`Pink´

Autore disco:

Boris

Etichetta:

Southern Lord (USA)

Link:

www.southernlord.com

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

2005

Titoli:

1) Farewell 2) Pink 3) Woman on the Screen 4) Nothing Special 5) Blackout 6) Electric 7) Pseudo-Bread 8) Afterburner 9) Six, Three Times 10) My Machine 11) Just Abondoned My-Self

Durata:

45:21

Con:

Wata, Takeshi e Atsuo

Un Bignami (mal riuscito) del Boris mood!

x sergio eletto

Finalmente, dopo aver rimandato la recensione per una forte indecisione nel giudizio finale, sono giunto alla messa su carta di qualche parola attorno l`ultima e applaudita fatica dei Boris.
L`oscuro trio giapponese, dal 1994, ha seminato attraverso una sterminata discografia un modo nuovo di comprendere, e quindi plasmare, materiale di stampo rock `indolente` e oscuro, influenzato da - palesi - richiami sludge-doom; rimettendo, così, in corsa passioni mai sopite per lo stoner in generale e per gruppi storici del black-rock, come Black Sabbath e Melvins.
Oggigiorno, visto anche il sodalizio più che stabile con la Southern Lord, viene, forse troppo, scontato accostare la materia - catartica e penetrante - dei Boris con quella dei colleghi occidentali che conosciamo come Earth, Sunn O))), Isis... ma anche Neurosis, Pelican e altre realtà dello sludge / hard-core più conosciute.
Certamente, possono svelarsi punti in comune con i nomi segnalati, ma nei tre nipponici spunta con più vigore una proiezione ostinata nell`hard-rock / stoner - quello `old school` dei Kyuss - e qualche digressione space-delica - plausibilmente - affine ai conterranei Acid Mother Temple.
Tale apertura ha svelato la sua efficacia per porre la seguente domanda:
può un gruppo, firmatario di capolavori del suono dilatato (“Absolutego”, “Amplifier Worship”, “Mabuta No Ura”...) uscire indenne da una critica su quest`ultimo cd?
Purtroppo riesce difficile stimare a-pieno le qualità di “Pink”, perchè sfuma una delle migliori caratteristiche di Wata, Takeshi e Atsuo. Ogni disco prodotto dai Boris era (o il più delle volte, almeno, appariva) uno studio approfondito e mirato verso un determinato linguaggio-mood; lo stoner per “Heavy Rocks”, i climi surreali per “Sun Baked...”, le immense discese nel doom penetrante per “Akuma No Uta” e così via.
Un contrassegno che non si manifesta negli 11 capitoli qui presenti, facendo apparire il disco come una sorte di compendio (compresso e mal riuscito) del marchio Boris. Esso è sgravato da ogni minimo sintomo di ricerca sperimentale e/o inconsueta, giunge persino a lambire un`appendice di sensazioni che, più che rimembrare King Buzzo ed una spruzzat(in)a di Haino Keiji, evocano i colori lucenti dei My Bloody Valentine e gli scheletri più moderati dell`indie-rock. Lo si può intuire dallo schioccare di Farewell, dove le corde della chitarra echeggiano nell`atmosfera melodie sognanti e cristalline, sature di citazioni shoegazing.
E poi, non mi poteva essere data conferma migliore sulla `morbidezza` del disco, come quella fornitami (involontariamente) da un amico, masticatore di hard-core violento e metal-kore dalla mattina alla sera. Appena osservata la copia di “Pink”sulla mia scrivania, ha chiesto con impazienza di inserirlo nel lettore: non aveva sentito mai niente dei tre, ma conosceva da tempo il nome del gruppo. Anch`egli, passato solo un minuto dalla partenza, ha cominciato a partorire sulla faccia strane espressioni di sconcerto, chiedendomi in continuazione se il disco da me introdotto fosse quello giusto, oppure uno scherzo.
I momenti migliori si contano sul palmo di una mano e comprendono il garage di Woman on the Screen, gli alti e bassi di Blackout e lo speed-rock minimal di Electric, con dentro massicce dosi di blues-kore allucinatorio.
Per il resto, istanti... minuti... ore che discostano i Boris da quel mondo cupo e affascinante che li aveva contraddistinti come grande paladini dello slow (new) stoner.


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Data Recensione: 19/12/2006

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