Yannis Kyriakides / Nikos Veliotis     di e. g. (no ©)



Teatro_Greco_a_Delfi
S`è scritto poco di loro, sicuramente non a sufficienza, eppure si tratta di due dei musicisti più interessanti di questi anni. Ma in un momento in cui tutti continuano a guardare allo sfinimento verso Ovest è difficile scorgere, se non a causa dell`ombra mattutina, quei talenti che crescono appena più a Oriente di noi. Ma i mattinieri sono rimasti in pochi, si preferisce tirar tardi la notte, e la circumnavigazione del pianeta costò alla spedizione di Magellano già ben 37 mesi... e mi dicono che oggi i tempi si sono notevolmente allungati. Eppure basterebbe distogliere lo sguardo da falsi miti e mitologie, e allungare un poco il braccio, per toccare con mano un universo che si apre a pochi passi dal nostro vivere quotidiano, troppo pochi per cogliervi il gusto di quell`esotico che a piccole dosi ci affascina e troppi per considerarlo come qualcosa che ci appartiene. Ecco che cerco di porre un rimedio a questa latitanza con un articolo che indubbiamente non potrà supplire alla carenza d`informazioni che ho appena denunciato, ma che pure spero possa servire da stimolo al lettore che vorrà documentarsi su alcune delle pagine musicali più vitali della contemporaneità .
Sui motivi che mi hanno portato ad abbinare questi due musicisti in un unico servizio potreste avere magari da ridire, limitandosi questi motivi soltanto alla specificità ellenica dei nomi - anche se in realtà Kyriakides è di nazionalità cipriota mentre Veliotis è effettivamente greco - e non trovando riscontro comune in una attività musicale che il primo affronta essenzialmente come compositore e/o manipolatore elettronico ed il secondo principalmente come strumentista. A voler essere proprio pignoli i due sono associabili per l`essere quasi coetanei (Kyriakides è nato a Limassol nel 1969 e Veliotis è nato ad Atene nel 1970) e per il fatto che il secondo suona in un disco del primo, esattamente in “The Buffer Zone” del 2005. Infine, a pensarci bene, i due hanno anche qualche retroterra in comune.

“The Buffer Zone” fa parte di una splendida trilogia nella quale Kyriakides ha messo a punto il suo universo compositivo e dalla quale traspare una grande passione per arti classiche come il teatro, la danza, l`opera, la letteratura.... Ma la sua non è nè una rilettura, nè una citazione e neppure un confrontarsi, ma si tratta bensì di una specie di trasposizione all`interno del suo mondo sonoro di elementi mutuati dal classicismo. Penso che una buona parte dei compositori contemporanei, anche i più blasonati, abbia fallito proprio laddove si è misurata con le arti classiche, restando schiacciata e soffocata sotto a millenni di storia e non riuscendo ad imporre un proprio temperamento, ma subendo viceversa il temperamento della materia che andavano a trattare. Kyriakides dribbla felicemente questo rischio, ed è come se fotografasse la storia con un grandangolo molto spinto, senza però distorcerne le proporzioni, laddove solitamente viene utilizzato un teleobiettivo o, al massimo, una focale di 50mm, la stessa che ha permesso di accostare il sassofono di Anthony Braxton alla musica dei Wolf Eyes. Ma Kyriakides riesce ad andare oltre nella sua operazione di sintesi, perchè la sua ottica è comunque marcatamente contemporanea - `digitale` direi - e riesce così nello scopo di dare alle sue composizioni quella `unitarietà ` in grado di non stridere con la limitatezza in cui si dibatte la memoria umana. Non mi vengono in mente altri riferimenti possibili, e magari ce ne sono a iosa, se non quello con il Mapplethorpe dell`ultimo periodo (tanto per restare in tema `fotografico`!!?!). E con Mappletorphe c`è pure un parallelo per il continuo riferimento all`elemento umano, che per il fotografo era rappresentato dal corpo mentre per Kyriakides è rappresentato dalla voce, un elemento sempre dotato, recitante o cantante che sia, di una sua musicalità e di una pertinenza tali che non lo fanno mai apparire fuori luogo.
Ayelet_Harpaz Nella trilogia, di fatto lo è seppure non credo che l`autore l`abbia mai intesa come tale, lo spunto può giungere indifferentemente dall`Oracolo dell`antica Delfi e dai messaggi cifrati con cui i servizi segreti comunicavano all`epoca della guerra fredda, come dagli scritti del filosofo Baruch Spinoza o dalla `buffer zone` che divide in due l`isola di Cipro. Sia come sia è la voce a farla da padrona sopra scarne tessiture strumentali che possono essere rappresentate da un violoncello, da un pianoforte, da un clavicembalo o dalle trame / manipolazioni elettroniche dello stesso Kyriakides, con un elemento comune ai tre dischi rappresentato proprio da un`ugola (quella di Ayelet Harpaz). In secondo luogo è evidente l`eleganza con la quale vengono svolti i vari temi, un eleganza che però resta sempre su standard di tipo casual e non scade mai nella pomposità che deriva dall`indossare uno smoking. In poche parole si azzardano degli accostamenti di colori, taglie, epoche e forme diverse che, però, non fanno mai a cazzotti fra di loro.
Sono proprio un pianoforte, due voci, segnali radio e particelle elettroniche a scandire le reminiscenze dell`Oracolo e dei codici cifrati delle spie, messaggi criptici a confronto, nelle 6 parti in cui è suddiviso il brano portante dell`eponimo disco d`esordio “A ConSPIracy Cantata” (2001), in un mood che accosta mirabilmente passato, presente e futuro, concreto ed astratto, sacro e profano, ameno e funereo, formule magiche e messaggi ermetici, sketch musicali annosi e trattamenti elettronici a venire, senza che peraltro venga mai meno il piacere dell`ascolto. E` una musica tratteggiata da numerosi silenzi, aspersa di impercettibili crescendo e di fenditure feldmaniane, e già dotata di un`identità riscontrabile in buona parte delle opere successive. Gli altri due brani del disco traggono entrambi ispirazione dall`antica cultura greca: hYDAtorizon dal filosofo Parmenide, ed è per gocce rarefatte di pianoforte su linee continue di sinewaves; tetTIX, in greco antico sta per cicala, è invece un brano per voce (un susseguirsi di lai profondi), suoni di insetti e drum machine, in un incrociarsi di ticchettii, crepitii, brusii e beat in levare.
Lo sguardo scrutatore del compositore, superata brillantemente la panoramica delle `gesta omeriche`, si sposta ai primordi dell`era moderna, quando l`(in)flusso del Medio Evo era ancora ben lungi dall`essere completamente affossato. “The Thing Like Us” (2003), 98 frammenti suddivisi in Affectio: The 48 Emotions ed Epistola: Letter On Free Will, è il titolo dell`omaggio a Spinoza (1632-1677). Le musiche facevano originariamente parte di un progetto in collaborazione con il gruppo teatrale ZTHollandia e il collettivo VeenFabriek, ma non risentono minimamente della trasposizione su supporto esclusivamente audio. Sono ancora le tessiture vocali ad essere in primo piano, seppure sia cambiato il substrato che per l`occasione è circoscritto a clavicembalo, percussioni e parti elettroniche. Ancora una volta la calata nell`epoca è esemplare, soprattutto in Affectio dove l`uso della voce è indubbiamente debitore al `gregoriano` pur andando incontro a progressiva distorsione, oppure nella presenza di uno strumento come il clavicembalo, e ancora una volta il tutto è straniato da sibili e friggimenti di natura in qualche modo elettronica. Epistola è composta da episodi più concitati, con interventi vocali che suggeriscono riunioni di streghe, particelle di recita compunta e suoni, a tratti tribali, che paiono miscelati in laboratori alchemici, e sembra essere un passaggio a livello (inverso a quello di “Non ci resta che piangere”) che annuncia l'avvento della `modernità `.Cipro:_la_zona_cuscinetto I due atti, come avviene nella realtà del teatro, sono separati da un minuto di intervallo (la 49ª e la 50ª traccia sono cioè vuote).
E veniamo al terzo capitolo della saga, con “The Buffer Zone” (2005), dove fa la sua comparsa il violoncello di Veliotis, appoggiato da piano ed elettroniche, a fare da contraltare alle voci (quella principale è di Tido Visser, con contributi di Seamus Carter, Mara Tomanek, Mark Morse e della solita Ayelet Harpaz), che nell`occasione ricompongono testi tratti dalle interviste con i militari dell`ONU addetti al controllo della zona cuscinetto che divide Cipro in una parte settentrionale ed in una parte meridionale. Anche questa è una composizione divisa in più frammenti, 66 per la precisione, e presenta tratti comuni con i dischi precedenti, ma il suo alito è più inquinato da ombre di claustrofobia, contratte nella solita idea feldmaniana di nebulizzazione della materia che saltuariamente lascia spazio a dolorose esplosioni di furore; 66 piccoli granelli a narrare di una questione scottante che l`autore ha toccato con mano. Veliotis fa la parte del leone nel volgere al finale, laddove le voci lasciano spazio al suo archetto allo scopo di dipingere una dolente elegia. All`interno del libretto vengono illustrati in modo piuttosto dettagliato gli eventi che portarono alla suddivisione dell`isola in due sezioni avverse.
Ed ora è il momento di citare gli strumentisti che non hanno ancora trovato spazio fra le righe della nostra narrazione: Stephie Büttrich (voce) e Marion von Tilzer (piano) nel primo disco; Anne Faulborn (clavicembalo), Tatiana Koleva (percussioni), Carola Arons e Bert Luppes (voci) nel secondo; e, infine, Marc Reichow (piano) in “The Buffer Zone”.
I tre dischi sono usciti per la Unsounds, etichetta fondata da Kyriakides insieme ad Andy Moor (chitarrista degli Ex) ed all`artista visuale Isabelle Vigier, quest`ultima è responsabile anche delle splendide confezioni che hanno caratterizzato la produzione Unsounds fin dagli inizi (pur non essendo questo un articolo sulla Unsounds devo per sfizio segnalare a chi non l`avesse lo splendido “Perfect Fit” del trio Grand Mal).
La cooperazione fra Kyriakides e Moor ha portato naturalmente anche ad un tipo di collaborazione più diretta che si è manifestata in altri lavori comuni, fra questi ci sono stati una serie di concerti in duo ed un disco che raccoglie alcuni sketch ripresi durante questi concerti. “Red v Green” non è purtroppo all`altezza di quello che i due hanno prodotto in altri contesti (non si tratta neppure di un disco indecente, sia chiaro). Il problema mi sembra riconducibile al fatto che Moor è un chitarrista piuttosto `grezzo` mentre il suo pard è un musicista estremamente `raffinato`, cioè due estremi difficilmente conciliabili, ed inoltre va sottolineato come l`incontro avvenga in un ambito che non è `proprio` a nessuno dei due, cioè quello dell`improvvisazione radicale.
Molto meglio, restando in ambiti improvvisativi, sono i due dischi risultati dalla collaborazione con Lucio Capece (sax soprano e clarinetto basso), un improvvisatore argentino di grande talento seppure ancor poco conosciuto: “Juncture” e “Live In Brussels”, pubblicati solo in formato mp3 su Audio Tong e scaricabili gratuitamente dal sito dell`etichetta stessa (audiotong.net/audio)., contengono rispettivamente 11 e 2 tessiture che, seppure costipate talvolta da una qualche `freddezza`, riescono pienamente nel loro obiettivo di mantenere viva l`attenzione dell`ascoltatore per tutta la durata del gioco. Non è poco, e mi raccomando di prestare occhio all`argentino!!
Ma la migliore realizzazione di Kyriakides è ancora su Unsounds e si intitola “Wordless”. Se i lavori della trilogia possono essere definiti come `cantate`, in questo caso siamo dinnanzi ad un`autentica 'sonata' in 12 movimenti per voci manipolate digitalmente. L`argomento non è certo nuovo ma lo svolgimento è veramente straordinario, e la qualità tecnico-artistica non è da meno. Le voci sono tratte dall`archivio del BNA-BBOT, un`associazione della capitale belga che, tra l`altro, raccoglie interviste con persone di ogni strato sociale che abbiano preso alloggio dappresso agli acciottolati della Grand Place. Ogni movimento porta per titolo il riferimento al soggetto che ha involontariamente prestato la sua voce: studente, cieco, pensionata, pensionante, informatico, sociologo.... “Wordless” è un`opera contemporanea di straordinaria maturità che proietta l`autore cipriota nel novero dei grandi compositori di questi primi anni del terzo millennio.
Kyriakides ha all`attivo anche la partecipazione a qualche raccolta (fra queste dovrebbe essere molto interessante “Music Box” del 1994), la comparsa nelle prime formazioni della MIMEO e la presenza come suonatore di oud (sarebbe interessante sentirlo anche in questa veste) ad un CD di musiche tradizionali turche. Ma per la discografia e ulteriori informazioni rimando il lettore al sito segnalato a fine articolo.

Un breve volo, sopra il Mediterraneo Orientale e l`Egeo, ci porta da Limassol ad Atene, dove incontriamo il retroterra formativo che sta dietro al violoncellista o, come lui ama definirsi, al «video artist trapped inside the body of a musician» Nikos Veliotis. In realtà la sua attività si divide fra il settore più propriamente sonoro e quello di carattere visivo, che lo ha visto partecipare anche ad alcuni festival / rassegne cinematografiche, cercando comunque sempre di miscelare, e per quanto è possibile, le due anime. La sua produzione discografica può essere stigmatizzata in tre sezioni.
Innanzi tutto c`è quello che possiamo considerare come un tirocinio ad alti livelli avvenuto nei circuiti del London Musicians' Collective e nel FIN Trio (con Fred Van Hove al piano e fisarmonica e Ivo Vander Borght alle percussioni).
Con quest`ultimo ha registrato un CD nel 2001, in concerto al Teatro Zuidpool di Anversa, che è uscito su etichetta WIMpro (una suddivisione della WIM vzw). Si tratta di un ottimo disco d`improvvisazione; Veliotis fa il suo, e piazza qualche tiro d`alta classe, ma a condurre la barca in porto sembrano essere essenzialmente due vecchi navigatori come Van Hove e Vander Borght. Le scorribande sulle tastiere (piano e fisarmonica) del primo e il percuotere ligneo del secondo danno la sensazione di poter fare, ed a tratti li fanno, degli autentici miracoli.
La collaborazione con il giro degli improvvisatori londinesi ha fruttato tre dischi, due dei quali sono stati registrati in concerto. Innanzitutto c`è il trio di strumenti a corda con Rhodri Davies (arpa) e Angharad Davies (violino), le registrazioni sono avvenute nel 1999 alla All Angels Church di Londra (per questo il titolo è “All Angels” mentre il nome del trio è Cranc) e l`etichetta è la greca Edo (εδω). Si tratta di una buona realizzazione che promette più che dare; da una parte è più che evidente la grande attitudine del trio mentre dall`altra appare chiara una certa immaturità . La freschezza, anche della formula, è in parte vanificata da quell`assenza di `mestiere` che permetterebbe di piazzare il trucco giusto al posto giusto.
Sempre nel 1999 Veliotis ha fatto parte della prestigiosa London Improvisers Orchestra, e compare nel doppio CD “Procedings” insieme ad alcune istituzioni della musica improvvisata britannica: Steve Beresford, Chris Burn, John Butcher, Lol Coxhill, Rhodri Davies, John Edwards, Caroline Kraabel, Kaffe Matthews, Evan Parker e altri (etichetta Emanem). Di fronte a tale parata il ruolo del greco è chiaramente ancor più limitato, e la sua figura assume ulteriormente le sembianze dell`apprendista stregone. Il doppio CD non è dei migliori, fra quelli usciti dall`ambiente degli improvvisatori londinesi, ma contiene comunque dei momenti più che pregevoli.
Il passaggio successivo, tenendo almeno conto delle documentazioni discografiche disponibili, è quello destinato al cosiddetto `giro di volta`. Grande ensemble, grande prova collettiva e grande Veliotis. L`Ensemble di Chris Burn è una realtà ormai consolidata del panorama europeo, e il fatto che la breve permanenza fra le sue fila del violoncellista lasci il segno è un dato di fatto piuttosto significativo. Nel 2002 l`Ensemble partecipa al festival organizzato dall`etichetta polacca Musica Genera, dove viene registrato il consigliatissimo “Ensemble At Musica Genera 2002” che, in aggiunta agli ottimi brani del leader e a quelli con firma collettiva, contiene una splendida partitura del greco intitolata qpdbqp. Le forme sono quelle della contemporaneità , con i musicisti che abbandonano le proprie individualità ed appaiono come un 'tutto unico'. Sul palco, oltre al leader e al violoncellista, erano schierati John Butcher, Rodri Davies, Matt Hutchinson e Xavier Charles. Mi sembra essere questo il punto in cui l`aquilotto spicca veramente il volo.
Prima di affrontare la produzione discografica successiva opterei per un breve encomio alla personale tecnica messa a punto dallo strumentista, grazie anche all`aiuto degli speciali archetti curvi ideati da Michael Bach pros.orange.fr/bach.bogen/), che gli permette di ottenere dei suoni continui molto energici e ricchi di armonici. E` così che una performance acustica finisce per suonare come una performance elettronica.
Fra il 2003 e il 2004 viene `dato alle stampe` quello che definirei come `il vangelo del violoncello contemporaneo secondo Veliotis`. In tre dischi, pubblicati dalle maggiori etichette greche dedicate alla nuova musica, lo strumentista mette in mostra le proprie qualità al solo violoncello, oppure ponendo questo a confronto con le tessiture elettroniche o con il piccolo ensemble d`improvvisazione acustica.
“Radial” (registrato ad Atene il 1° Giugno del 2003) esce su Confront, preceduto sulla stessa etichetta dal CD-R “Beta” purtroppo ormai fuori catalogo, e propone lo strumentista in completa solitudine. Il CD è suddiviso in tre brani che, all`ascolto, danno impulso ad una percezione incredibile, quasi irreale. E` come se l`archetto fosse animato da un`energia particolare in grado di creare il suono non appena viene appoggiato sulle corde, oppure è come se queste ultime venissero sfregate da marchingegni mossi tramite dei motori. E invece, come precisa lo stesso Veliotis nel suo sito, «Radial was recorded on the first of June 2003 on acoustic cello without overdubs or editing». Intervallate da lunghi silenzi, la parti sonore si levano maestosamente passando dal mood più acido del primo brano, a quello più oscuro e profondo del secondo, a quello più mistico e melodico del terzo. Beh, direi che si tratta di uno dei capisaldi nella storia recente dello strumento, da porre al fianco di lavori come “By Myself” di Abdul Wadud, “Uitti 2 Bows” di Frances-Marie Uitti e “Gumption In Limbo” di Tom Cora.
“Texturizer” (registrato ad Atene nel Gennaio 2003) esce su Antifrost e vede Veliotis rapportarsi al musicista elettronico Coti K. (al secolo Costantino Luca Rolando Kiriakos, nato a Milano e, a suo tempo, collaboratore dei Tuxedomoon e di Blaine Reininger) che, tra l`altro, siederà poi alla consolle durante la registrazione di “Radial”. I due si comprendono alla meraviglia, o forse è Cotis che dall`alto della sua esperienza comprende a meraviglia il suo pard, fatto sta che gli interventi elettronici non sono mai pesanti o prevaricanti e il viaggio avviene di pari passo come le prime poppate di due fratelli gemelli. Veliotis, nelle quattro piste di media durata del CD, indulge di più sugli aspetti acidi e scostanti del suo mood, e di conseguenza sugli acuti e sulle dissonanze, mentre gli interventi di Coti donano qua e là un certo accento glitch. Proprio in concomitanza con la stesura di questo articolo la Antifrost ha pubblicato il secondo CD dei due, curiosamente intitolato “Texturizer 7” e registrato ad Atene il 13 Aprile 2006. Si tratta di altre quattro piste, di lunghezza più divaricata, nelle quali il manipolatore elettronico riveste una centralità maggiore. Penso soprattutto alla prima pista, dal suono nebuloso, frantumato e a suo modo tribale (le corde del violoncello vengono probabilmente percosse, a meno che la frantumazione della materia non sia tutta farina del sacco di Coti K.). Looper Ma anche il resto pare più dotato di forza bruta, e questo ci consente di guardare al duo come ad un`entità in movimento, attraverso un`opera continua di ricerca volta a trovare sempre nuove soluzioni. Colpisce soprattutto la lunghissima terza pista, articolata e policroma, che dopo gli scuotimenti iniziali si distende in uno splendido volo ad ali spiegate.
“Squarehorse”, probabilmente registrato in Norvegia o Svezia a fine 2003 o ad inizio 2004 e definito dai suoi autori come «the point where a dialogue converts to a monologue», è invece a nome del trio Looper, con Martin Küchen (sassofonista svedese) e Ingar Zach (percussionista norvegese). Si tratta di uno dei pezzi da novanta dell`improvvisazione contemporanea, e l`ascolto lascia ben capire quale sia il ruolo e l`influenza di Veliotis all`interno dell`ensemble. Tenete conto che i suoi pard sono comunque di altissimo livello, e soprattutto Zach è uno dei più stimolanti e creativi percussionisti che ci sono oggi in circolazione. Il disco si distingue per l`eleganza delle tessiture, per non presentare mai (contrap)punti fuori posto, nè contrattempi di altro tipo, e per una disposizione che prevede i tre musicisti sullo stesso livello esecutivo e partecipativo. Sembra veramente che quell`improvvisazione vagheggiata da Ornette Coleman, nella quale nessun singolo ha il sopravvento su un altro, sia a portata di mano. La musica che ne deriva è in bilico fra lo stesso Coleman, l`AMM dell`ultimo periodo e le rarefatte scritture di Morton Feldman. I tre hanno messo a punto anche dei progetti audio-visuali, quali “Mass” che li vede affiancati da John Tilbury e che dovrebbe anche essere pubblicato in DVD per la Esquilo, a ribadire il loro interesse a lavorare anche con l`utilizzo di immagini interattive.
A seguito ed intorno a questi progetti fondamentali sono giunte per Veliotis altre collaborazioni, non ultima quella già segnalata in apertura d`articolo, tutte di alto livello e alcune fondamentali. Bellissimo il recente “The Sea Looks Green When The Sky Is Grey”, su Sofa Music, con il contrabbassista Michael Francis Duch e la cantante Anita Kaasbøll. In esso viene ripreso il mood dei Looper, ma in maniera decisamente più vivace, e l`ex tirocinante si trova in una posizione di docenza nei confronti dei suoi giovanissimi compagni. Soprattutto piace l`idea del duo di strumenti fratelli, violoncello e contrabbasso, mentre come terzo incomodo c`è una voce talmente manipolata da risultare quasi sempre irriconoscibile.
“Quartet”, uscito nel 2004 su Hibari Music, ripropone la tematica del piccolo ensemble di strumenti a corda, con le chitarre di Taku Sugimoto e Taku Unami e il violino di Kazushige Kinishita. Il brano pensato da Veliotis per l`occasione, aceghd, è uno dei suoi migliori e senz`altro il più interessante del disco, e mostra di nuovo un talento ormai maturo e padrone di un proprio linguaggio. Nel primo brano del disco la conduzione del gioco è invece saldamente nelle mani di Sugimoto, il banditore del grande nulla, e i pochi suoni si perdono nel silenzio dello spazio infinito; personalmente continuo ad essere affascinato dalla poetica del maestro giapponese, da questa sua tendenza alla disgregazione assoluta, ad una vera e propria consunzione, ma so benissimo che l`accettazione di un mood così specifico è molto personale e quindi l`invito è di andarci con i piedi di piombo. Il terzo brano del disco è un`impro collettiva e, quindi, raccoglie un po` gli stimoli di tutti e quattro i giostratori.
Curioso, e delizioso, è infine il disco in duo con David Grubbs, di impostazione classicamente minimalista, nel quale il greco contrappone alle tastiere dell`americano anche un pianoforte suonato con l`archetto direttamente dentro la cassa armonica.Valérie_Métivier_e_Nikos_Veliotis Due lunghi brani, 17 minuti per piano e violoncello e 24 minuti per organo e piano suonato direttamente sulle corde (personalmente preferisco la assorta rarefazione del primo brano), separati da un breve intervallo silenzioso. Il disco, “The Harmless Dust” uscito su Headz, ha fruttato ai due un lungo tour che ha toccato anche l`Italia. Non c`è da stupirsi di questa sbirciata rivolta al minimalismo perché, anche se fino a questo punto non ho scritto niente che lo facesse pensare, il minimalismo fa sicuramente parte dei retroterra attribuibili al nostro uomo (ed anche a Kyriakides, per essere precisi).
Altre registrazioni del violoncellista sono state pubblicate su CD-R scarsamente reperibili, comunque potete trovare una discografia abbastanza completa nei siti segnalati dabbasso.
Chiudo con l`auspicio di una futura collaborazione a due fra Veliotis e Kyriakides, che sulla carta parrebbe essere più che interessante.




Yannis Kyriakides: www.kyriakides.com
Yannis Kyriakides: search.myspace.com
Unsounds: www.unsounds.com
Nikos Veliotis: www.nikosveliotis.com
Nikos Veliotis: profile.myspace.com
Nikos Veliotis: www.sofamusic.no
Looper: www.loopersite.com



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