sentimento per riproporlo al concerto. E` un tipo di lavoro che, anche se ci capita di rado di fare, risulta molto utile anche quando torniamo a suonare in elettrico.foto_di_Antonio_Viscido
Lorenzo: Poi non si può non considerare il fatto che il circuito dei concerti per così dire underground in cui ci troviamo a girovagare è per sua natura, nel bene e nel male, praticamente sempre un'approssimazione piuttosto rilassata della situazione ottimale. Ogni tempo e luogo cercano risposte diverse, diversi volumi, diverse impostazioni dei potenziometri; ogni fonico e ogni promoter cercano di orientare il nostro suono (che, nella maggior parte dei casi, riesce a rappresentare in modo più preciso il senso del progetto quando abbiamo la possibilità di percorrere escursioni di dinamica che ci fanno arrivare ad alti volumi) nella direzione che ritengono migliore per il locale, per il pubblico, per le proteste del vicinato, per far sì che la serata "funzioni", per non suonare più forte degli headliner o più piano del gruppo spalla, perchè non c'è spazio per la batteria, perchè non c'è abbastanza corrente eccetera. La soglia del compromesso, in questi casi, è chiaramente piuttosto bassa, ma abbiamo imparato negli anni a cogliere l'aspetto divertente della limitazione e a giocare il più possibile sui margini di queste situazioni intermedie, considerando che maggiore intensità di volume non equivale necessariamente a maggiore intensità di performance. E` realistico, e in un certo senso auspicabile, che in futuro sempre più progetti di musica d'insieme si svilupperanno in orizzontale e troveranno il modo di organizzarsi per una guerriglia che si potrà fare da soli (con la chitarrina o le macchinette), in duo, in power trio, in quartetto, in quintetto con chitarre a iosa, con o senza fonici o disegni di luci o videocose, archi o fiati, a seconda dei soldi, delle superfici eccetera.foto_di_Pamela_Maddaleno Sembra una cosa triviale, frustrante, ma in realtà non è che una occasione di sondare il terreno sempre più in profondità . Il tutto conferisce significati più precisi alla parola "riarrangiamento".

State suonando molto, anche all`estero.... Qualche impressione e, soprattutto, come viene accolta la vostra musica?
Lorenzo: A volte mi viene in mente la famosa frase dei Throbbing Gristle «We Guarantee Disappointment»: capita spesso di non coincidere con le aspettative, e questo è già , penso, un risultato interessante. La nostra musica, nel momento in cui si manifesta sulla scena, è tutta corpo, viscere. Chi si abbandona a quest'idea e ci segue trova un luogo confortevole in cui perdersi. Chi cerca appigli o metrica diritta spesso resta frustrato, perchè il percorso è accidentato e scivoloso e a ogni passo siamo tutti sull'orlo di cascare giù. Più il contesto prescrive festa e "pigliabenismo", più questa sensazione è evidente. Il primo maggio di quest'anno abbiamo suonato nel tardo pomeriggio in una grossa festa in un ippodromo alle porte di Brescia: famiglie, vecchi e giovani, mercatini, passanti. A metà del nostro concerto un signore, in birra veritas, viene sotto il palco e comincia a gridarci addosso: "PARANOIA!". Tra gli obiettivi resta la discrepanza, ma chiaramente non è conflitto quello che cerchiamo. Amore e fiducia ritornano e migliorano il concerto stesso, sul piano emotivo e su quello tecnico. Non di rado ci sentiamo un po' i marziani di turno, e fuori dall'Italia, per quanto conta la nostra piccola esperienza, questa sensazione è ancora più evidente, ed è anche il motivo che ci spinge a proseguire, ad approfondire, a spostarci più in là che possiamo, a condividere un reciproco spaesamento.Blue_Willa_&_Blue_Danube
Mirko: Credo che, parallelamente all'estremizzazione della nostra musica, si sia anche estremizzata e moltiplicata la varietà di reazioni che riceviamo dal pubblico. Spesso notiamo molte facce perplesse o indifferenti, altre volte una forte curiosità e una grande attenzione. E` soprattutto una questione di contesti: in Italia quello che suoniamo viene spesso recepito come qualcosa di ostico, soprattutto perchè di difficile catalogazione, ma in un festival di musica sperimentale in Austria ci siamo sentiti il gruppo di gran lunga più leggero, più popolare, e la gente ci ascoltava col sorriso sulle labbra. Talvolta qualcuno ha notato che guardando un nostro concerto risulta difficile riuscire ad "entrarci dentro" ma poi, ritrovandoci in un fantastico Irish Pub in Repubblica Ceca abbiamo suonato per un pubblico che, seppur ridotto, ha partecipato come fosse un concerto dei Led Zeppelin, chiedendoci addirittura un bis e un solo di batteria un'ora dopo che il concerto era finito. In Casentino, poi, ci siamo commossi per i commenti di un signore ottantenne che, dopo aver assistito al concerto, sembrava aver capito meglio di noi quello che facciamo.foto_di_Angelica_Gallorini
Capita veramente di tutto, ma in generale non possiamo fare a meno di notare che più la situazione è inusuale, fuori dagli schemi, lontana da quei luoghi dove c'è una marcata distinzione -e spesso una distanza anche fisica- fra chi sta sul palco, chi organizza l'evento e il pubblico più o meno pagante, più è facile divertirsi tutti insieme e non perdere di vista il senso di quello che stiamo facendo.
Serena: Suonare all'estero è anche un'integrazione dell'adolescenza, un sentirsi più in mezzo agli altri, più addosso agli altri. L'Europa in fondo è appena dietro le montagne. E` un piccolo riscatto, un momento in cui si indaga sui nostri limiti. All'estero mi pare molto meno patinata la situazione: arrivare montare e suonare dove sei, e basta una ciabatta dell'elettricità . E` semplice, comprensibile ed è quello che serve. La magia è nella bettola con la nebbia intorno (come in tutte le storie di vampiri!), o forse è quando la gente sa che sei nessuno e un'opportunità te la vuol dare e gliela strappi via con le unghie, o è che non si aspettano nulla, fatto sta che di chilometri ne macini e quando scendi dalla macchina è lì che c'è il motivo per cui ti sei alzato la mattina, per cui in poche ore si concentra il succo di quattro vite raccolto in un'intera giornata e tanta voglia di suonare è come tanta voglia di fare all'amore; è un'onda che investe noi e di conseguenza il pubblico, e il linguaggio è puramente e unicamente musicale e per me è più facile. Mi sembra che alle volte, a seconda della scaletta, il pubblico sia spiazzato o quanto meno col capo inclinato e che sia lo spaesamento stesso a farli restare lì davanti, come se volessero vedere come va a finire sapendo che sei di passaggio. Torni a casa con gli occhi e le orecchie stracolmi.
foto_di_Angelica_Gallorini
A quando il volo oltreoceano?
Mirko: Sarebbe sicuramente interessante, ma potrà succedere solo quando moriremo dalla voglia di farlo. Per quanto mi riguarda però l'oceano lo attraverserei più volentieri per andare in Brasile che negli Stati Uniti.
Lorenzo: Ancora più memorabile sarebbe una traversata via mare.
Serena: Magari suonare in Giappone!!

Il vostro pensiero su copyright, diritti d`autore e su come le cose vengono gestite in Italia?
Mirko: Noi ci siamo iscritti in fretta e furia alla SIAE molti anni fa, per motivi contingenti alla situazione nella quale ci trovavamo allora e senza pensarci troppo su, ma affidandoci ai consigli di chi era molto più esperto di noi. Questa decisione ha sicuramente segnato e in qualche modo indirizzato il nostro percorso, talvolta limitandoci direttamente o indirettamente e talvolta aiutandoci finanziariamente o aprendoci delle possibilità . Da allora, non essendo mai riusciti a risolvere la questione su cosa sarebbe stato meglio fare per noi, se rimanere iscritti o meno, abbiamo fondamentalmente deciso di seguire il corso degli eventi, che finora non ci ha portato a rivedere la decisione di allora. E` possibile che oggi faremmo diversamente se ci trovassimo di nuovo a dover decidere.
I misfatti e le assurdità del funzionamento della SIAE ormai sono questioni più o meno assodate, ma è altrettanto evidente che la SIAE e il suo modo di agire non possono essere nient'altro che un prodotto della società della quale facciamo parte. Ma anch'essa è a sua volta il risultato dei singoli individui che la compongono e quindi del nostro modo di pensare e agire basato sulla paura (che qualcun altro ci rubi le idee), sul possesso (le idee sono uscite da me quindi sono di mia proprietà ) e sull'esercizio del potere di chi è più forte verso chi è più debole (che corrisponde al modo in cui la SIAE redistribuisce i guadagni). Mi sembra che l'unico modo di cambiare le cose sia rivoluzionare questo modo di pensare, e l'unico modo di iniziare a farlo è partendo da sè stessi. Vedo la SIAE come un prodotto più che come una causa, e perciò per quanto mi riguarda è più utile occuparsi prima delle questioni sopracitate, per fare anche solo dei piccolissimi passi verso un contesto nel quale la SIAE semplicemente non abbia più ragione di esistere.
Lorenzo: La questione andrebbe bilanciata di volta in volta, per esempio a seconda di che percentuale della vita di una persona è dedicata all'attività borderline del musicista. A voler essere duri e puri si potrebbe dire in breve: chi se ne frega di tutelare questa roba, andiamo avanti, facciamo concerti, inventiamoci canzoni, proviamo a sfangarla e vediamo che succede. Fare così, in definitiva, è la cosa giusta. Nella pratica bisogna però distinguere: sei uno che prova a campicchiare girovagando alla disperazione con le proprie musiche? Sei Biagio Antonacci? Sei un ragioniere che il fine settimana va a fare i concerti al pub? Sei uno che fa i jingle per le pubblicità ? Hai un diploma al conservatorio? La somma che un gruppo come il nostro incassa semestralmente a fronte di mesi di concerti, di annuali quote di iscrizione alla Società italiana degli autori ed editori e del lavoro certosino di chi cura le edizioni dei nostri pezzi (e cioè A Buzz Supreme) è in termini assoluti piuttosto risibile, ma non si può far finta che nell'economia sciagurata di un'attività del genere non faccia comodo mettere questi due soldi da parte. Il pensiero di alimentare un sistema contorto e sciocco genera però nell'autore/editore coscienzioso più di una angoscina. E un problema strettamente connesso è: giovani suonatori che cominciano con la band e, mentre tutto intorno il mondo cade a pezzi, si pongono tra le priorità quella di tutelare aggressivamente il frutto delle sudate prove, canzoni che non si sa da dove vengono e figuriamoci se sei sa dove andranno. Con tutti gli auguri di felicità e realizzazione, da una parte sale la rabbia e dall'altra la tenerezza.
Serena: Vorrei tanto associarli a dei vigili del fuoco e invece penso di più a dei vigili ben lontani dal fuoco, a multe, paletti e piedistalli.
con_Carla_Bozulich
Cosa ci riservate per il futuro? State già lavorando al prossimo disco? Punterete ancora sulla Bozulich o vi butterete verso nuove esperienze? Vi confermerete come Blue Willa o traslerete su Willa Holland, Willa di Toscana, Willa Cather, Willage People, Willa la Coyota, o chissà cos'altro?
Mirko: Siamo appena tornati da un tour all'estero e ci accingiamo a farne un altro a Gennaio dopo una manciata di altre date in Italia. Per il resto, l'entità che ha il controllo su di noi in questo momento tace, e per statuto non possiamo intraprendere nessuna nuova strada senza le sue disposizioni. Quindi aspettiamo pazientemente di sapere dove ci porterà ; nel frattempo approfittiamo di questo spazio, che arriva dopo 10 anni di attività senza soste, per disinteressarci finalmente del nostro futuro e del nostro nome.

Letture, ascolti, visioni.....
Lorenzo:
Letture: frequento i libri grossi e leggo quelli piccoli.
Ascolti: tutto quello che per un motivo o per un altro mi fa pensare alle cose successe tra il gennaio 1998 e il dicembre 1999.
Visioni: tutto quello che per un motivo o per un altro mi mette di fronte a cose che ancora non avevo visto, per esempio "2001: odissea nello spazio" o una carcassa di cervo recuperata con un argano dal letto di un torrente.
Mirko: Letture: “Zhuang-zi”, “I Fratelli Karamazov”, “Ricordi, sogni, riflessioni” di Jung, “Valis” di Philip Dick, “Il Castello” di Kafka, “Il Libro” di Mirdad, “Il Mondo è un Matrimonio” di Delmore Shwartz, “Perturbamento” di Bernhard, “Resurrezione” di Tolstoj.
Ascolti: l' “Antology of American Folk Music” di Harry Smith, “The Black Saint and the Sinner Lady” di Mingus, la settima di Beethoven, Carlo Gesualdo, Giacinto Scelsi, Daniel Johnston, Os Mutantes, Tom Zè, Washington Phillips, Angelo Badalamenti, Ernst Reijseger, “The Madcap Laughs”, “The Velvet Underground and Nico”.
Visioni: “I Racconti della Luna Pallida d'Agosto” di Mizoguchi, “Eraserhead”, “Il Paese del Silenzio e dell'Oscurità ” di Herzog, “Il Riccio nella Nebbia” di Norstein, “Ostia” di Sergio Citti, “Il Pianeta Azzurro” di Piavoli.
Serena:
"Fontanelle" Babes in Toyland
"Sketches For My Sweetheart the Drunk" Jeff Buckley
"Unboxed" Free Kitten
"La serpenta canta" Diamanda Galas
"L' idiota" Dostoevskij
"I fiori Blu" Queneau
"I racconti" Calvino
"Vampiretto" Angela Sommer Bodenburg
"E ora qualcosa di completamente diverso" Monty Python
"Harold e Maude" Ashby
"Dracula di Bram Stoker" Coppola
"Fuga dalla scuola media" Solondz

Per chiudere una piccola provocazione rivolta a Lorenzo... ricordo che scrivesti un'ottima recensione al primo mini-CD dei Baby Blue, forse stavi già tramando per entrare nel gruppo?
Lorenzo: Chiaro che sì! Sono stato un fan ossessivo dei BB perchè nel loro percorso ho sempre sentito il filo di una dissonanza che non potevo fare a meno di assecondare. Quando, pochi minuti dopo la mezzanotte del 18 giugno 2010, alle coordinate 43° 54.222', 11° 0.144', Mirko mi ha chiesto di suonare con loro, ho fatto finta per ventiquattr'ore di doverci pensare e poi ho detto "certo".



ANGOLI MUSICALI 2016  

tempi moderni (IIª tranche)  

luca collivasone (intervista)  

John Russell (1954- 2021) nei miei ricordi  

La New Wave of Jazz  

figli di un dio minore: the woodentops  

marino josè malagnino (intervista)  

vonneumann  

figli di un dio minore: ut  

figli di un dio minore: judy dyble  

tre giorni con maria monti  

gianni mimmo  

claudio parodi (intervista)  

i gufi  

figli di un dio minore: hugo largo  

figli di un dio minore: san agustin  

figli di un dio minore: Ã’ë÷åü (hikashu)  

Bourbonese Qualk (intervista a Simon Crab)  

Andrea Belfi & Stefano Pilia (intervista)  

corvo records  

infrantumi: vent`anni dopo  

Rock Over Beethoven - Il Rock Neoclassico  

lili refrain  

vittore baroni  

christoph gallio  

jacopo andreini  

musica moderna  

ladies of the canyon  

tempi moderni  

giacomo salis / paolo sanna percussion duo (intervista)  

hyaena reading (intervista con francesco petetta)  

Baxamaxam  

Xabier Iriondo  

Osvaldo Coluccino  

Osvaldo Arioldi Schwartz (Officine Schwartz)  

Zero Centigrade  

i cantautori  

(la famosa etichetta) Trovarobato  

die schachtel: della maggiore età  

4 donne  

violoncello  

Chaos Tape(S)  

compilation  

D.S. al Coda (the record label)  

Osaka Kyoto Sounds
(con intervista a Go Tsushima dei Psychedelic Desert)
 

(etre) / Wondrous Horse / Harps Of Fuchsia Kalmia  

tamia  

drum, bass... and carmel  

L`Enfance Rouge (articolo e intervista a François R. Cambuzat)  

chinoise (con intervista a Yan Jun)  

figli di un dio minore: ghigo  

figli di un dio minore: fifty foot hose  

figli di un dio minore: ich schwitze nie  

figli di un dio minore: rites of spring / happy go licky  

figli di un dio minore: crust  

figli di un dio minore: antelope  

figli di un dio minore: kletka red  

figli di un dio minore: the blocking shoes  

figli di un dio minore: debora iyall / romeo void  

figli di un dio minore: stretchheads  

figli di un dio minore: bobby jameson  

figli di un dio minore: distorted pony  

figli di un dio minore: dark side of the moon  

figli di un dio minore: los saicos  

figli di un dio minore: the centimeters  

figli di un dio minore: chetro & co.  

figli di un dio minore: songs in the key of z  

figli di un dio minore: mondii  

figli di un dio minore: TCH (this crepuscular hour)  

figli di un dio minore: bridget st. john  

figli di un dio minore: thule