John Russell (intervista)    
di Andrea Ferraris


English version on
Chain D.L.K.




Scrivere un cappello introduttivo per quest`intervista mi sembra quasi una bestemmia, un po` per l`umiltà e la profondità delle risposte di Russell, un po` perchè gente come lui non dovrebbe neanche aver bisogno di essere presentata anche perchè oltre a “flirtare” regolarmente con Evan Parker gestisce un trio in comproprietà con Phil Durrant e quel John Butcher (di cui avete potuto leggere una splendida intervista su queste stesse pagine) poi a seguire Chris Burn Ensemble, duo con Stephan Keune, Roger Turner, Phil Minton, Gina Southgate, Hugh Davies, Luc Houtkamp, London Air Lift (sempre con Parker), John Edwards, Mark Sanders, e di recente oltre ad innumerevoli altri meeting ha performato varie volte con Gianni Mimmo con il quale ha registrato un quartetto che annovera anche Andrea Serrapilio al violoncello e Jean Michel Van Schouwburg alla voce. Se questo non vi sembrasse ancora abbastanza, dovreste prendere in considerazione il fatto che si tratti di un chitarrista che da allievo di Derek Bailey si è mosso verso un suo stile e la cui discografia è partita su Incus per approdare su di una label altrettanto di culto come la Emanem. Accordi in dissonanza, linee armoniche, corpo dello strumento che prende voce, studio dei materiali impiegati a partire dal plettro e soprattutto un`attenzione maniacale alla dinamica di ciò che sta accadendo dentro e fuori alla performance (come se esistesse un dentro ed un fuori), ma quel che conta di più un suono che è andato sviluppandosi ed invecchiando al meglio come certi legni pregiati.


Chi ti ha comprato la prima chitarra e chi ti ha portato ad una così forte passione per la musica? Sulla copertina di "Home cooking" sei ritratto con tua nonna, è stata direttamente responsabile in qualche modo?
Non ho mai conosciuto mia madre essendo stato abbandonato presso i genitori di mio padre quando avevo solo quindi mesi. A quanto pare le parole con cui fui lasciato furono: «eccoti qui mamma...qui c`è un regalo per te». Ho vissuto in un ambiente rurale e quando avevo undici anni sono andato a scuola nella città più vicina, uno dei ragazzi nella mia classe portava la chitarra e usciva con i più alti che sembrava sapessero molto di più quello che accadeva al mondo rispetto a ciò che sapevamo noi ragazzi di prima. Tornato a casa feci impazzire i miei nonni perchè mi comprassero una chitarra ed il giorno dopo, andando in città , mio nonno non si prese le scarpe che voleva ma mi comprò una chitarra. Avevo un libro per imparare gli accordi e ad ogni pausa pranzo chiedevo ai ragazzi più vecchi come suonare le cose, così con l`aiuto di una piccola biblioteca, di vari libretti, degli eventi musicali scolastici e di qualche amico che aveva più soldi per comprare i dischi, sono riuscito a mettere insieme un minimo di tecnica di base. Mio nonno è morto quando avevo tredici anni un mese prima di andare in pensione. Aveva sempre promesso che mi avrebbe costruito una chitarra quando sarebbe andato in pensione ed era un uomo molto pratico a cui piaceva lavorare con il legno, sono sicuro che sarebbe riuscito a fare un bello strumento. La fotografia dalla copertina di “Home Cooking” ritrae me e mia nonna che stiamo sui gradini della casa in cui sono cresciuto e dove avevo registrato il disco. Era una vecchio capanno militare con le mura di amianto e fuori era ricoperto da una mistura di pietre e cemento che lo facevano apparire ancora più solido. La casa era a qualche kilometro dal villaggio così non è che ci fossero molte distrazioni e quando volevo suonare la chitarra non avevo problemi, seppur una volta suonando con un ampli da quattro watt qualcuno si lamentò da qualche kilometro di distanza...avevo probabilmente scoperto il feedback!!..ha,ha. Dall`età di quattordici quasi tutti i sabati ero abituato ad andare a vedere i gruppi più trendy che suonavano in un locale di Folkestone: Colosseum, Blodwyn Pig, The Soft Machine, Van de Graaf Generator, Ten Years After, Patto, The Strawbs, Barclay James Harvest, insomma le stesse cose che suonavo ogni settimana in un gruppo composto di musicisti locali per cui io scrivevo il materiale ed in cui mi occupavo anche di tutti gli assoli! Beh, magari non proprio tutti, ma ero portato ed ero capace di tirare fuori molte idee.

Quando e come sei stato travolto dalla libera improvvisazione?
Beh, avevo letto un articolo di Robert Fripp dove diceva che i suoi tre chitarristi preferiti erano Segovia, Julian Bream and Jimi Hendrix e che la gente che spingeva i confini dello strumento più in là erano invece Derek Bailey e Sonny Sharrock. Nella visita successiva che feci in città il mio amico ordinò (a quei tempi non cerano grossi distributori come Cartel) un paio di dischi di Tony Oxley (The Baptised Traveller e Four Compositions for Sextet) e provai a capire che cosa stavo sentendo suonato sulla chitarra. Avevo anche letto di John Cage e sentivo qualunque cosa che potevo trovare e che pensavo fosse «là fuori, da qualche parte». Nel mio gruppo cercavo di fare qualche specie di struttura di fondo su cui suonare a caso facendo cascare le mie dita sulle corde. Allo stesso tempo cercavo di ottenere pezzi su tempi difficili che avessero parole stupide nelle “canzoni”, tieni conto che impazzivo per Zappa all`epoca!. Ad ogni modo, quando lasciai la scuola (alla prima opportunità ) andai a lavorare in una fattoria perchè non volevo un lavoro da carrierista. Uno dei musicisti della band andò al college ed imparò a fare strumenti e là conobbe un bassista che riteneva io dovessi assolutamente incontrare, attraverso lui trovai un altro gruppo di musicisti che viveva in una città a nord di Londra, mi ci spostai e trovai un altro lavoro da contadino. Eravamo soliti andare a Londra a vedere i concerti del Musicians CO-Op, da Ronnie Scotts e dalla London Jazz Composers Orchestra e qui accaddero un buon numero di cose importanti. Conobbi Derek Bailey che mi disse che dava lezioni di chitarra e sentii Evan Parker per la prima volta. In mezzo al pubblico riconobbi qualcuno che avevo già conosciuto nei primi anni di scuola, lui aveva lasciato la scuola dopo il primo anno e prendeva lezioni di batteria da John Stevens. Ci incontrammo e ad un altro concerto mi fece conoscere un altro batterista, Dave Salomon. Dave andava al Little Theatre Club ed io chiesi se se la sarebbe sentita di suonare cosicchè avremmo potuto suonare là in duo. Dave aveva un kit diverso dai batteristi rock a cui ero abituato, ma io usavo ancora una chitarra elettrica (Grimshaw Les Paul) e suonavo amplificandomi con un Orange da cento watt affittato, era un po` troppo esagerato per un locale che aveva posti per sole trenta persone!. Le lezioni da Derek erano molto utili, le sue prime parole furono: «io non ti insegnerò come suonare», io risposi che volevo imparare più che potevo sulla chitarra. Andavo una volta a settimana, per un anno e Derek tenne fede alla sua parola tanto che imparai alcune cose molto importanti in merito a suonare con plettri convenzionali, scale, dare voce agli accordi e cose simili. Mentre sviluppavo solide fondamenta sull`uso delle tecniche convenzionali incominciai a suonare con altri musicisti al The Little Theatre Club e mi spostai a Londra. Suppongo che all`inizio fossi stato attratto dalla libera improvvisazione su disco perchè suonava differente da qualunque cosa avessi mai sentito. Ne ero rimasto colpito immediatamente dopo averla sentita suonare live per la prima volta (mi è rimasto impresso nella memoria in particolare un assolo di Evan), sentii che per me era una cosa molto diretta. Per metterla in modo molto più breve: su disco la musica mi aveva solo intrigato e basta, ma dal vivo mi aveva travolto.

L`altro giorno stavo leggendo una delle ultime interviste a Luciano Berio e parlando dell`improvvisazione diceva: «...per quanto io stesso pensi che ci sono alcune eccezioni a questo...l`improvvisazione è stata un buon nascondiglio per molti musicisti non professionali che probabilmente erano più portati a cercare un buon alibi che nel giudicare loro stessi in relazione ad una qualsiasi prospettiva storica della musica...»
Accidenti! Se mi sentissi caritatevole mi limiterei a definire i commenti di Berio come indigesti, ma immagino ci sia ben più dietro questa frase. Sembra molto insicuro e bacchettare l`improvvisazione lo sminuisce, sminuisce la sua eredità , la musica in generale ed in particolare l`improvvisazione. “Un buon alibi” e “buoni nascondigli” possono anche essere trovati nel “professionismo” e nella “storia della musica”, come possono essere ritrovati ovunque. In qualsiasi ambiente c`è un buon numero di dilettanti e di ciarlatani, così uno deve chiedersi perchè quest`uomo se l`è presa con l`improvvisazione in modo così lamentevole. Forse su un piano personale lui ha avuto delle pessime esperienze in merito e non è andata bene, non l`ha capita, o più semplicemente sospetto che ci siano dietro delle ragioni più nascoste. Molti compositori nel passato hanno screditato l`improvvisazione proprio perchè non è composta e così gli toglie il ruolo, poi c`è una spinosa questione di soldi, io penso che l`improvvisazione di gruppo se fatta al meglio sia molto egualitaria mentre con la composizione ci dev`essere una gerarchia alla cima della quale c`è il compositore. Un effetto collaterale di questo è che le commissioni per comporre sono più tangibili e comprensibili per i burocrati, lo spartito è più facile da percepire come il risultato del lavoro. Forse lui era spaventato dal fatto che l`improvvisazione rappresentasse una minaccia o per la burocrazia che supportava la sua musica. In tal caso io penso che sia stato un po` stronzo perchè per quello che ne so io, c`è veramente poco supporto per la musica improvvisata, che d`altra parte è sempre stato un mare poco interessante perchè lui ci nuotasse. Per quel che mi riguarda tutta la polemica è piuttosto palese e noiosa e non ho molto da aggiungere oltre al fatto che buoni improvvisatori improvvisano creativamente per creare buona musica e buoni compositori compongono creativamente per fare buona musica e che per me la musica è stata ed è una cosa meravigliosa.

Ultimamente ascoltando molti ensemble di improvvisazione sia dal vivo che su disco, mi sono ritrovato a pensare che spesso molte delle improvvisazioni forse finissero per essere un po` prevedibili. Non pensi che con la giustificazione sociale di improvvisare, molti musicisti stiano seguendo in modo cieco dei dogmi come accadde nel free-jazz dove molti suonano come una pallida imitazione di quello che Ornette Coleman faceva tempo fa?
Penso che la musica proceda per imitazione e ripetizione. Sentiamo un suono che ci piace e lo vogliamo copiare e scopriamo com`è fatto. In modo simile scopriamo un suono quando suoniamo, ci piace e cerchiamo di capire come ripeterlo. Questo certamente nasce da un desiderio naturale di conoscere la materia di cui si compone la musica e le capacità dei nostri strumenti, ma non dalla musica in sé. Penso che un suono abbia la qualità di poter star da solo ma per rappresentarlo come musica per me è un po` come catturare un animale raro per poi mettere la sua testa in mostra appesa ad un muro. Il suo uso all`interno di un contesto è ciò che ci porta vicino a ciò che la musica è realmente. Nella libera improvvisazione noi proviamo a costruire una banca di tale materiale che sia adattabile e questo può portare a fare sì che certi suoni siano più adatti di altri. Ad ogni modo qualche suono ci arriva e la cosa importante è (e lo è per davvero) essere aperti a queste possibilità . Di recente ho sentito una bella frase di Picasso, qualcuno gli diceva di non capire i suoi quadri e lui gli chiese se gli piaceva il prosciutto. Quando l`altro rispose di sì, lui disse: «ma tu lo capisci?» E` un processo che va in due direzioni di creare e di scoprire. Alcune persone fanno grande musica con un arsenale esiguo, mentre altri hanno grandi risorse da portare avanti così finisce che non c`è una diretta correlazione fra l`abilità di musicista e quella del creare buona musica. Credo anche che non ci sia una cosa riguardante il raggiungimento di una tecnica veramente onnicomprensiva, infatti c`è sempre qualcosa di nuovo. Suppongo sia solo questione di andare avanti ed essere aperti alle varie possibilità . Per parafrasare il direttore inglese Sir Thomas Beecham, non è solo questione di provare piacere nel suono che si fa. Per ciò che riguarda la “giustificazione sociale” di cui parlavi, suonare musica improvvisata è stato illegale nel passato e magari lo sarà anche in futuro, ma a nonostante sia vista da parte di un buon numero di persone dell`estabilishment come un`attività periferica e anche pericolosa, ci è ancora permesso di farla. Non tutta sarà buona e non tutta sarà cattiva, alcune cose saranno sublimi ed alcune esecrabili. E` bene ricordare che una definizione generica (jazz, classica, folk, barocca, elettronica, etc.) non è una garanzia di qualità , ma solo una descrizione sommaria di un`area. Ciò che sembra un salto in avanti verso un nuovo territorio per una persona, quasi sempre risulta essere il prodotto della conoscenza di un contemporaneo o di un predecessore. Comunque ho incontrato gente che dice che vorrebbe suonare liberamente ma che non intende farlo fino a quando non saprà suonare come Charlie Parker, Sonny Rollins, John Coltrane ed Ornette Coleman. Quest`affermazione mi ha sempre colpito perchè è sia arrogante che irrispettosa nei confronti dell`enorme creatività di quei musicisti, se non più semplicemente una frase stupida.

E cosa mi dici della melodia? Ultimamente ho avuto una lunga discussione con un amico, lui era infastidito dal fatto che molti improvvisatori, soprattutto europei siano in qualche modo spaventati dal fatto di suonare qualcosa che non fossero note soffocate, strumenti strofinati e suoni afoni. Molto spesso mi sono anche chiesto se per alcuni musicisti suonare anche solo una frase melodica non rappresentasse una sconfitta. Quando penso ad AMM, all`ultimo Bailey, a Evan Parker...penso che la loro musica era ed è in qualche modo melodica o quanto meno a forti tinte emotive...
In prima istanza a me piace il fatto che ogni suono che possiamo produrre con uno strumento possa essere valido come materiale musicale. In merito ai suoni: che possiamo fare per far convergere le informazioni? Timbro, nota, dinamica, posizione, posto in un dato tempo e tempo stesso possono tutti essere manipolati per ottenere un buon risultato. Cerchiamo anche un set di materiali che non siano definiti a priori, uno che possa essere aperto ad essere usato nella musica in tempo reale. Tutte le cose infatti sono possibili, tanto come tutti i tentativi di universalizzare generalmente falliscono. Questo paradosso comunque, per me, è causa gioia perchè crea porta a dei picchi di creatività e celebra l`unicità di ogni singolo musicista. Qualche volta la transitorietà che si trova nell`attacco di una nota porta una quantità di informazioni e la soffocazione, lo sfregamento o il suono afono possono essere il risultato di questa esplorazione. Tutto ciò può anche derivare dal desiderio di imprecisione e di ambiguità che sono cose molto utili nell`improvvisazione ed anche in certi tipi di musica composta. Comunque mi piace anche che lo strumento mi mostri delle cose e mi faccia sentire la sua voce, che canti come può e credo che questo cambi costantemente la posizione di forza fra musicista e strumento e che sia un fattore cruciale nel fare musica. Anche la forma della musica è importante e ci sono una narrazione tanto come un`anticipazione nel modo di suonare. Questo può portare ad una forma melodica, praticando diverse relazioni di toni nella forma delle scale e dei loro rispettivi armonici, non è valutabile nè per le dita nè per le orecchie e nemmeno per le idee. Da qualche parte in tutto questo processo è semplice desiderare di far suonare il tutto melodicamente buono, quando iniziai a lavorare in trio con John Butcher e Phil Durrant provavamo ogni settimana concentrandoci su uno specifico aspetto del suono. «Suoniamo in modo soffice a basso volume», «melodicamente ad alto volume», «quattro pezzi brevi senza sviluppo», etc. Questi erano solo esercizi e vedevamo cosa usciva fuori dal gruppo e che cosa potevamo produrre assieme o cosa potevamo fare all`interno di quella dimensione. E` stato compiuto consciamente senza idea di perfezionare della musica pre-ordinata. L`integrità non deriva dal decidere se suonare melodico o no, ma dal fatto che uno sia sincero verso la musica del gruppo in cui suona senza che per questo abbandoni la propria identità per poterne fare parte.

«...ma dal fatto che uno sia sincero verso la musica del gruppo in cui suona, senza abbandonare la propria identità per farne parte.»...così, quand`è accaduto che John Russell ha scoperto la sua identità ? Quando e come è successo che hai iniziato a pensare che non eri un imitatore ma che avevi il tuo stile?
Non c`è una risposta semplice a questa domanda, da una parte sarei tentato di dire mai, dato che mi tengo sempre aperto alle influenze che ricevo da altri musicisti. E` questione di provare le cose e vedere se vanno bene. Alcune cose accadono quasi fluide, ad altre serve venir alterate, mentre altre ancora devi scoprirle da solo. Dopo aver copiato gli assoli rock nei miei primi anni, certamente una grande influenza fu quella di Bailey ed io andai veramente a bagno nel suo modo di suonare l`intero strumento, ma presi anche a bordo George van Epps soprattutto nei termini in cui osservare la tastiera e così mi trascrissi suoi assoli di banjo e li incasinai insieme ad altre cose con delle chitarre preparate. Di base feci tutto ciò buttando dentro al calderone qualunque cosa potessi trovare e che ritenessi potesse suonare bene. Quando lasciai la chitarra elettrica nel 1974 pensai che stavo davvero andando da qualche parte, feci la decisione conscia di non ascoltare troppo la musica di Derek Bailey per un po` di anni perchè volevo uscire dalla sua ombra. Così allora mi trovavo con un`acustica ed un intero mucchio di musicisti con cui suonare e nessun posto in cui nascondermi...ha, ha...Suppongo che allora sia arrivato un graduale processo di definizione di ciò che mi andava meglio e iniziai a lavorarci su. Ogni tanto mi imbatto in qualcosa che funziona e cerco di analizzarlo per vedere se può essere sviluppato. Altre corde, differenti parti del manico, inversioni, etc...e cerco sempre di guardarmi intorno per trovare altre relazioni e cambiare attitudine nell`approccio al materiale, intendo più su un piano personale/emotivo. Penso che ciò che funzioni per me al momento sia la preparazione fatta prima del concerto (quindi non: «ragazzi, cinque minuti prima di suonare!»e via) e l`opportunità di potermi rilassare prima di suonare (ma non un lasso di tempo così lungo da perdere la concentrazione, certo!). A Charlie Parker qualche volta piaceva lasciare il club fra i diversi concerti per poter guardare le stelle o per camminare nel parco. Lui lo chiamava “cambiare lo scenario mentale” e sento che questo è una cosa che accade anche all`interno dell`atto di suonare stesso. Penso che le cose succedano in un certo tempo e da lì continuino a crescere, non credo che ci sarà mai un tempo in cui penserò che ci siano “giusto e/o sbagliato” e ritengo che l`aspirazione di un musicista dovrebbe essere rivolta più all`essere “presente” piuttosto che all`essere “autocosciente”, se capisci quello che voglio dire. Soprattutto quando quello che fai diventa godibile (nel senso che ti dà qualcosa indietro) e quando pensi che ti va bene per poterne farne qualcosa di interessante.

Alcune leggende metropolitane circa mr. Russell lo ritraggono come un “musicista senza compromessi”, oltre a questo tu suoni con Evan Parker che molta gente vede a sua volta come un “musicista senza compromessi”. Onestamente invece sembri una persona molto umile e i musicisti che ho conosciuto e che hanno avuto la possibilità di collaborare con te condividono la mia opinione. Allora, il mondo è davvero pieno di “musicisti senza compromessi” o semplicemente tutto questo ha a che fare con il fatto che proveniate dalla “leggendaria scena inglese”...la “dannatamente seria” scena improvvisativa inglese degli anni Settanta?
Penso sarebbe sbagliato da parte mia provare a suonare qualsiasi altro genere di musica per ragioni estrinseche ad esso come i soldi, l`apprezzamento da parte del pubblico, o altro...non solo perchè saprei che il mio cuore non sarebbe lì, ma anche per il fatto che ci sarebbe senz`altro molta gente che potrebbe farlo meglio di me. Perchè aggiungere un'altra persona che suona la stessa roba? Riesco a dare qualcosa solo se suono la mia musica. Certo se alla gente interessa lavorare in quel modo va bene che lo faccia, io comunque non sono contrario ad operare in molte situazioni differenti ed oltretutto questo nutre il mio mondo musicale, in questo senso semmai spero di poter aggiungere qualcosa anche al loro. E` impossibile collaborare senza compromessi e infatti penso che sia impossibile per un improvvisatore compromettersi e improvvisare bene. L`improvvisatore dovrebbe portare tutto ciò che ha da aggiungere alla situazione in cui sta suonando ed essere aperto alle possibilità ma allo stesso tempo dovrebbe essere se stesso. Per quel che capisco, compromettersi è perdere qualcosa, come provare con una mano legata, o senza corde. Io sono più per un approccio del tipo: “beh, questo è ciò che faccio, spero che vada bene, se non va...beh, amici come prima”. Parlando in generale è sempre meglio un “che ne dici se...” piuttosto che dire dopo “se solo tu avessi...”. Recentemente ho discusso con un paio di persone riguardo a come la scena improvvisativa sia cambiata dagli anni Settanta ed una delle cose che è uscita fuori era che entrambi pensavano che suonando a Londra in quei giorni suonavano altre forme di musica oltre all`improvvisazione e sembrava che quest`ultima da loro fosse vista quasi come uno stile da aggiungere al loro repertorio. Non voglio soffermarmi commentando la cosa, ma certamente negli anni Settanta c`era una sensazione di scoperta e questo, per quel che mi riguarda, era parte cruciale della musica. Io penso che senza dare la possibilità a quella sensazione di svilupparsi nella situazione in cui suono, mi renda impossibile suonare, non sono abituato a farlo, quindi se cerco di suonare musica interessante allora sono “non compromissorio”!?...ha, ha, ha...;-). Ricordo una conversazione con Jamie Muir, in cui lui sentiva che l`improvvisazione che suonava nei primi anni Settanta fosse un`anti-musica, in opposizione alle altre musiche del tempo. Penso che a quell`epoca ci fosse quell`atmosfera per molti musicisti, ma successivamente comunque ogni altro approccio tende comunque a voler ricreare una polemica in modo da creare spazio per se stesso in un più ampio panorama culturale. Per me crescere con questa musica nei Settanta faceva sentire che la musica liberamente improvvisata valesse la pena di essere protetta e coltivata e penso davvero che questo fosse uno degli scopi, ma resta che comunque al tempo stesso trovavo tutto davvero molto divertente. Nonostante alcune delle critiche che ci venivano mosse non eravamo affatto «facce serie sotto un`apparenza tranquilla», come una volta un giornalista scrisse. Infatti molto di come venivamo percepiti veniva più dai giornalisti che non sapevano davvero che farsene di noi, da parte loro creavano anche discussioni del tipo: «nella musica seria c`è posto per lo humor?»... Ha, ha... Guarda, per ciò che concerne Mopomoso (che è la serie di concerti londinesi da più tempo dedicata alla libera improvvisazione) direi che ci siano molti eccellenti improvvisatori oggi e come negli anni Settanta e semplicemente poco supporto per loro. La situazione dei fondi con le Olimpiadi del 2012, accoppiata allo stato attuale dell`economia, il silenzio dei media e l`ignoranza voluta del “potere che è”...tutto ciò rende necessario lavorare per la musica e tutto ciò fa anche sì che la cosa sia importante oggi come lo era allora.

Oltre ad essere la tua occupazione principale che cosa ti ha dato la musica e soprattutto che cosa porta un musicista come te a spingersi oltre invece che a fermarsi e riposare sugli allori con la pretesa di essere trattato come una specie di guru?
Da giovane, durante il mio primo viaggio all`estero, andai a suonare un concerto a Brussels, dovetti fare il passaporto, guardando fuori da una finestra verso un panorama pianeggiante fatto di campi e di mucche, ricordo perfettamente che pensai: “questo me l`ha dato la musica...”. Era davvero stupido perchè in fin dei conti avevo trascorso tutta l`infanzia nella campagna del Kent dove è egualmente pianeggiante e ci sono campi e mucche allo stesso modo! Da allora sebbene abbia viaggiato piuttosto ampiamente per essere un ex ragazzo di campagna, ho sviluppato una sincera passione per una grande città come Londra, dove io venni in primis per suonare musica improvvisata e questa è stata la mia casa per gli ultimi trent`anni. Ma la musica non mi ha dato solo questa cosa di viaggiare per sé, mi ha permesso di mischiarmi con differenti tipi di persone e creare rapporti duraturi in giro per il mondo. Questo può sembrare estrinseco alla musica ma è vero che le esperienze influenzano e segnano il modo in cui uno suona e crea, voglio continuare a farlo per più tempo che posso. Un amico una volta mi ha detto che pensava che viaggiare chiudesse la mente, in un certo senso lo fa per davvero perchè c`è sempre un costante raffinamento ed una sedimentazione delle idee, ma allo stesso tempo è vero che forma nuove prospettive e nuove idee. Non è più una questione di fare musica, ma più di come trovare la situazione in cui ciò possa accadere sia nel mondo esterno e fisico sia in quello interiore. E` anche un viaggio per il quale noi spesso facciamo delle mappe, è molto importante che ci sia un sincero e duraturo piacere che dobbiamo avere nel trovare il mondo, nel mio caso un mondo musicale nel quale avere e condividere delle avventure. Non puoi assolutamente fermarti! Io credo sinceramente che la gente che l`abbia fatto abbia iniziato in qualche modo a marcire...e non è questo che vogliamo vero?

link:
(www.myspace.com/mopomoso)
(www.myspace.com/mopomosonia)





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