`Eco e Narciso´

Autore disco:

Autori Vari

Etichetta:

Provincia di Torino (I)

Link:

www.ecoenarciso.it

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

2006

Titoli:

1) Canale Cavour 2) The Garden (excerpt) 3) Ravine 4) Die Sonne toent nach alter Wiese (excerpt from a Shortwave Radio Landscape) 5) 22 letters and the resonance of a three pointed star

Durata:

60:02

Con:

Bruno Dorella, Marco Milanesio, Fabrizio Modenese / Valerio Tricoli, John Duncan / Jacob Kierkegaard / Stephan Mathieu / Steve Roden

Un buon contributo per quello che bisogna vedere col corpo

x Salvatore Borrelli

Gran parte di un Site-specific deriva dalla connettività che si stabilisce tra spazio come strumento e suono come riconfigurazione spaziale, in un intreccio che Achim Wollscheid definisce: 'Memoria connettiva', che non è altro che la ridistribuzione di uno spazio fisico, di un luogo, interpolato dalla presenza contingente di un suono, che s'insinua in quel luogo come riadattamento spaziale. L'idea del Site-Specific è di natura alchemica perchè in qualche modo l'idea che c'è dietro l'installazione sonora, come in questo caso, non è quella di creare un'installazione temporanea ed immaginarne lo spazio come maniera di ospitalità , quanto piuttosto rendere un luogo un nuovo luogo, proprio in funzione del fatto che questo venga rivestito dal lavoro di non fisicità del suono, da una nuova, permanente, e ricombinante istanza mediatica. "Eco e Narciso" si presenta nel suo prestigiosissimo artwork come testimonianza sonora di un lavoro effettuato nella provincia di Torino da 8 musicisti per 5 installazioni sonore e curato da De Marchi e Cascella. Si tratta di un lavoro teso alla rioccupazione dello spazio, ad una nuova interazione, e quindi se è di natura 'architettonica', ancora prima che sonora, è perchè produce, anche se solo invisibilmente, una nuova riappropriazione spaziale, non una tappezzeria abbellente, quanto una nuova visione dello spazio come spazio. Partiamo subito dal dire che, la condivisibilità di un'operazione come questa presenta due limiti talvolta insuperabili. Il primo consiste nel fatto che uno spazio resta uno spazio, geograficamente, e localmente, il suono non ne ridetermina la sua massa immobile; semmai la ricopre di un valore 'simbolico' ulteriore, la 'rigenera', ma non ne rigenera i suoi contenuti reali. Quindi ogni 'Ecomuseo', similmente alle installazioni di arte contemporanea, e indipendentemente dalla sua permanenza o meno, resta un'operazione 'colta' e di natura spiccatamente 'intellettuale'. Il secondo limite è dato dall'oggetto-cd stesso: se un luogo viene rivestito di attribuzioni di valore, perchè convissuto da chi c'è come ambiente sonoro, la sua testimonianza su disco ne inficia tutto il suo valore ideativo, logico e strutturale. E` semmai un pre-invito, per chi non c'era fisicamente come me, ad andarci in quei luoghi, ma non rappresenta in alcun modo la fisicità che testimonialmente, seppure in un cospicuo numero d'informazioni, e con una discreta durata, cerca di narrare. Il disco, può in qualche modo, considerando i finanziamenti pubblici, essere semmai una prova, molto sbiadita, dell'importanza di eventi come questi, oppure rappresentare, per chi adora questi artisti, un motivo per studiare il loro lavoro al di là di contenuti strettamente sonori. Per questa ragione non approfondirò in alcun modo il rapporto che c'è tra i suoni e lo spazio, cosa che non ho visto, ma solo la qualità sonora intrinseca di questa operazione. Per quello che concerne questi rapporti c'è un bell'artwork fotografico interno al disco, e per chi ha modo, gli Ecomusei da visitare. Il primo brano è di Dorella, Milanesio, Palumbo, che per quanto ne so, sono quelli più 'lontani' dall'idea di sonorizzare qualcosa e quindi incontaminati rispetto a questo tipo di esperienza. Tuttavia il loro brano, tra quelli del disco, è quello più godibile: si sviluppa come una microsinfonia dronica e presenta alcuni tagli hardcore interni, che s'intromettono a metà pezzo circa, nell'atmosfera di sospensione naturale. Ottimo lavoro. Il secondo brano The garden di Tricoli e Duncan, che a giudicare dalle foto, dovrebbe essere quello più inquietante e forse più 'specifico' di tutto il percorso, è un lavoro molto ipnotico con delle voci processate (dei due artisti) molto molto sconvolgenti e si muove tra una parata funebre ed un canto terminale, ed in qualche modo mi fa venire in mente i morti dell'IPCA. E presumibilmente a questo è forse il lavoro più riuscito dell`intera operazione. Il brano di Kierkegaard, sopravvalutatissimo ovunque, per certi versi segue la via di quello di Lopez, ora sottovalutatissimo, e non aggiunge praticamente nulla a quello che conosciamo della dronica stantia, ovvero una registrazione di spazi vuoti tra vallate che in qualche modo intenderebbero mettere in luce il profondo lato 'pantenistico' e sepolcrale degli spazi quasi umani: tuttavia dal punto di vista acustico, la sua semantica, non si discosta da alcuna delle registrazioni fatte in questi ambienti, non aggiunge una prospettiva simbolica, non riordina i materiali ri-producendoli, li lascia come sono e forse questo è anche un merito, ma sempre dal punto di vista del disco, è una dei tanti field recordings che si sentono in questi materiali. Nè l'idea, nè il manufatto sono in qualche modo 'riconfigurabili'. Molto ipnotico e suadente il brano di Mathieu, che va avanti tra alate di shortwave radio e field recordings non troppo nascosti, stupefacente anche il titolo: Die sonne toent nach alter Weise. Davvero interessante il lavoro di Steve Roden, che ha più, come nel primo caso, la struttura di un brano, quindi meno circolare, ma aperto a passaggi, modificazioni, anche solo d'ascolto per chi possiede questo disco e vuole seguire le evoluzioni sulla voce e sui solchi intralinea, dimezzati e intrusivi dei suoi paesaggi lirici. Un buon disco che diventa ottimo se ci si fa un giro dove questi luoghi sono diventati musica, e viceversa.


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Data Recensione: 14/1/2007

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