È ormai da tempo che l’attività del musicista, in quanto tale, è messa in discussione. Concetti come disegnare la musica vanno sostituendo il classico scrivere la musica e di pari passo termini come scultura sonora o paesaggio sonoro vengono utilizzati in vece del canonico composizione. Senza dimenticare che da tempo ormai immemore Brian Eno ha teorizzato una musica per non musicisti. Quindi non può cogliere di sorpresa, né stupire, la constatazione che i due David autori di “Signals” sono degli ingegneri. Lo stesso metodo operativo - uno dei due prepara una traccia sonora e la passa all’altro che provvede a una sua elaborazione - non rappresenta certo una novità essendo già stato sperimentato sia dalla mail art sia da precursori di vecchia data quali sono stati i futuristi, i dadaisti, i surrealisti e gli aderenti al movimento Fluxus. Tali premesse, e gli sviluppi della musica elettronica al cui ambito “Signals” appartiene tout court, parrebbero creare i presupposti per una musica al passo coi tempi, se non proprio estremamente innovativa. Nulla di tutto ciò ci è dato di ascoltare, dal momento che i cinque brani del CD, sia quelli dalle sonorità più avvolgenti sia quello più ritmato (Rivière) non muovono alcun passo in avanti rispetto ai pionieri delle musiche per synth o ai classici della Kosmische Musik (penso ai primi Kraftwerk e ai Tangerine Dream). Un’occasione sprecata.
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