Wadada Leo Smith    di e.g. (no ©)















“Per noi neri il mezzo di
cui possiamo servirci,
con intensità particolare,
come avanguardia, è
proprio la musica, allo stesso
modo come per le classi
lavoratrici europee questo
avviene nella sindacalizzazione”

(Leo Smith)



Nato nel 1941 a Leland, Mississippi, Leo Smith è un chicagoano d`adozione. E` ancora giovanissimo, infatti, quando la Windy City lo accoglie con le sue enormi possibilità espressive. D`altro canto Leo Smith è già un provetto strumentista, avendo frequentato la High School, suonato in gruppi di blues, di musica improvvisata ed in varie bande (militari e non). Un notevole stimolo ad intraprendere la carriera musicale giunge dal patrigno, Alex Wallace, chitarrista blues. A Chicago frequenta, nel periodo 1967-1969, la Sherwood School of Music e, contemporaneamente, entra nell`AACM, introdottovi da Roscoe Mitchell. L`AACM (association for the advancement of creative musicians) è una cooperativa nata il 9 Maggio 1965 - lo statuto è firmato da “Muhal” Richard Abrams, Malachi Favors, Jodie Christian, Phillip Cohran e Steve McCall - che si pone lo scopo di incrementare scambi, collaborazioni e occasioni di lavoro per i musicisti che vi aderiscono. Attraverso le sue scuole sfornerà , negli anni Settanta, alcuni fra i talenti più interessanti della nuova musica nera (un nome per tutti: George Lewis) e sarà , per tutto il decennio, un importante e imitato punto di riferimento.
All`interno dell`AACM conosce Anthony Braxton e Leroy Jenkins, con i quali inizia a collaborare. Alla fine degli anni Sessanta, come molti altri musicisti afro-americani, Leo Smith si trasferisce a Parigi, da dove, qualche anno dopo, torna in America, a New Haven nel Connecticut, e qui fonda una propria etichetta discografica, la Kabell. Trascorre gli anni Settanta studiando, alla Wesleyan University, insegnando e partecipando a numerosi corsi e/o seminari. E` la splendida stagione della musica creativa, e Leo Smith raggiunge una certa notorietà anche in Italia. Oltre a partecipare, come insegnante, ai corsi del CRIM nel 1978, è intervistato da Franco Bolelli e Gloria Mattioli per Gong (Novembre 1976) e due delle sue opere sono segnalate in “Musica da non consumare”, discografia indispensabile degli anni Settanta redatta dallo stesso Bolelli con Riccardo Bertoncelli. Nel corso del decennio approfondisce anche lo studio di diverse culture musicali (africana, giapponese, europea, indonesiana e americana) e mette a punto un proprio metodo d`improvvisazione detto Ahkreanvention. Dagli anni Ottanta segue con particolare interesse la cultura Giappone, anche grazie al matrimonio che lo unisce alla poetessa Harumi Makino. Le ultime notizie dicono che vive, e insegna, in California, dove ha stretto un buon rapporto con i musicisti della Cold Blue (Jim Fox in particolare).
Possiamo dividere la sua attività in quattro periodi che non si distinguono nettamente l`uno dall`altro e, anzi, tendono a invadersi l`uno con l`altro.


Il primo periodo coincide con i grandi collettivi, e con le grandi collaborazioni, interni all`AACM. Oltre all`Art Ensemble Of Chicago quell`associazione espresse altre due grandi formazioni collegiali: la Creative Construction Company e i più tardivi Air.
I componenti della Creative Construction Company variavano dai tre ai sei e, discograficamente parlando, solo in un`occasione l`ensemble si fregiò di questa denominazione. I due dischi pubblicati dalla CCC, in quanto tale, furono registrati in un concerto dato a New York nel 1970, con Ornette Coleman come supervisore alle registrazioni, e sono due classici assoluti dell`estetica chicagoana. Sul palco c`erano `Muhal` Richard Abrams, Anthony Braxton, Richard Davis, Leroy Jenkins, Steve McCall e Leo Smith, e i due vinili (omonimi) uscirono su etichetta Muse nel 1975 e 1976.
Il gruppo, con organico più ridotto, ha avuto però una vita decisamente più lunga, anche se le sue registrazioni sono state sempre accreditate al solo nome di Anthony Braxton. Già il disco d`esordio di quest`ultimo, “3 Compositions Of New Jazz” (Delmark, 1968), era stato inciso da un collettivo comprendente Smith, Jenkins e, sul secondo lato, Abrams. Proprio in quel disco avviene l`esordio, come compositore, di Leo Smith. La sua firma appare in calce a The Bell, un brano che ne lascia individuare, da subito, le caratteristiche in un profondo lirismo dall`afflato quasi mistico.
Il suono cristallino della sua tromba appare influenzato da Miles Davis e l`arte improvvisativo / compositiva da Ornette Coleman. La sua è come una forma di nostalgia, a volte resa più pungente dall`utilizzo delle sordine, verso quella che possiamo immaginare come un`ingenuità perduta, seppure senza rendersene conto e opponendo una strenua resistenza alla mendacia della nuova realtà . Direi che in tutta la sua vicenda musicale, a differenza di quanto fatto dai suoi vari pards, Leo Smith non si è mai mosso dalla sostanza di quel primo brano, ripetendone all`infinito il modello, allargandone magari la struttura, concentrandosi su uno dei dettagli o arricchendolo con nuovi particolari. I dischi del trio, allargato saltuariamente a quartetto dalla presenza di Steve McCall, sono spartiti fra le etichette Byg Actuel e Arista Freedom e, quasi sempre, contengono brani firmati da Smith.
Silence, sull`album omonimo (Arista Freedon, 1969), è uno dei suoi capolavori. Il titolo spiega di cosa si tratta, ma il silenzio di Smith, su cui si calano casualmente uno stridore di corde, un soffio d`ancia, un tintinnio percussivo..., non è mutuato tanto dalle teorie di John Cage quanto da quel senso di profonda contemplazione che era già stato carattere distintivo nella musica di Monk e Coleman. Lo stesso Braxton, al momento di comporre "For Trio", ne risulterà fortemente influenzato. Fra le collaborazioni di questo primo periodo, in gran parte connesse con la produzione degli altri artisti AACM, sarebbe un crimine non citare l`album capolavoro di `Muhal` Richard Abrams, “Young At Heart / Wise In Time” (Delmark, 1970)


Il secondo periodo è legato alle vicende dell`etichetta personale Kabell e del collettivo aperto New Dalta Ahkri, oltrechè alla presenza nei grandi eventi che hanno scandito l`evolversi della musica improvvisata nel corso degli anni Settanta.
In quasi un decennio d`attività la Kabell pubblicò quattro dischi del trombettista, il primo e l`ultimo in solitudine, a racchiudere come parentesi gli altri due, che appartengono a formazioni diverse del New Dalta Ahkri. Nel primo dei due vinili il gruppo è circoscritto ad un trio che comprende, accanto a Smith, il pianista Anthony Davis e il contrabbassista Wes Brown. Nel secondo vinile, ai tre, si aggiungono il sassofonista Oliver Lake e il batterista Paul Maddox. All`interno del ridotto staff che ha registrato “Reflectativity” va segnalata, come curiosità , la presenza di un`ancora sconosciuto Gerry Hemingway.
I dischi Kabell sono stati ristampati dalla Tzadik, da circa un mesetto, in un cofanetto di quattro CD contenente numerosi inediti. Si tratta di un operazione piuttosto ben fatta, dato che i vari inediti risalgono allo stesso periodo del disco al quale sono stati affiancati, e ne ricalcano pure la scaletta dei musicisti impegnati. L`unica lacuna riguarda l`esclusione di due brani del quarto disco, Sarhanna e Kashala (entrambi suonati su un flauto del Ghana), che sono stati omessi su richiesta dello stesso Smith. Il titolo del cofanetto è “Kabell Years: 1971-1979”, mentre i vinili originali erano denominati “Creative Music - 1”, “Reflectativity”, “Song Of Humanity (Kanto Pri Homaro)” e “Ahkreanvention”.
Gli elementi principali che emergono, in questo periodo, sono il perfezionamento del multistrumentista, valutabile soprattutto nelle prove in solitudine, e la tendenza a privilegiare, nella scelta dei collaboratori, i giovani musicisti emergenti. Leo Smith usava vari tipi di tromba e flicorno, oltre a un innumerevole varietà di percussioni e strumenti provenienti dalle tradizioni asiatiche e africane. Nei concerti dal vivo era solito alternare, alla tromba e al flicorno, sia dei flauti dolci sia la karimba (aka kalimba, mbira o thumb piano), strumentazione che utilizzava per creare stranulate geometrie, astratte, atematiche e totalmente improvvisate.
Una citazione da un suo scritto dell`epoca può sicuramente aiutare a comprenderne meglio la filosofia, artistica e di vita: Nell`arte della musica (ritmo-suono) non ci sono che due tipi di discipline: l`improvvisazione (gli improvvisatori) e la composizione (gli interpreti). Improvvisazione significa che la musica è creata nel momento stesso in cui è eseguita, sia che sviluppi un dato tema, che si tratti di improvvisazione su un dato ritmo o suono (scrittura), sia, nella forma più pura, quando l`improvvisatore crea a prescindere da tutte queste condizioni, ma crea in quel dato momento, ricorrendo alla sua (di lui/di lei) intelligenza e alla sua immaginazione, un arrangiamento di silenzio, suono e ritmo che non è mai stato udito prima e che non sarà mai più udito dopo.
I due dischi a suo nome che uscirono verso la fine degli anni Settanta - "Divine Love" (ECM) e "Spirit Catcher" (Nessa) - possono essere considerati delle emanazioni del New Dalta Ahkri, con il vibrafonista Bobby Naughton al posto di Davis e Dwight Andrews al posto di Lake. Sono, questi, i lavori più raffinati del musicista, tanto da sfiorare, soprattutto nel disco su ECM, briciole di leziosità . Le cose più interessanti di questi dischi sono, rispettivamente, due composizioni estremamente particolari e riuscite, Tastalun per tre trombe (Smith, Lester Bowie e Kenny Wheeler) e The Burning Of Stones, dove la tromba del leader è accompagnata da ben tre arpe.
Questo è anche il periodo delle grandi collaborazioni e della partecipazione ai grandi eventi. La sua tromba è udibile nel contesto delle principali opere orchestrali registrate dalla Creative Orchestra e dalla Jazz Composer`s Orchestra. Partecipa ai concerti, organizzati a New York da Sam e Bea Rivers, che passeranno alla storia come “The New York Loft Jazz Sessions” e, in Europa, si esibisce sia con la Company di Derek Bailey (è presente nei dischi Incus che documentano le sessions del 1977) sia in un fantastico trio con Peter Kowald e Günter Sommer (due dischi su FMP ristampati in un unico CD). Da rammentare, relativamente alla seconda metà degli anni Settanta, è anche uno splendido concerto, totalmente improvvisato, dato in quel di Pisa insieme a Steve Lacy.
Fra le altre session indimenticabili c`è sicuramente quella, con George Lewis e Roscoe Mitchell, per il brano L-R-G che verrà inserito nel doppio disco su Nessa “L-R-G / The Maze / S II Examples” (1978) pubblicato a nome di Mitchell.
E` da tenere presente, infine, il suo impegno nella promozione dei giovani musicisti, ai dischi dei quali, come avviene par il bel “Clarity” del chitarrista Michael Gregory Jackson (in compagnia di Oliver Lake e David Murray), da spesso il suo utile contributo.
Sommessamente, accanto al polistrumentista / improvvisatore, va comunque affermandosi anche il raffinato compositore, tanto che una sua partitura viene incisa dal Revolutionary Ensemble, “Manhattan Cycles” (India Navigation, 1972), e altre entrano nel repertorio della Jazz Composer`s Orchestra.


Al terzo periodo appartengono la conversione al rastafarismo, la nascita dell`ensemble N`da Culture, l`incontro con il Giappone e il matrimonio con Harumi Makino. Si tratta del periodo peggio documentato, discograficamente, anche perchè realizzazioni interessanti come “Human Rights”, “Procession Of The Great Ancestry” e “The Sky Cries The Blues” (con la Creative Musicians Improvisers Orchestra) sono cronicamente introvabili.
Ipoteticamente questo periodo inizia con “Rastafari” (Sackville, 1983 - ristampato in CD nel 2003 dalla Boxholder Records), un disco inciso con il Bill Smith Ensemble, e penetra poi a fondo nella fase successiva, protraendosi fino al presente. “Rastafari”, a differenza di quanto può far pensare il titolo, non è un disco reggae, ma un lavoro di jazz cameristico (oltre ai due Smith, che suonano strumenti a fiato, ci sono vibrafono, contrabbasso / violoncello e violino) che dilaziona gli ultimi lavori del periodo precedente. Alcuni elementi, come il titolo e il brevissimo interevento vocale in apertura, fanno però presagire gli sviluppi futuri. Soprattutto l`intervento vocale, limitato alla parola rastafari, fa pensare che qualcosa all`interno del musicista si è probabilmente rotto, o dissolto, ma che si è trattato comunque di una rottura di vita (la cosiddetta rottura delle acque... e qui potremmo filosofare per mesi).
L`embrione era, comunque, già formato da tempo, e lo troviamo teorizzato nei suoi scritti (fra i quali c`è il saggio “Note sulla natura della musica”): Questo libro tende a sviluppare un profondo grado di consapevolezza del fatto che l`improvvisazione è una forma d`arte. Io ritengo che la musica creativa, quella afroamericana, quella indiana, quella balinese e panislamica abbia contribuito molto su questo piano; credo anche che si sia creato un equilibrio nel campo della musica mondiale (Africa, Asia, Europa, Euro-America, Afro-America) e che questa musica potrà alla fine abbattere il dominio politico dell`Euro America nel mondo. Quando questo avverrà , credo che solo allora ci sarà possibile fare delle riforme politiche veramente significative nel mondo: la cultura infatti si identifica col mondo in cui viviamo; la politica non è altro che il modo in cui la nostra vita è diretta.
Gli sviluppi preannunciati si concretizzano completamente nel bel “Kulture Jazz”, inciso in completa solitudine per l`ECM (1993). La strumentazione, oltre all`utilizzo della voce, è ormai allargata anche ad armonica e koto. Il disco non rappresenta, comunque, una rottura con il passato che, se mai, viene rivisto sotto un`altra ottica. Ciò è confermato dalla riproposizione di vecchi brani, come Song Of Humanity (Kanto Pri Homaro), che si affiancano a quelli che entreranno di forza nel repertorio futuro, come la sentita dedica alla madre Mother: Sarah Brown-Smith-Wallace. La volontà di non cercare nessuna rottura, che, se c`è, è più di tipo spirituale, è confermata dalle dediche a Louis Armstrong, Albert Ayler, Billie Holiday e John Coltrane. La sua, a differenza di quella dell`Art Ensemble Of Chicago, non è rilettura, o citazione, della tradizione, ma si tratta di una vera e propria assimilazione, come se l`uomo tendesse a sciogliersi in essa (o, meglio, in esse), soprattutto le più popolari, per poi rigenerarsi.
I suoi percorsi musicali, pur restando estremamente introversi, si sono fatti, decisamente, meno tortuosi e N`da Kulture rappresenta la visione collettiva di tutto questo. Lo splendido “Golden Hearts Remembrace” (Chap Chap Records, 1997) fa il punto definitivo su questa ricerca che comprende musica, poesia, memoria, affetti, religione. In Leo Smith non esistono una sfera privata e una sfera pubblica, una sfera interiore e una sfera esteriore, l`uomo e il musicista, ma un`unica sfera che comprende tutto: tangibile e immaginario, noto e ignoto, reale e irreale, pensieri e parole, materiale e spirituale... se dovessi fare un paragone lo farei con Sun Ra, perchè nel mondo di Leo Smith, come in quello dello scomparso band leader, non ci sono fratture fra quelli che sono i vari aspetti dell`esistenza, e fra quelli che sono gli elementi del passato e quelli di una, pur necessaria, evoluzione. L`ensemble comprende David Philipson (bansuri e tambura), William Roper (basso tuba), Glenn Horiuchi (piano e shamisen), Sonship Theus (batteria e percussioni) e Harumi Makino (voce recitante). Fra i brani c`è lo splendido Golden Hearts Remembrance, A Nur Bakhshad che, con il suo ritmo ossessivo, riesce a ricordare il Miles Davis migliore. Fra gli altri titoli, è impossibile non citare Emmeya, ispirta dedica al patrigno Alex Wallace, un uomo che, come abbiamo detto, ha avuto una forte influenza nella sua vicenda artistica.
“Dream And Secrets” (Anonym, 2001), il secondo CD del collettivo, è stato realizzato insieme alla band di Thomas Mapfumo.
Un ruolo importante nelle vicende di questo periodo è svolto da Harumi Makino, idealmente sempre presente: in una dedica, nel testo di una poesia, in un disegno, in una foto... I due, da bravi coniugi, hanno pubblicato anche il bel “Condor, Autumn Wind” (Wobbly Rail, 1998), registrato dal vivo in familiare collaborazione.
In questo calarsi nelle tradizioni va compresa anche l`affermazione pubblica (finalmente!) dell`ammirazione nutrita per Miles Davis, e, anche in questo caso, non si tratta di rilettura ma di un trasferimento all`interno del musicista Davis. La prima espressione di questo recupero avviene con la formazione del gruppo Yo Miles! (insieme a Henry Kaiser), il cui disco d`esordio (Shanachie, 1998) era interamente votato alla riproposizione di brani del grande trombettista. Ancor più definita è la formazione del Golden Quartet, con Anthony Davis, Malachi Favors e Jack DeJohnette. Se il primo disco su Tzadik era bruttarello, il capitolo successivo, “The Year Of The Elephant” (Pi Recordings, 2002) è davvero suadente. Fantastica la dedica Miles Star in 3 parts: I-II) Star/Seed, III) Blue Fire.
Tracce del rapporto preferenziale con il Giappone, oltre che nel matrimonio con Harumi, rimangono anche in alcune pubblicazioni (“Golden Hearts Remembrace” è uscito su etichetta giapponese) e collaborazioni, molto bello è il tandem con il percussionista Sabu Toyzumi, “Cosmos Has Spirit” (Scissors, 1992), registrato in concerto al Hair Salon Fuji il 13 Aprile del 1992.


Il quarto periodo, che si sovrappone sostanzialmente alle ultime propaggini del precedente, è quello relativo agli ultimi otto anni, nei quali, per merito della Tzadik, c`è stata una riscoperta del musicista. Non tutto ciò che Leo Smith ha pubblicato per l`etichetta diretta da John Zorn è di pari livello, ma ci sono comunque cose veramente notevoli. Alcuni brani sono accreditati all`ensemble N`da Kulture, ma si differenziano da quelli già segnalati per una presenza ritmica meno marcata e tradizionale. Togliendo il cofanetto “Kabell Years” e il “Golden Quartet”, di cui abbiamo già detto, rimangono da trattare cinque CD.
“Reflectativity” è una rievocazione storica del vecchio disco Kabell, con Malachi Favors al posto di Wes Brown. Sinceramente non ho mai capito quest`operazione, so soltanto che mi ricorda quelle cene, fra ex compagni di classe, di cui ho sempre fatto a meno ben volentieri. Fortunatamente, accanto ad esso, ci sono i quattro restanti lavori che sono dotati, tutti, di buoni motivi d`interesse.
Soprattutto “Tao-Njia” (1996) e “Luminous Axis” (2002), che contengono alcune fra le sue opere più riuscite. Il primo comprende tre splendide composizioni di stampo quasi cameristico. Nelle prime due viene fatto largo uso di strumenti tradizionali come campane tibetane, campane tubulari e flauti dolci, la prima di esse è dedicata a Lucius G. Smith (probabilmente si tratta del padre) e Toru Takemitsu e la seconda è un memorial per Don Cherry diviso in sei movimenti. La lunga title-track è stata ideata, invece, per un largo ensemble cameristico, fra i musicisti coinvolti ci sono alcuni elementi del giro Cold Blue (California E.A.R. Unit), come Marty Walzer, Robin Lorentz e Erika Duke-Kirkpatrick.
In “Luminous Axis”, sottotitolato “The Caravan Of Winter And Summer”, il musicista mette a confronto la sua tromba e il suo flicorno con una triade di situazioni diverse: con le percussioni di William Winant in un brano, con le elettroniche del quartetto Tim Perkis, Chris Brown, Mark Trayle e John Bischoff (non sempre al completo) in quattro brani e con le elettroniche di Ikue Mori in tre brani. I restanti sette brani sono affidati a una struttura più complessa, che prevede l`utilizzo sia del quartetto elettronico sia delle percussioni di Winant. Si tratta, naturalmente, del disco più avventuroso, e al passo con i tempi, fra quelli pubblicati da Leo Smith dopo questo suo ritorno in grande stile.
Ancora qualche parola per dire degli altri due dischi pubblicati su Tzadik, “Red Sulphur Sky” è il suo quarto episodio in completa solitudine e, rispetto ai precedenti, il musicista si limita all`utilizzo di tromba e flicorno. Si tratta di un lavoro decoroso, ma nulla più, come pure “Light Upon Light”, riservato essenzialmente all`aspetto più puramente compositivo, con dei brani eseguita da ensemble che non contemplano la presenza dell`autore e con un ampio coinvolgimento dei musicisti del California E.A.R. Unit.
L`aspetto puramente compositivo, che in Leo Smith è stato sempre fottutamente importante, è andato a svilupparsi ulteriormente e le sue composizioni vengono eseguite da alcuni dei maggiori ensemble contemporanei. Lo stesso Smith dice di avere composto il primo brano, per tre trombe, all`età di dodici anni, e si dichiara influenzato da Béla Bartók, Charles Ives, Ornette Coleman e John Cage. Il Southwest Chamber Music ha pubblicato un intero CD (su etichetta Cambria) di sue composizioni.
Nel 2003 la Pi Recordings ha licenziato un CD, registrato in concerto, di duetti con Anthony Braxton. Si tratta di un lavoro non trascendentale, ma è la prima volta, a quanto mi risulta, che i due vecchi compagni d`armi si `scontrano` frontalmente senza terzi incomodi (detto, come sempre, in riferimento alla produzione discografica). Potete leggere del disco nello spazio riservato alle recensioni.
Fra le altre collaborazioni di quest`ultimo periodo, citerei la partecipazione a un disco di Matthew Shipp nel 2001 (su Thirsty Ear) e quella a “The Unknown Masnada: Anniversary Edition Vol. 3” (Tzadik) nel 2003.
L`ultima release è una collaborazione con il duo Spring Heel Jack pubblicata su Thirsty Ear, si tratta di un disco che, insieme a “Luminous Axis”, potrebbe rilanciare definitivamente Leo Smith nell`ambiente dell`avant jazz. Riferiremo quanto prima.
Altre notizie su Leo Smith, più una discografia, potete trovarle nel suo sito, che purtroppo non è molto aggiornato, http://music.calarts.edu/~wls/.




Scriveva, nel 1979, Marcello Piras:
Leo Smith è comunque uno dei personaggi
più stimolanti del jazz di oggi. Il suo ruolo appartato,
naturalmente non ne fa un vettore storico. La sua poetica,
come la musica, non porta da nessuna parte.
Va assaporata, semplicemente.

Ma non sta qui, in fondo, la sua grandezza, in questo essere
fuori dal mondo. Ci sono musicisti che precorrono i tempi
e altri che sono fuori dal tempo. Leo Smith fa parte dei secondi,
e poi a noi, detto in tutta sincerità , cosa ce ne frega, alla fin fine,
dell`evoluzione della musica?



Le citazioni sono tratte dai libri: “Musica Creativa”
(SquiLibri, 1978) di Franco Bolelli;
“Note sulla natura della musica” (Nistri-Lischi, 1981)
di Leo Smith; “Il Jazz degli anni `70” (Gammalibri, 1980)
di Luca Cerchiari, Gianni Gualberto, Giuseppe Piacentino
e Marcello Piras.


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