steve roden    di etero genio



Il 2003 è stato l`anno di Steve Roden, l`anno del ritorno ai grandi livelli acquisiti con lavori come “Crop Circles” (Trente Oiseaux - 1997) e “The House Was Quiet And The World Was Calm” (Meme - 1998, con Brandon Labelle). Dopo quei dischi, infatti, il musicista californiano sembrava aver subito una battuta d`arresto, quasi fosse rimasto inibito dalle vertiginose altezze raggiunte.
Roden, a partire dall`inizio degli anni Novanta, aveva pubblicato tutta una serie di lavori, con lo pseudonimo In Be Tween Noise, facendosi conoscere dal pubblico degli appassionati soprattutto per l`inclusione di un suo remix all`interno di “Tulpas” (1997), la mastodontica iniziativa dedicata dalla Selektion alla musica di Ralf Wehowsky. Ottimi dischi, come “Humming Endlessly In The Hush” o la triade a 3 pollici “Split” / “Lamp” / “Chair” (tutti su New Plastic Music), erano passati fin troppo inosservati, ma la partecipazione a “Tulpas” avrebbe, inevitabilmente, cambiato le cose, trascinando il nome di Roden nel Gotha della musica elettronica / elettroacustica.
L`attivissimo di Roden non si era, comunque, limitato alla produzione di dischi, e la sua personalità , sfaccettata come un diamante, si era distinta anche in varie arti visuali, dalla più semplice installazione, alla grafica, e fino alla scultura.
Il momentaneo stop creativo, che aveva accompagnato l`avvicendamento dei due millenni, lasciava di stucco proprio in virtù della qualità che aveva, precedentemente, contraddistinto la sua attività artistica, e lampi di genio come “The Radio” (Sonoris), o come la partecipazione alla “invalidObject Series” della Fällt, non erano stati sufficienti a fugare i dubbi creatisi rispetto ad una sopravvalutazione del personaggio. Se non che Roden, come abbiamo premesso, nell`anno appena trascorso ha fugato tutti quei dubbi, inanellando una serie di lavori che lo mostrano per quello che è realmente, ovverosia un musicista calato sulla Terra da un altro pianeta.
Il 2002 era trascorso in ristrettezze, in realtà , giacchè il musicista aveva pubblicato un solo CD a proprio nome, il delizioso “Winter Couplet” (New Plastic Music) che contiene un unico brano, della durata di 25 minuti, proveniente da un`installazione composta in quello stesso anno per il festival losangelino 'freewaves'. Le fonti sonore in gioco sono davvero minimali, trattandosi di due piccole tazze da te, alcuni speakers e dei tubi di cartone. Winter Couplet è ispirato al lavoro dell`architetto Shigeru Ban e alle sue particolari architetture in cartone, questo per quanto riguarda la struttura, dacchè il titolo si rifà al chun lian (spring couplet), un caratteristico componimento poetico cinese che, in alcune occasioni particolari, arreda le soglie delle abitazioni. I suoni sono nitidi, simili a quelli di un vibrafono, e tintinnano carambolando e inseguendosi in un intreccio d`infinite suggestioni.
L`uscita di questo piccolo gioiello, così isolata, non lasciava certo prevedere quella valanga che, soltanto qualche mese dopo, sarebbe miracolosamente piovuta dal cielo, quindi la sorpresa è stata ancor più elettrizzante.
L`ouverture spetta a “Three Roots Carved To Look Like Stones” che, oltre a rappresentare una delle tappe più esaltanti nella produzione di Roden, simbolizza anche il ritorno sulle scene, dopo un periodo d`assenza, dell`etichetta francese Sonoris. Il disco è improntato da quello che sembra essere il mood espressivo di Roden in questi anni, la malinconia, ma, almeno nel secondo brano, ritorna anche l`angosciante girare a vuoto, viaggio in un labirinto senza uscita, che aveva reso magistrale “Crop Circles”. “Three Roots...”, originariamente, nasce come installazione per una galleria di Chinatown / Los Angeles, ed è realizzato con una serie di strumenti giocattolo reperiti in un negozio di quello stesso quartiere cinese: un flauto di legno, una piccola campana (`wind chime`) di alluminio, una fisarmonica di carta. Ognuno dei tre brani è stato forgiato utilizzando, quale unica fonte sonora, uno di questi tre strumenti, ma alcuni suoni, chiaramente, sono stati trattati elettronicamente. C`è poco altro da aggiungere a proposito di quest`opera, e della sua profonda musicalità che lascia percepire, per l`ennesima volta, la sensibilità del suo autore verso quelle che sono le culture, le tradizioni e i costumi dell`estremo oriente.
Il bellissimo “Resonant Cities” conferma l`ottimo rapporto instauratosi fra Roden e la Trente Oiseaux di Bernhard Günter. Si tratta di un lavoro composto, essenzialmente, di suoni concreti ripresi in varie città , e Roden motiva questa scelta affermando che, per lui, ogni città è un giardino di piccole cose. Sono stati utilizzati, complessivamente, frammenti tratti da 18 diverse fonti sonore: una voce che legge il Corano ad Istambul, degli uccelli in gabbia in un mercato di San Paolo, le porte di vetro del Centro Pompidou a Parigi, un pianoforte e il brusio del pubblico al Tonic di New York ecc. Si tratta del Roden più amabilmente soffuso, quello che potresti mettere in loop e ascoltare ininterrottamente per ore. Suoni che sembrano salire dalle profondità degli oceani, o da un punto imprecisato di una distesa desertica. Miraggi di suono, più che suono stesso, che brulicano sulla linea dell`orizzonte, dove la terra si confonde con il cielo. “Resonant Cities”, in prima battuta, era stato creato per il progetto “frequencity”, curato da Steve Bates per l`austriaca Kunst Radio.
“Light Forms (Music For Light Bulbs And Churches)”, pubblicato dalla tedesca Semishigure, è un disco ancor più etereo dei precedenti, come un concerto di campanule che oscillano, che vibrano, che risuonano accarezzate dal vento. I due brani Truth Is The Bell e Bell Is The Truth, speculari, pur provenendo dalla medesima fonte sonora, delle piccole lampadine di vetro, fanno capo a date ed eventi distinti. Il primo è stato creato per una serata di performance dedicate al tema della luce, avvenuta a Saarbrücken, mentre il secondo è la colonna sonora di un`installazione berlinese. L`autore cita, come altri elementi che hanno suggestionato il lavoro, un sogno che gli ha ispirato la frase truth is the bell, bell is the truth ed un libro scritto nel 1880 dall`esperto in campanologia Jasper Snowdon.
“Speak No More About The Leaves”, gemma fra le gemme nel catalogo della portoghese SIRR.ecords, chiude in bellezza un anno prolifico sia per quantità sia per qualità . I tre brani del CD, liberamente ispirati alla figura di Arnold Schönberg, rappresentano una delle sue scritture più lucide e brillanti, e superano, argutamente, la trappola insita in una prova così rischiosa. Sarebbe stato facile, infatti, lasciarsi tentare dalla presunzione di misurarsi alla pari con il grande compositore viennese, cercando magari di affrontarlo in capo aperto, senza trucchi, nel suo stesso terreno, in un`opera che avrebbe potuto essere solamente pretenziosa. Roden, da persona intelligente qual è, non cade nella trappola, e affronta il tema con la consueta modestia e semplicità , qualità che mai difettano ai grandi, cercando di traslare il traslabile all`interno di quello che è, ormai, un suo linguaggio consolidato, e solidificato. Di Schönberg, semmai, viene conservato il mood umorale mentre, per il resto, Roden si affida al testo di un lieder scritto dal poeta Stefan Gorge, Das Buch der hängenden Gärten, utilizzandolo come struttura base per la tessitura dei tre brani del disco. In Airria (Hanging Garden) è lo stesso Roden che canta / legge parte del testo, e la voce, processata elettronicamente, viene usata come unica sorgente sonora. Speak No More About The Leaves è il brano, strutturalmente, più complesso, in quanto utilizza le vocali del testo come punti di riferimento nel percuotere, su 5 tonalità diverse, una piccola campana. Nella terza traccia, infine, la voce di Roden si sovrappone ad alcuni campioni estrapolati dall`opera di Schönberg. Parlare di capolavoro è obbligatorio.
Il musicista, parallelamente a questi lavori in perfetta solitudine, ha preso parte anche ad alcune compilation, e si è impegnato in qualche collaborazione, la citazione di almeno tre lavori di questo tipo è imprescindibile al fine di tracciare una mappatura obiettiva della sua produzione più recente, ovverosia al fine di svolgere correttamente il tema di questo articolo.
“(For Morton Feldman)”, uscito nel 2002 per la Trente Oiseaux, è un disco ingiustamente sottovalutato, pensate che lo stesso Roden si è dimenticato di inserirlo nella discografia compilata per il suo sito personale. Peccato, perchè si tratta di un lavoro molto buono. Il tributo a Feldman, assemblato a sei mani insieme a Bernhard Günter e Richard Chartier, è stato realizzato da tre musicisti che, in qualche modo, hanno tratto ispirazione dal suo lavoro, e quindi non è una delle solite compilation a cui si partecipa perchè è importante partecipare. Il brano di Roden è basato su un loop dalle caratteristiche molto poetiche e, nella parte finale, è possibile sentire anche un uso soffice della voce, vale a dire che si tratta quasi di un`anticipazione del successivo lavoro dedicato Schönberg. Molto bello è anche il brano di Günter, con registrazioni di pioggia invernale, ruscelli e shō, mentre soltanto Chartier risulta un po` sopra le righe, con il suo `blob` di silenzi e bisbigli digitali che, più che dedica, appare come un tentativo di rivisitazione.
Il 2003, invece, ha portato con se due ottime collaborazioni complementari: “Shimmer / Flicker / Waver / Quiver” (Brombron) con Jason Kahn e “Broken. Distant. Fragrant.” (Rossbin Production) con i tu m`. I due lavori rappresentano forme collaborative riferibili al presente / futuro e al presente / passato. Il CD con i tu m` nasce, infatti, da uno scambio di file, mentre “Shimmer / Flicker / Waver / Quiver” è il frutto di una session improvvasativa in vecchio stile, ossia con i due musicisti presenti in carne ed ossa dentro uno studio di registrazione. Entrambi i lavori sono d`ottima fattura, con Roden che si dimostra musicista tout court e non solo inventore, a tavolino, di pur superbe installazioni. Il CD con Jason Kahn, in particolare, è consigliabile per l`armonia che scorre tra i due e, pure in un contesto di strutture ripetitive, per la varietà di situazioni ideate.
Steve Roden, in conclusione, ha classe e inventiva da vendere, le sue composizioni si distinguono per qualità e originalità , sia timbriche, sia strutturali e sia estetiche. La sua musica, ricca di particolari, è sempre incredibilmente fluida, anche quando appare soggiogata da un`immutabile fissità . Roden è come quei fotografi, o pittori, che riescono ad estrapolare l`idea di movimento anche da figure sostanzialmente immobili.
Un autentico artista.


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