“Episome” incuriosisce particolarmente per un Otomo attratto a pieno regime da una solitaria chitarra elettrica: lo strumento `madre` del musicista giapponese, l`origine del suo folgorante, quanto `serpeggiante` viaggio all`interno del sound contemporaneo. Solitamente siamo abituati ad avvistare dischi e progetti in cui lo si nota sedotto, quasi sempre, da una coppia di giradischi astratti, da furiose impalcature noise, o da azzardati stravolgimenti, di indimenticabili motivi jazz, ma mai dove abbia - almeno di recente - lasciato frugare la mente (e le mani) dentro vecchie materie di stampo rock.
Forse, per osservare un Yoshihide affine a ciò, dobbiamo scavare indietro nel tempo e approdare dalle parti dei fantomatici Ground Zero e degli Hikashu, in supporto al grande Makigami Koichi.
Questa impressione non è stata notata solo dal sottoscritto, ma anche dal promotore della stessa uscita (Mr Zorn in persona) che, nelle note di copertina, dà rilievo principale al vestito infilato da Otomo per l`occasione:
aggressivo... neo-progressive & neo-psichedelico... veracemente acustico.
Dopo questa apertura sembra che le radici di “Episome”siano state piantate esclusivamente dal chitarrista di Tokyo, mentre invece scorgiamo al suo fianco una strana accoppiata (ritmica) composta da un redivivo Bill Laswell (anni fa, decisamente iper-attivo in fatto di produzioni discografiche) al basso elettrico e Yoshida Tastuya (nei Ruins e titolare insieme a Satoko Fujii di un bellissimo disco jazz, “Erans”) alla batteria.
Cinque trame scritte in versione simbiotica da tutti i componenti del trio: semplici e dirette, costruite per intero dentro uno studio di registrazione, contrassegnate in alcuni casi da lampanti richiami del basso (e del suo inconfondibile tocco) di Laswell; a tratti improvvisate e stridenti, ma quasi mai intrise di eccessivi estremismi del suono, sia verso il noise, sia verso inclinazioni sperimentali.
Non vi è nessun intento di redigere brani veloci e da `impatto immediato`, i tre fondano il tutto su tempi decisamente prolungati. Potremmo dire di trovarci dalle parti di certo rock psichedelico, possiamo assaporarlo in compagnia di a-soli sinuosi dell`elettrica e di languide bordate al basso (Fudge); veniamo colti parallelamente da eccitati deragliamenti avant-jazz (Layout) e da spontanee parentesi space-prog (Substantiality) dove ci attendono, in merito alla velocità , scontri mirati tra Laswell e Tastuya.
Ma purtroppo, dopo l`ascesa delle conclusive Spin ed Hedge, ci accorgiamo palesemente che il gioco (di chitarre acidule e di bassi mossi) comincia a cedere, mostra parziali segni di stanchezza e di ripetizione: dovuti, suppongo, ad un eccessiva immobilità del tratto usufruito il quale, anche se per pochi frangenti, dovrebbe mutare dall`impianto iniziale del cd.
Diverso dalle solite frequentazioni, ma troppo omogeneo - rigido - verso il calare del sipario.
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