Ni Vu Ni Connu (Claudia Triozzi)    
con reportage a cura di Giulia Tonucci




Bologna
martedi 12 aprile h 22 Teatro Duse

Claudia Triozzi (F/I)
Ni vu ni connu
(prima italiana)

ideazione e interpretazione Claudia Triozzi
testi/voce Claudia Triozzi
creazione musicale Claudia Triozzi e Fernando Villanueva
strumento metallico-vocale, una scultura acustica dei fratelli Baschet
cristallofono Roberto Tiso
organo Ann Dominique Merlet
realizzazione marionetta Thierry Evrard
realizzazione costumi Jutta Klingel
light design Yannick Fouassier
set design Claudia Triozzi
ingegnere del suono Félix Perdreau
direttore tecnico Sylvain Labrosse
dialogo sul movimento danzato Rémy Héritier

produzione Association DAM-CESPI
coproduzione Centre Pompidou Paris, Culturgest Lisbon, Le Phénix scène nationale Valenciennes, Kunstenfestivaldesarts Bruxelles, Centre National de Danse Contemporaine d`Angers, Objectif danse Marseille
grazie a Centre Chorégraphique National de Franche Comtè Belfort, Thé tre de la Citè Internationale Paris col sostegno di DRAC Ile de France, ARCADI, Conseil Général de Seine Saint Denis


"Sono Arlecchino e Don Quixote, mi piace sentire quello che non c'è e giocare con la mia impotenza."

Ni vu ni connu è una riflessione sulla rovina come oggetto dalla potenza evocatrice. Un corpo pensante che aziona, che si aziona, che opera incessantemente un trasferimento di senso, creando interferenze fisiche su immagini evanescenti. In questo solo Claudia Triozzi non sarà mai sola sulla scena, come non è mai sola nel suo mondo interiore. Una scultura acustica dei fratelli Baschet concepita negli anni '60, il cristallofono, un organo e un lap-top danno alla musica una visione performativa con episodi cantati. La voce si declina in una successione di monologhi insensati, di salmodie incomprensibili, pretesto di una coreografia labiale. Il viso come una maschera in continua trasformazione e una crudele logorrea corporea formano questo spettacolo caleidoscopico, "un omaggio al desiderio che fa dei brutti scherzi e ci invita a vivere".

Claudia Triozzi, danzatrice coreografa, performer, artista visiva. Dopo gli studi di danza in Italia si trasferisce a Parigi nel 1985 attratta dall'effervescenza della scena coreografica francese. E' stata interprete di coreografie di Odile Duboc, Georges Appaix, François Verret, e ha collaborato fra gli altri con Alain Buffard, Xavier Leroy e Xavier Boussiron. Sin dalle sue prime creazioni in solo ha lavorato su spazi e formati non convenzionali. Triozzi produce spettacoli inclassificabili da cui la danza non esce mai indenne. Collage poetici d'oggetti eterocliti, i suoi progetti mettono in questione lo spazio della rappresentazione e decostruiscono le modalità d'interpretazione proprie del danzatore. Triozzi esplora anche la voce passando dalla scrittura di testi e canzoni, e sviluppando sonorità e un vocabolario lirico-rumorista con riferimenti che spaziano dal cinema al teatro alla radiofonia. Il suo lavoro si articola sia sulla scena che con installazioni e video esposti in musei e gallerie tra cui Museum Kunst Palast Düsseldorf, Biennale d`art Contemporain de Lyon, Studio National des arts contemporains Le Fresnoy, Galerie Maisonneuve Paris, Le Printemps de Toulouse, Biennale d`art Contemporain de Rennes. Ha presentato i suoi spettacoli in Europa, Stati Uniti e Giappone, dove è stata borsista dell'AFAA a Villa Kujoyama, hors les murs nel 2004. Le sue produzioni: Ni vu ni connu (2010), La Prime (2008), Up to date (2007), Fais une halte chez Antonella (2006), Strip-tease (2006), La baronne et son tourment (2006), Opera`s Shadows (2005), Stand (2004), The Family Tree (2002), Dolled Up (2000), Bal Tango (1999), Park (1998), Gallina Dark (1996), Les Citrons (1992), La Vague (1991). Victoria le ha commissionato una coreografia per Night Shade, e per le Vif du Sujet Montpellier Danse 06 ha creato La baronne et son tourment per il danzatore hip-hop Gabin Nuissier. Dal 1988 ha sviluppato una pedagogia legata al suo lavoro intervenendo in varie scuole d'arte, e dal 2006 insegna a l`école supérieure d`Art de Rueil Malmaison.

link:
francois.baschet.free.fr
www.vimeo.com/21102274
www.xing-fisco.it


Ni vu ni connu, o sulla celebrazione della rovina.
di Giulia Tonucci (foto di Gaetano Cammarota)


Lo spettacolo presentato da Claudia Triozzi a F.I.S.Co11 non è certo dei più convenzionali. Difficile da definire, in bilico tra linguaggi e suggestioni differenti, appare come un'opera in cui si conciliano passato, presente e futuro, in un connubio di richiami alle avanguardie novecentesche e a certe suggestioni futuristiche tornate recentemente di gran moda.

Quello che risalta in "Ni vu ni connu" sono citazioni più o meno volute, come anche puri riecheggiamenti estetici di un immaginario che ha connotato un'epoca, a partire dai primi decenni del ventesimo secolo e giù a scorrere fino ai nostri giorni. Vengono in mente "Metropolis" ('27) e "Le ballet mécanique" ('24), si pensa alle serate dada e ai cabaret futuristi, per questo one (wo)man show che si presenta come celebrazione della rovina quale forza evocatrice. Una rovina intesa, però, come decostruzione e ricomposizione sotto altra forma, smantellamento di definizioni e costrizioni di pensiero che aprono alla resa scenica di un mondo a tratti grottesco e a tratti sublime.

La coreografa italo-francese si fa corpo agente che orchestra una molteplicità di presenze di diversa natura: dalla marionetta che riprende i suoi stessi tratti - sorta di automa che duplica l'umana figura - agli innumerevoli oggetti che popolano il palco. Installazioni scenografiche ancor prima che strumenti, con cui la performer dialoga attraverso il movimento del corpo e della voce: per questo lavoro, infatti, le due componenti della ricerca coreografica e della sperimentazione sonora viaggiano di pari passo, in una interazione reciproca di linguaggi e dinamiche.

Fondamentale la partecipazione dei due musicisti: da una parte un giovane artista sonoro crea in real time atmosfere dalle sonorità sintetiche e noise roboante, che interagiscono con la presenza in carne ed ossa della performer; dall'altra, la magia del cristallofono suonato nel gran finale dal musicista Roberto Tiso, che con i suoi bicchieri evoca le melodie tchaikovskiane (composte originariamente proprio per questo strumento, come mi spiega durante le prove lo stesso Tiso) che sfumano le note melanconiche e i gesti marcatamente melodrammatici dell'attrice, nella chiusura della sua parabola serale.


Nel mezzo lei e la sua scena, Claudia Triozzi nel suo teatrino fatto di tende circensi, podio e catapulte, luoghi di gloria e rapido fallimento, sui quali troneggia solenne il grande strumento dei fratelli Baschet. Questa imponente creazione metallica è il punto di partenza e di ritorno dell'azione scenica, da essa e con essa si apre l'opera, in una maniera ancestrale e potente, con la voce di lei che si innalza lungo il cono riverberante della scultura per estendersi su tutto lo spazio del teatro. E sempre a questa ritorna, la Triozzi nei suoi sketch vocali, quando alla canzone accosta il pizzicato delle corde che si amplificano e si raddoppiano, in un'euforia musicale che corre circolare sulle pareti della sala, avvolgendo il pubblico in un abbraccio invisibile e ampio.

- Nè visto, nè sentito - dice il titolo, ma le negazioni parlano per contrasto essendo questo uno spettacolo ricco di elementi, sia visivi che sonori, in cui la percezione dello spettatore viene continuamente sollecitata dalle innumerevoli trovate che si accavallano sul palco, in un pot-pourri di melodie ed effetti visivi.

Ciò che contraddistingue un certo tipo di ricerca performativa dai canoni classici del teatro, è la consapevolezza che sulla scena possano convivere diverse forme di presenza capaci di determinare o meno il coinvolgimento dello spettatore e, al tempo stesso, di creare nuovi piani spaziali e temporali in cui gli attori possano trovare diverse modalità espressive.



La sperimentazione in "Ni vu ni connu" è sviluppata principalmente attraverso il lavoro sulla voce e sul suono dei diversi strumenti, che porta la dimensione musicale a essere esperita dall'artista, in primis, e dal pubblico, poi, come fisica e fortemente spazializzata. In scambio diretto con le scelte gestuali del corpo in movimento, spesso il suono sembra prendere il predominio assoluto, in quanto forza estensibile con presa immediata sulle emozioni di chi ascolta.

Senza mai scivolare in facili espedienti, l'impresa compiuta qui è quella di percorrere i confini tra teatro e musica, sondando quanto l'uno possa ricadere nell'altra senza mai perdere però una propria identità di espressione autonoma. La canzonetta proposta a un certo punto non avrebbe ragion d'essere se non fosse accompagnata dalle movenze calibrate della danzatrice che, in una parodia garbata, ricorda certe soubrette di epoche più o meno remote, giunte inevitabilmente al declino della loro fortuna.

Le voci registrate, duplicate, ripetute e amplificate creano un affollamento virtuale che accosta, e a tratti sommerge, questo unico corpo vivente, che risponde attraverso il canto e parti recitative, producendo così una molteplicità sonora che echeggia nelle orecchie degli spettatori, fino a riempirle e confonderle. Turbinio di parole no-sense pronunciate per creare pure maschere facciali, fluire di note d'organo che accompagnano con solennità religiosa slanci di desiderio rivolti a una platea disorientata, mentre il tutto scivola su inaspettate musiche pop, svanendo infine sulle suggestioni classiche dello Schiaccianoci.

In conclusione, a questo lavoro va sicuramente riconosciuto un eccellente sforzo compositivo di elementi, citazioni e modalità ; una ricerca artistica che rompe le definizioni di sorta incasellanti lo spettacolo dal vivo, per offrire invece un esempio sfaccettato di performance musicale. Uno spettacolo in cui presenza e sparizione creano un motivo di alternanze fisico-musicali, nel mezzo del quale prendono forma le rovine di un mondo forse mai veramente esistito.




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