Questo disco meriterebbe due recensioni. La prima riservata a Corde, il brano d`apertura, un rock dal tiro incredibile, come rarissimamente è dato di sentirne in Italia e ancor meno di cantati in italiano. Secco, asciutto, graffiante, tagliente come una lama. Il testo, poi, è fatto di poche parole, come dev`essere in un brano rock, ed è descrittivo della musica stessa: «Le corde della chitarra sono lame dove sanguina ogni idea» e «Le corde della chitarra sono cappi che stringono ogni idea». La voce di Dionisia Lo Cascio, infine, è incredibile, quasi metallica, sferzante, e compete con la chitarra in quanto a nitidezza e determinazione. Fine della prima recensione. La seconda recensione dovrebbe invece riguardare il resto del disco, composto da nove canzoni (l`ultima è una ripresa della quinta) che parlano la lingua di un buon rock chitarristico facente capo alla sacra trimurti dell`odierno rock indipendente (REM, Sonic Youth e Fugazi), ma con venature più melodiche che fanno però pensare al rock britannico post-wave. Al di sopra di tutto si nota la volontà di fare un disco che sia un disco, e non semplicemente una raccolta di canzoni, e questo è evidente anche nella scelta di inserire una specie di collante qual è la reprise finale. Rispetto all`open track le atmosfere sono però più flaccide e la stessa voce perde in incisività , ma sono soprattutto i testi che, pur restando estremamente interessanti, tendono ad essere troppo verbosi. Gli Open Zoe si infettano cioè di quel morbo, purtroppo incurabile, tipico del rock italiano, e latino in generale. Il disco finisce col farsi ascoltare con un certo interesse, ma la forza sprigionata da Corde finisce col mettere un po` in ombra tutto il resto. Personalmente, se fossi stato nei panni del gruppo e avessi avuto l`opportunità di scegliere, avrei pubblicato Corde in un singolo, magari in vinile e con sul retro una versione live dello stesso brano od una cover scelta ad hoc. E` probabile che senza quella scomoda apertura l`impatto generale del disco sarebbe stato superiore. Così stando le cose, e mettendomi nei panni del dottore in critica amante delle valutazioni numeriche, chiuderei la prima recensione con un bel (8/9) e la seconda con un comunque non disprezzabile (6/7).
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