«questo lavoro non va assunto
come un ascolto da subire passivamente,
ma come un gioco in cui si rischia la vita» (Demetrio Stratos)
...navigatore astrale...
Non sono e non sono mai stato un tipo servile, eppure esiste una persona a cui dovrei baciare i piedi tutte le sere, Riccardo Bertoncelli. Quali e quanti motivi dietro a tanta reverenza? Uno solo, ma basta e avanza, grazie a lui ho conosciuto la musica di Tim Buckley. E cercherò di essere anche patetico, oltre che servile, dato che l'umana ignominia non ha mai limite. Quando vidi per la prima volta quel volto nelle copertine dei dischi, quegli occhi, quel sorriso, fu subito amore perchè vi vidi specchiato tutto quanto avevo dentro; e quando poi ascoltai per la prima volta quella voce capii che avevo finalmente trovato chi riusciva ad esprimere per me tutto ciò che io non riuscivo ad esternare. Il volto e la voce di un inguaribile romantico sognatore idealista (per chi non crede alle coincidenze diciamo che nacque nel giorno di S. Valentino). Il volto e la voce di un navigatore astrale. Perchè il mondo non ha limiti, la vita non ha una fine, e non sto certo parlando di Dio. No, l'ascolto delle canzoni di Tim Buckley non è mai stato per me un banale passatempo ma ha sempre comportato un coinvolgimento interiore talmente radicale da portarmi spesso sull'orlo del pianto, da far salire quel groppo alla gola che solo un amore senza riserve può giustificare. Capirete quanto mi piacerebbe condividere con tutti un'esperienza così forte e
capirete la mia delusione quando mi rendo conto che Tim Buckley rimane tuttora una passione per pochi intimi. Pensate che per lui non c'è stato nessun album tributo quando, una dozzina d'anni fa, simili dischi uscivano a ritmi vertiginosi.
Eppure qualcosa mi dice che anche per Tim Buckley potrebbe essere finalmente arrivato il momento della glorificazione. Nel corso degli anni '90 abbiamo infatti assistito a una sua parziale riscoperta; addirittura è plausibile l'ipotesi per cui, neanche in vita, egli abbia mai raggiunto la popolarità di cui è stato oggetto in questo decennio. Una popolarità scandita dalla messa in commercio di alcuni CD contenenti registrazioni dal vivo o versioni inedite di brani già noti, dalla riproposizione di brani del suo repertorio da parte di una cerchia sempre più numerosa di musicisti e infine dal ritardatario album tributo "Sing A Song For You" che ha visto la luce solo pochi mesi addietro. Sicuramente ha contribuito a ciò il successo commerciale del figlio Jeff, che oltretutto è scomparso all'apice di tale successo e in maniera molto più spettacolare di quanto aveva fatto il padre. Comunque sia ci sono tutti i presupposti per una ristampa dei sui dischi (alcuni di essi sono praticamente introvabili) se non per il fatidico cofanetto che li raccolga in toto. Per coloro che nell'attesa vogliono avvicinarsi a Buckley attraverso le ultime uscite diciamo che "Morning Glory" del 1994 altro non è che una ristampa delle "Peel Sessions" con aggiunti due brani registrati per un programma della BBC del 1974, Dolphins e Honey Man (curioso il fatto che i musicisti accompagnatori in questi due brani sono dei sessiomen inglesi: il bassista Tim Hinkley, il batterista lan Wallace, ex King Crimson, e il chitarrista Charlie Whitney, ex Family), mentre...
Tutto quel giorno, fino al calar del sole,
sedemmo a goderci carni infinite e buon vino.
Come il sole s'immerse e venne giù l'ombra,
gli altri dormirono presso il cavo d'ormeggio.
Ma per mano prendendomi lontano dagli altri compagni,
Circe mi fece sedere e vicino si stese e chiedeva ogni cosa.
lo dunque tutto le dissi per ordine,
e poi mi parlava parole Circe sovrana:
«Così tutto questo è compiuto; ma ora tu ascolta
come io ti parlo: te lo rammenterà ancora il dio.
Alle Sirene prima verrai, che gli uomini
stregano tutti, chi le avvicina.
...angoscia nell'anima...
Buckley è il perfetto portavoce del cosiddetto mal di vivere, di quell'inquietudine letteralmente così ben descritta da Pessoa. Fin dagli esordi la sua voce, la sua immagine e tutto ciò che lo circonda trasmettono un'aura di rassegnata malinconia che invita a ripiegare su se stessi. Forse è il caso di spezzare una lancia nei confronti dell'eponimo disco d'esordio che è molto meno acerbo di quanto ci è stato sempre fatto credere. Teniamo conto che si tratta dell'opera prima di un ragazzo di soli 19 anni (per dare un metro di paragone, diciamo che Paul McCartney, il più giovane dei quattro, quando uscì il primo disco dei Beatles aveva 21 anni e lo stesso dicasi per Bob Dylan). Inoltre "Tim Buckley" presenta già quelli che saranno forse i suoi collaboratori più importanti, da una parte il poeta Larry Beckett, una collaborazione che durerà fino all'ultimo disco pur con qualche interruzione, e dall'altra il chitarrista Lee Underwood che rimarrà accanto a Buckley per tutto il suo periodo creativo rappresentando un punto nodale della sua musica. I musicisti sono sessiomen di lusso come Van Dyke Parks, James Fielder (bassista dei Blood Sweat & Tears) e Billy Mundi (batterista delle Mothers Of Invention.
Già la prima strofa dell'iniziale I Can't See You definisce alle perfezione le qualità innate di quella voce calda dal tono irrimediabilmente dolce-amaro, e già da quella prima strofa non può che essere amore. Non mancano i difetti, a partire dalla produzione di Paul Rothchild, noto per il suo lavoro con i Doors, che si dimostra inadeguata nel dare la giusta prospettiva al mondo di Tim (molto più indicato sarebbe stato un Joe Boyd). Prendete Grief In My Soul dove l'arrangiamento folk rock leggero in stile Byrds è tutt'altro che perfetto ad esprimere la filosofia del brano. Tre canzoni mostrano già la sua grandezza: Wings, Song Of The Magician e Understand Your Man. La prima è purtroppo sciupata dal banale arrangiamento d'archi di Jack Nitzsche, inutile orpello a sottolineare una voce che in realtà non aveva bisogno che di se stessa e di dare libero sfogo alle proprie possibilità . Sicuramente più riuscita l'altra ballata, Song Of The Magician, dove il clavicembalo di Van Dyke Parks crea un'atmosfera sognante anticipando quello che sarà in seguito il ruolo ricoperto dal vibrafono di David Freedman. Infine perfetto appare il blues Understand Your Man, un terreno questo sicuramente più congeniale alle mani di Rothchild. Ma anche altri brani come Valentine Melody, Aren't You The Girl, Song Slovvly Song, It Happens Every Time, Song For Jainie e She Is non sono affatto insoddisfacenti. "Tim Buckley" contiene già quella tendenza all'allucinazione che può avvicinare questa sua prima fase a gruppi come l'Incredible String Band e che avrà pieno compimento nel successivo...
Chi ignaro approda e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la sposa e i piccoli figli,
tornato a casa, festosi l'attorniano,
ma le Sirene col canto armonioso lo stregano,
sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri
umani marcenti; sull'ossa le carni si disfano.
Ma fuggi e tura gli orecchi ai compagni,
cera sciogliendo profumo di miele, perchè nessuno di loro
le senta: tu, invece, se ti piacesse ascoltare,
fatti legare nell'agile nave i piedi e le mani
ritto sulla scarpa dell'albero, a questo le corde ti attacchino,
sicchè tu goda ascoltando la voce delle Sirene.
...l'ascensione...
..."Live At The Troubadour", uscito nello stesso 1994, è completamente inedito e raccoglie brani le cui versioni di studio si trovano su "Happy Sad", "Lorca" e "Blue Afternoon". Il gruppo accompagnatore è praticamente quello che aveva registrato "Lorca", chitarra, basso e congas, al quale si aggiunge però il batterista Art Trip (lo stesso di Zappa e Beefheart). L'utilizzo di batteria e congas sbilancia il suono in tale direzione creando un certo appesantimento, dato che la presenza del batterista lascia libero Carter C.C. Collins di scorrazzare con le sue percussioni sopra le righe, con risultati che a tratti sono davvero infelici. E` il caso di Gypsy Woman, peraltro perfetta sia per quanto riguarda la parte vocale sia per quanto riguarda le tessiture chitarristiche di Lee Underwood, e di Nobody Walkin' che contiene una incerta seconda parte 'santaneggiante'. Questo difetto è comunque un tributo da pagare a quegli anni e lo ritroviamo pari pari anche in altri dischi come "Goodbye And Hello" dello stesso Buckley, "Welcome To The Canteen" dei Traffic e, in misura minore, "Lark's Tongues In Aspic" dei King Crimson. Risultati nettamente più soddisfacenti vengono ottenuti in I Had A Talk With My Woman, Chase The Blues Away e Driftin'. Ci sono anche due brani inediti: il primo, Venice Matìng Call, è un inutile strumentale mentre I Don't Need It To Rain verrà in seguito proposta nella più riuscita versione registrata durante i concerti europei dell'anno precedente.
Luci e ombre che in "Honeyman", uscito nel 1995, si trasformano in tenebre. A parte l'onnipresente Dolphins, troppo bella per subire oltraggi, e una Devil Eyes dove il leone sembra voler ruggire ancora, anche se quello che emette è solo un miagolio da gattino spaurito, il disco non ha pregi, sia pure da riferire a qualche brano inedito. Inediti sono solo i nuovi arrangiamenti di Buzzin' Fly e Pleasant Street, e fa davvero male sentire quei due gioielli martoriati e ridotti al ruolo di annacquato soul dagli occhi blu; il resto della scaletta proviene dai due dischi minori successivi al capolavoro "Starsailor".
Risale al 1999 la più recente ristampa delle "Peel Sessions", che si intitola "Once I Was" e contiene un ulteriore brano aggiunto: si tratta del blues I Don't Need It To Rain, registrato dal vivo in Danimarca e che, come scopriremo in seguito, è mutilato di diversi minuti.
Nello stesso 1999 avviene l'operazione archeologica più interessante con il recupero e la pubblicazione, distribuita soltanto via internet, di "Works In Progress", un CD che contiene le prime versioni di alcuni brani che appariranno poi su "Happy Sad", dalle cui sedute di registrazione è tratto praticamente tutto il materiale proposto, e "Blue Afternoon". Ci sono anche Song To The Siren e due inediti, provenienti dalle stesse sedute, più, unica eccezione, The Fiddler che è lo scheletro strumentale di Phantasmagoria In Two e la cui incisione risale al 1967. Le prime quattro canzoni del CD si presentano in abito più grezzo, con le sole chitarre di Buckley e Underwood accompagnate da un contrabbassista non identificato (le note di copertina non sono molto precise e in Buzzin' Fly, infatti, c'è anche uno strumento ritmico tipo maracas non accreditato). Gli altri brani sono invece eseguiti dalla formazione di "Happy Sad" (vibrafono, congas, contrabbasso, chitarra elettrica e acustica), con l'eccezione di uno dei due inediti e della traccia strumentale: in The Father Song il cantante si accompagna con la sola chitarra acustica mentre in The Fiddler batterista, bassista e tastierista provengono dalla cerchia che aveva formato il parco strumentisti di "Goobye And Hello". Fanno parte del CD anche Wayfaring Stranger e la cover Hi Lily, Hi Lo, che erano già note perché stavano in "Dream Letter", Danang e la seconda versione di Ashbury Park che confluiranno poi in Love From Room 109, e il primo abbozzo di Ashbury Park che è l'altro inedito a cui accennavamo sopra. A favore di "Works In Progress" il fatto che solo due delle sedici tracce, cioè Sing A Song For You (Take 8) e Dream Letter, finiranno in "Happy Sad" nella stessa versione qui proposta.
Nel 2000 è infine uscito "The Copenhagen Tapes" con brani registrati nella capitale danese alla fine del 1968 da un gruppo comprendente Lee Underwood alla chitarra, David Friedman al vibrafono e l'ospite Niels-Henning Ørsted Pedersen al basso acustico. Gypsy Woman, Strange Feelin', Buzzin' Fly e una I Don't Need It To Rain finalmente in versione integra sono i brani che compongono il CD. Nulla di inedito, quindi, in un disco comunque ottimo anche se non dice nulla di più rispetto a quel "Dream Letter" uscito un decennio prima...
Ma se pregassi i compagni, se imponessi di scioglierti,
essi con nodi più numerosi ti stringano.»
Così diceva, e a un tratto l'Aurora trono d'oro arrivò.
Allora per l'isola sparì la dea luminosa;
e io, tornato alla nave, spingevo i compagni
a salire anche loro, e a scioglier le gomene:
subito quelli salivano e sui banchi sedevano,
e in fila seduti battevano il mare schiumoso coi remi.
Per noi dietro la nave prua azzurra
buon vento mandava ch'empiva le vele, compagno gagliardo,
Circe riccioli belli, tremenda dea dalla parola umana.
...allucinazioni...
..."Goodbye & Hello" che vede un miglioramento complessivo nel songwriting ma anche un ulteriore appesantimento e un utilizzo improprio dell'apparato strumentale. La produzione è passata nelle mani dell'ex Lovin' Spoonful Jerry Yester e il disco rappresenta il tentativo di lanciare l'artista nel caleidoscopico mondo della psichedelia, tentativo che pare incongruente dato che i colori di cui Buckley ama circondarsi sembrano essere essenzialmente il bianco e nero, con appena qualche striatura di blu(es).
I difetti principali delle canzoni consistono in una tendenza eccessiva al melodramma, che esplode in un'irritante title track dall'impostazione decisamente 'progressive',
oltrechè nelle congas che raddoppiano la batteria e vengono lanciate in pestifere galoppate in grado di danneggiare una musica i cui presupposti non sono nelle savane africane ma in tutt'altro luogo. I risultati più insoddisfacenti di questa sconsideratezza sono riscontrabili in Once I Was, No Man Can Find The War, Pleasant Street e I Never Asked To Be Your Mountain. L'ultima, liberata da tal sovraccarico, sarebbe una melodia perfetta, fatta di quella stessa pasta che sarà poi di Buzzin` Fly e Happy Time. Interessante è invece l'estemporanea ispirazione ad atmosfere démodè che permea Carnival Song, Phantasmagoria In Two e Knight-Errant e che ritroveremo qualche anno dopo nel quadretto dedicato al Moulen Rouge. La splendida ballata Morning Glory e il viaggio psichedelico Hallucinations risultano invece essere gemme inattaccabili. I fili che trattengono la musica di Buckley nell'orbita che ruota attorno alla forma sono comunque sempre più sottili, e una volta spezzati è inevitabile il deragliamento da quell'orbita e l'inizio del viaggio verso il firmamento della libertà .
Le note di copertina, come quasi sempre accade nei dischi di quell'epoca, lasciano molto a desiderare: di chi è l'armonica in Once I Was per esempio? Quello delle note di copertina è un problema che si pone spesso con Buckley, a partire dal successivo...
Noi, manovrati presto tutti i paranchi, lungo la nave
stavamo seduti: il vento e il pilota la dirigevano.
Ma io ai compagni parlavo sconvolto nel cuore:
«O cari, non devon conoscere uno o due soli
i fati che a me svelò Circe, la dea luminosa:
ma li dirò che possiamo o morire sapendolo,
o scampare, evitando la morte e le Chere.
Delle Sirene dal canto divino per prima cosa ordinava
che fuggissimo e voce e prato fiorito.
...la resurrezione...
...e che, insieme alla pubblicazione delle "Peel Sessions", rappresentò la vera resurrezione di Buckley. Registrato a Londra nel 1968 dal gruppo ideale, così scarno e raffinato, a mettere in risalto quella splendida voce in tutte le sue sfumature. Un gruppo limitato al fido chitarrista Lee Underwood, al vibrafonista David Friedman e al contrabbassista Danny Thompson dei Pentangle (quest'ultimo qualche anno più tardi sarà spalla indispensabile per John Martyn, un musicista che senza dubbio era rimasto abbagliato dal fascino di Buckley). Fin dall'attacco di Buzzin' Fly è facile capire come il cantante sia in piena forma e come la sua grandezza non risieda in uno studio di registrazione ma solamente nelle sue corde vocali e nella sua capacità innata a comunicare passioni ed emozioni. Buona parte dei brani provengono da "Goobye And Hello" e smascherano l'artificiosità di quel disco; in questa nuova veste così essenziale tali canzoni sono recuperate alla loro splendida fattura. Immensa pure la cover di Dolphins dal repertorio di Fred Neil che solo più tardi, troppo, verrà inserita nello scarso "Sefronia". Ci sono anche sette brani che all'epoca della pubblicazione di "Dream Letter" erano completamente inediti, fra cui una ripresa di You Keep Me Hanging On delle Supremes che, in quegli stessi anni, anche Demetrio Stratos aveva riproposto in lingua italiana insieme ai Ribelli (Chi mi aiuterà ). Fra gli inediti anche una Who Do You Love che non sembra essere il famoso brano di Bo Diddley (pur assomigliadogli per energia), mentre per un errore dei compilatori - probabilmente ingannati da Buckley che presenta la cover Hi Lily, Hi Lo come una 'canzone di carnevale' - viene accreditato nella scaletta il medley Carnival Song / Hi Lily, Hi Lo. La cosa più curiosa riguardo a questo errore proviene però dalle note di Lee Underwood che sostiene essere l'inesistente Carnival Song un brano inedito diverso da quello che era inserito in "Goodbye And Hello". In The Earth Is Broken, Pleasant Street / You Keep Me Hanging On e Wayfaring Stranger / You Got Me Runnin' possiamo ascoltare il cantante che, in perfetto stile da folksinger, si accompagna con la sola dodici corde. La perla del disco è però una Hallucinations in libertà , davvero da brividi, con Buckley che dialoga con il pubblico e con il basso di Thompson che interpreta il ruolo ritmico in una performance da favola.
Nel 1991 la Strange Fruit pubblica le sedute radiofoniche registrate, sempre nel 1968, durante lo show di John Peel da parte di un'altra scarna formazione comprendente le percussioni di Carter C.C. Collins in vece di contrabbasso e vibrafono. La scaletta si sovrappone chiaramente per buona parte al disco dal vivo registrato solo tre mesi dopo (sto parlando della mia versione su Demon perché sembra che l'edizione americana su Rhino contenga sei brani in più e potrebbe quindi sovrapporsi per intero). Ancora una volta i brani di "Goodbye And Hello" vengono proposti in versione più convincente e Morning Glory, Once I Was e Hallucinations rinascono a nuova vita. Accanto ad essi alcune anticipazioni come Sing A Song Por You (in seguito su "Happy Sad") e la splendida versione di Coming Home To You che poi apparirà con titolo diverso (Happy Time) su "Blue Afternoon". L'attacco di questa canzone, la cosa più emozionante che abbia mai ascoltato in assoluto, scorre con tale spontaneità da rendere difficile datarne la genesi, tanto che viene spontaneo immaginarla come antecedente alla creazione stessa dell'universo.
La resurrezione di Buckiey era stata comunque annunciata quando i This Mortal Coil, fra il 1983 e il 1986, avevano reinterpretato tre sue canzoni per i loro primi due album "It'll End In Tears" e "Filigree And Shadows"; in quegli stessi anni il rinnovato interesse intorno al suo nome era scandito anche dalla nascita di gruppi che in qualche modo lo elevavano a musa ispiratrice. Fra di essi vorrei segnalare i Cindytalk di "In This World" e gli Hugo Largo di "Metlle". Da non dimenticare inoltre Eugene Chadbourne che nel 1988 dedicò un'intera facciata di "The Eddie Chatterbox Double Trio Love Album" alla reinterpretazione di suoi brani. Il ruolo di questi 'profeti' è stato fondamentale nel riportare alla luce la musica di Buckiey. Negli anni del punk e della prima new wave, anni in cui erano stati riscoperti Stooges, Doors...
A me solo ordinava d'udire quel canto; ma voi con legami
strettissimi dovete legarmi, perchè io resti fermo,
in piedi sulla scarpa dell'albero: a questo le corde m'attacchino.
E se vi pregassi, se v'ordinassi di sciogliermi,
voi con nodi più numerosi stringetemi!»
Così, le cose a una a una dicendo ai compagni, parlavo.
Intanto rapidamente giunse la nave ben fatta
all'isola delle Sirene, che la spingeva buon vento.
Ed ecco a un tratto il vento cessò; e bonaccia
fu, senza fiati: addormentò l'onde un dio.
...allegra malinconia...
..."Happy Sad", che però da un punto di vista musicale fotografa per la prima volta l'artista nella sua essenza reale, fin dal titolo che raffigura quella situazione di felice malinconia a lui tanto congeniale. Dal punto di vista strumentale una particolare importanza va attribuita all'inserzione del vibrafono che con il suo suono metallico, limpido e conciso risulta essere il miglior propulsore ritmico per la sua voce e per la chitarra di Underwood; le congas vengono utilizzate con parsimonia e, in ogni caso, sono ridotte ad un ruolo meno invadente dall'assenza della batteria; infine l'utilizzo di un contrabbasso acustico dà il tocco finale alla definizione di quella magica atmosfera che regna su tutto il disco. Un'atmosfera senza tempo, in bilico fra canzone d'autore e jazz d'annata, che ci porta a sostenere paragoni con "Astral Weeks" di Van Morrison.
Zal Yanovsky (anche lui ex Lovin' Spoonful) affianca Yester alla consolle mentre a livello di scrittura Buckley fa tutto da se, latitando per la prima volta l'amico Larry Beckett, e realizza quindi il primo tassello di una trilogia più propriamente cantautorale. Vorremmo ribadire soprattutto l'importanza del chitarrista Lee Underwood, presente fin dal primo disco ma diventato ora unico contraltare solista alla voce di Tim, che dimostra di essere il solo in grado di capire e coadiuvare quella voce.
Del disco doveva fare parte anche Song To The Siren ma nonostante l'assenza di quel gioiello siamo al cospetto di un capolavoro assoluto. Abbiamo già accennato alla splendida Buzzin' Fly, ma tutti i brani sono perfetti per fattura e esecuzione e non esiste nessun cedimento fra le righe di Strange Feelin', Love From Room 109 At The Islander, Dream Letter, Sing A Song Far You e Gypsy Woman (è in quest'ultima che Buckley inizia quel processo di dilatazione della propria voce che porterà a "Starsailor"). Love from Room 109... è sottolineata dal rumore delle onde, ma non possiamo certo parlare di musica concreata trattandosi solamente di un trucco di studio utilizzato come abbellimento per ambientare suggestivamente il brano, alla maniera dei Doors di Riders On The Storm e del Roger Waters di Grantchester Meadows.
C'è tutto in "Happy Sad", dalla voce che si fa urlo distorto ai ritmi sottilmente languidi. Soprattutto ci sono una manciata di canzoni d'amore che possiedono la stessa forza di un Jacques Brel. Ma non può durare, in un regime di felice malinconia è infatti molto più facile imbattersi in un pomeriggio di depressione...
Balzati in piedi i compagni la vela raccolsero,
e in fondo alla nave la poserro; quindi agli scalmi
seduti, imbiancavano l'acqua con gli abeti politi.
Ma una gran ruota di cera col bronzo affilato
io tagliavo a pezzetti, li schiacciavo tra le mani gagliarde.
In fretta s'ammorbidiva la cera, che la premeva gran forza
e la vampa del sole, del sire IperÖone;
così, in fila, gli orecchi a tutti i compagni turai.
Essi poi nella nave legarono me mani e piedi,
dritto sulla scarpa dell'albero, a questo le corde fissarono.
Quindi, seduti, battevano il mare schiumoso coi remi.
...la morte...
...e Velvet Underground, era infatti rimasto sommerso nel limbo dell'oblio. La sua morie, avvenuta nel 1975, era stata una morte artistica ancor prima che una morte fisica.
In "Look At The Fool", il suo ultimo disco de l 1974, Buckley appare 'confuso come un'ostrica', la sua voce suona appiattita se non, quando scimmiotta spudoratamente Marvin Gaye, impersonale. Le canzoni sono appesantite da arrangiamenti ampollosi con il gruppo di accompagnamento che lievita fino a otto unità (chitarra, piano, piano elettrico, due bassi, violoncello, batteria e congas) più una sezione fiati e un terzetto di coriste. Soprattutto non ce n'è una, di queste canzoni, degna di essere ricordata e la loro essenza sembra riflettere il brutto ritratto di copertina. Al suo fianco non rimane più nessuno di quei musicisti che lo avevano accompagnato nei giorni buoni a parte, minuzia curiosa, il bassista Jim Fielder che viene ripescato fra i sessiomen del disco d'esordio.
Si è parlato di un Buckley distrutto da alcool e droghe, ma altri musicisti in situazioni simili sono riusciti a dare il meglio di se (emblematico lo Charlie Parker di Lover Man, ed è quindi pensabile che i risultati di "Look At The Fool" siano il frutto di un musicista che è entrato in un vicolo cieco, che ha bruciato tutta la sua creatività e che è stato domato dalle esigenze del business discografico e dall'insuccesso di pubblico e di critica.
Quindi la morte arriva al nadir della sua vicenda creativa e passa inevitabilmente inosservata presso il grande pubblico (che oltretutto non aveva mai eletto Tim Buckley al ruolo di eroe), lontana dal fascino morboso circondato da mistero e leggenda che aveva circondato in precedenza le morti della cosiddetta tripla J. Passa inosservata e lascia solo un esiguo numero di appassionati a tenere vivo il ricordo della sua musica in attesa di quei tempi migliori che tardano a venire. Infatti nè l'esplosione della new wave, che con il suo romanticismo decadente e malato aveva molti punti in comune con l'estetica buckleyana, né l'esplosione del revival psichedelico si ricorderanno in un primo momento di questo antesignano schivo e scomodo. Una morte che fa seguito...
Ma come tanto fummo lontani, quanto s'arriva col grido,
correndo in fretta, alle Sirene non sfuggì l'agile nave
che s'accostava: e un armonioso canto intonarono.
«Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei,
ferma la nave, la nostra voce a sentire.
Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera,
se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce;
poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose.
Noi tutto sappiamo, quanto nell'empia terra di Troia
Argivi e Teucri patirono per volere dei numi;
tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice».
...un pomeriggio amaro...
...che non in uno di euforia. "Blue Afternoon" è il suo disco più claustrofobico, degno antesignano del romanticismo malato di lan Curtis. Su di esso sicuramente influì la bocciatura da parte dell'Elektra di quello che avreb be dovuto essere il suo nuovo disco e il conseguente abbandono dell'etichetta con accasamento presso la Straight, una succursale della Warner diretta da Frank Zappa e Herb Cohen che darà asilo anche al Beefheart di "Trout Mask Replica". "Blue Afternoon" è prodotto dallo stesso Buckley e risente un po' sia della precipitazione con cui viene assemblato sia della contingenza che costrin ge le migliori canzoni del momento prigioniere nei cassetti dell'Elektra. Vengo no addirittura recuperati almeno due brani fra quelli bocciati al momento di definire "Happy Sad", e cioè Happy Time e Chase The Blues Away.
Nonostante questi presupposti il disco contiene alcune grandi canzoni, soprattutto ballate, a iniziare proprio da Happy Time e continuando con I Must Have Been Blind, So Lonely, Blue Melody e The Train. Canzoni plasmate da una voce che è in grado di esprimere a meraviglia quell'angoscia che da sempre attanaglia l'anima del cantante e che vanno considerate senza dubbio fra le sue cose migliori, e almeno una di esse, The River, è da considerare fra i suoi vertici assoluti.
A questo punto la Elektra decide di pubblicare "Lorca", seppur senza la necessaria convinzione dato che il manager dell'etichetta Jac Holzman dichiarò che il cantante stava facendo musica per se stesso. Il disco è dedicato al grande poeta spagnolo e chiude la fase propriamente cantautorale iniziata con "Happy Sad". Il riferimento a Federico Garcia Lorca non riguarda solo una certa affinità elettiva ma, come ben indaga Luca Ferrari nel suo "Thin Wires In The Voice" edito da Stampa Alternativa, il concetto 'duende', cioè il 'demone' che si insi nua sotto la pelle dell'artista succhiandogli tutte le energie e la vita stessa. Lo stesso demone incontrato da Robert Johnson al crocicchio, la storia si ripete.
Le dichiarazioni di Holzman appaiono tutt'altro che fuori luogo dato che le lunghe ballate informali che compongono il disco, nelle quali si cerca di portare la forma canzone oltre i propri confini, sono destinate a un prevedibile insuccesso di vendite.
"Lorca" è un disco molto più pieno e corposo di quello che può apparire a un primo ascolto, una corposità che però si annulla nell'incedere lento della maggioranza dei brani e che raggiunge la massima sublimazione in quella splendida espressione della sofferenza inferiore che è Anonymous Proposition. In Lorca l'organo a canne di John Balkin e il piano elettrico di Lee Underwood creano quella stessa atmosfera stregata che sarà poi di Song To The Siren e Starsailor. In Driftin' e I Had A Talk With My Woman il blues viene rigenerato dalla sensibilità di un ragazzo bianco che ne da la propria interpretazione e non si limita alla scipita scopiazzatura dei bluesmen neri (la stessa attitudine che animerà in seguito Diamanda Galas). L'impressione è quella di un meticoloso guastatore che riprende la splendida melodia di brani come The River per dilatarla, contorcerla e spremerla, e per poterla in se guito frantumare all'infinito. La sola Nobody Walkin' appare più ritmata e sembra voler riprendere l'energia di Gypsy Woman evi tandone però la lacerazione.
Se possiamo considerare "Blue Afternoon" come una pa rentesi nell'evoluzione creativa di Buckley, "Lorca" è invece il successore naturale di "Happy Sad" e la premessa logica al viaggio verso l'ignoto di...
Così dicevano alzando la voce bellissima, e allora il mio cuore
voleva sentire, e imponevo ai compagni di sciogliermi,
coi sopraccigli accennando; ma essi a corpo perduto remavano.
E subito alzandosi Perimède ed Euriloco,
nuovi nodi legavano e ancora più mi stringevano.
Quando alla fine le sorpassarono, e ormai
nè voce più di Sirene udivamo, nè canto,
in fretta la cera si tolsero i miei fedeli compagni,
che negli orecchi avevo a loro pigiato, e dalle corde mi sciolsero.
...la passione...
...a un lungo periodo di involuzione, quasi di svuotamento, successivo al capolavoro "Starsailor". Un crollo al quale hanno contribuito vari motivi, a iniziare si curamente dallo sforzo creativo tributato all'evoluzione presente nei dischi precedenti. Ma ciò non basta a spie gare un simile tracollo, e dobbiamo allora indagare nell'insuccesso di pubblico e di critica incontrato da "Starsailor": il primo durante i concerti continuava a chie dere i vecchi brani, la seconda, a parte rare eccezioni, nel migliore dei casi parlerà di un album 'troppo difficile da ascoltare'. Inoltre l'etichetta Straight era stata riassorbita completamente dalla potente Warner che chiaramente faceva pressione per avere un disco più commerciabile. A questo punto va però detto della per sonalità di Buckley, uomo sicuramente timido, insicuro e intro verso. A tal proposito pensate che aveva tenuto Song To The Siren ferma nei cassetti per tre anni, nonostante sapesse che era une delle sue canzoni migliori, solo per chè un'amica aveva ironizzato su una strofa che diceva 'sono confuso come l'ostrica' e soltanto quando tale strofa fu sostituita con 'sono confuso come un neonato' si deci se a pubblicare il brano. All'uscita di "Starsailor" fa segui to un lungo periodo di inattività durante il quale svolge numerosi lavori e scrive la sceneggiatura di un film che dovrebbe essere in parte autobiografico e per il quale non riesce chiaramente a raccattare nessun finanziamento. A questo periodo dovrebbe risalire anche una non confermata attività come autista per la stella del soul Sly Stone, esperienza che qualora fosse vera porterebbe alla barzelletta: 'Where is Sly Stone's soul? In his driver'.
Infine cede alle pressioni e confeziona un album di corposo rhytm & blues urbano, come lascia intendere il titolo "Greetings From L.A.", che ricorda il suono di alcuni gruppi inglesi dei `60 tipo Animals e Spencer Davis Group e con alcuni tocchi tastieristici prossimi alle migliori
espe rienze garage; purtroppo la bontà di fondo
del disco è pe nalizzata da arrangiamenti
banalmente radiofonici. Brani come Hong Kong Bar, Sweet Surrender e Devil Eyes sono comunque ottimi. Accanto al cambiamento di direzione musicale va rilevato anche il
licenziamento di tutti i musici sti che gli erano stati vicini nelle precedenti esperienze, eccezione fatta per il percussionista Carter C.C. Collins.
Un anno dopo, nel 1973, esce "Sefronia", album contraddittorio in quanto cerca di tornare alle vecchie atmo sfere ma è penalizzato da pomposi e insipidi arrangia menti d'archi che rendono ancor più peccaminoso il flirt con l'appiattimento da classifica. Per la prima volta, a conferma della stasi creativa, sono inclusi cinque brani che non portano la sua firma laddove i dischi precedenti erano tutti composti da brani originali. La situazione ap pare ancor più grave se pensiamo che sono proprio due di essi ad avere la palma d'oro per il miglior songwriting. Non bastasse, per la prima volta dopo "Goodbye And Hello", Buckley mostra propensione a seguire le mode del momento incidendo un duetto con la voce femminile di Marcia Waldorf (I Know l'd Recognize Your Face). Fra le cose buone vanno citate la versione di Dolphins di Fred Neil, che vede il ritorno di Lee Underwood alla chitarra, e i lievi brividi dispensati da Sefronia e Sally Go 'Round The Roses. Decisamente insignificante è invece la versione barocca di Martha di Tom Waits. Diamo però atto al 'navigatore astrale' di avere dimostrato un buon fiuto andando a
riprendere un brano del vecchio Tom, all'epoca
poco più che uno sconosciuto. L'impressione è
quella di un Buckley meno torturato e intenso,
come se fosse preda di uno sfaldamento interiore
che ha le caratteristiche di autentico calvario.
Non esistono pozzi senza fondo e miniere
inesauribili e dalla miniera Buckley era già
stato estratto un diamante della fattura di...
Ho galleggiato a lungo in oceani deserti
facendo del mio meglio per sorridere
Quando i tuoi occhi e le tue dita canterine
mi hanno teneramente attratto alla tua isola
E tu cantavi
«Naviga verso di me
Naviga verso di me
Lasciati abbracciare
Sono qui
Sono qui
Aspetto di averti»
Ho sognato che mi sognavi?
Dove scappavi quando ti rincorrevo?
Ora la mia folle imbarcazione si sta piegando
Relitto che si strugge d'amore sulle tue rocce
Per te che canti
«Non toccarmi
Non toccarmi
Ritorna domani
Oh, cuore mio
Oh cuore mio
Sfuggi alla tristezza»
Sono confuso come un neonato
Sono imprevedibile come la marea
Dovrei restare tra i frangenti?
Dovrei mentire con la Morte mia sposa?
Ascoltami cantare
«Nuota verso di me
Nuota verso di me
Lascia che ti abbracci
Sono qui
Sono qui
Aspetto di averti»

...epos: il canto della sirena...
..."Starsailor", che rappresenta insieme l'apoteosi e l'esaurimento del suo periodo creativo. Con esso, nel 1970, si chiude l'epopea di colui che, se il termine non fosse già stato utilizzato a proposito di altri, po tremmo definire come `The Voice'. Ma a questo punto è il caso di dire cosa è stato in realtà Tim Buckley: uno sperimentatore sulla voce - dai tratti operistici e con un'estensione dalle possibilità illimitate, caratteri stiche che fanno nascere spontaneo il parallelo con Demetrio Stratos - e sulla musica che con il tempo è andato a superare categorie come rock, folk, jazz e sperimentazione contemporanea per creare una for ma ibrida mai udita prima e di conseguenza di diffìcile assimilazione e di ancor più diffìcile commerciabilità . La differenza fra Stratos e Buckley è che il primo si è infrenato spesso nella pura sperimentazione mentre il secondo ha sempre legato la ricerca sulla voce alla canzone, pur cer cando di ampliarne i limiti e stravolgerne la forma. Lee Underwood giungerà a scrivere che Buckley è stato per la voce ciò che Hendrix è stato per la chitarra, Cecil Taylor per il pianoforte e John Coltrane per il sassofono. Vogliamo aggiungere la figura di Omette Coleman, del quale possiede lo stesso senso dell'armonia dettato dall'istinto. Per quanto riguarda la sperimentazione vocale, invece, oltre ai paragoni con Stratos è facile individuare un percorso che va dal dilaniato stile di Patty Waters fino a Cathy Berberian, che sappiamo essere stata un'influenza fonda mentale per il suo percorso creativo, per perdersi ancor più lontano nella sublime Billie Holiday. A differenza di Beefheart quella di Buckley non è un'estetica del brutto ma un'estetica della bellezza suprema portata alle estreme conseguenze, cioè a quella sublimazione al di là dei cui confini si trova il regno del kitsch; una ricerca utopica dell'assoluto e della purezza senza scorie. "Starsailor" rappresenta il punto di confluenza di tutto ciò, di quello che Buckley è stato e di quello che è, la realizzazione definitiva senza appello nè repliche di quelle che sono le sue idee. La voce è ormai uno stru mento a pieno titolo, seppur piegata all'economia dei vari brani, che passa da momenti di estrema dolcezza a urla dilaniate e deliranti che sgommano verso l'eter nità .
"Starsailor" è un disco dalla varietà incredibile di situazioni, sicuramente il più poliedrico di tutta la discografia. Song To The Siren e I Woke Up sono le ballate che rappresentano il lato più onirico dell'artista. Accanto ad esse brani più ritmati e convulsi come Come Here Woman, Monterey, The Healing Festival, Down By The Borderline e Jungle Fire bruciano di febbre intensa e liberatoria, premonitrice dei futuri bagliori no wave. Resta ancora spazio per l'innocente filastrocca Moulin Rouge e per l'orgia di voci Starsailor, che non ha nulla da invidiare ai migliori brani della sperimentazione vocale contemporanea. Rispetto a quest'ultima l'ope ra di Buckley non è però mai asettica e mantiene sempre la sua carica sensuale.
I suoni sono secchi e controllati, la loro resa è perfetta e gli interventi strumentali non sono mai so pra le righe. Passaggi di funk minimale si alternano ad esplosioni free in un gioco ritmico-melodico continua mente cangiante assecondato con esemplarità dalla batteria di Maury Baker e dalla chitarra, splendida come non mai, di Lee Underwood (quest'ultimo si produce in una serie di effetti veramente strabilianti senza tut tavia mai cadere nell'autocompiacimento). Ma le note positive coinvolgono anche il bassista John Balkin, il sassofonista Bunk Gardner e il trombettista Buzz Gardner, i rari tocchi degli ultimi due rappresentano la cosiddetta ciliegina nella torta e a questo proposito invito il lettore ad ascoltare la splendida introduzione di tromba che immortala Down By The Borderline.
Buckley, a differenza di Ulisse, rifiuta di essere le gato e si abbandona al canto e all'abbraccio delle Sire ne che, come aveva predetto la Maga Circe, è quanto mai distruttivo. Non c'è ritorno a casa per chi è uscito dai propri sogni alla ricerca dell'impossibile e a tale ricerca ha sacrificato tutti i propri equilibri. Per chi ha avuto occhi per guardare oltre le mura della propria prigione esiste solo la perdizione, quella perdizione così ben affrescata in quel voluttuoso inno che è Song To The Siren. Ma se vi fermate su qualche scoglio per duto fra i flutti degli oceani potete ancora sentirlo can tare: «...here I am, here I am, waiting to hold you...».
(I passi dal libro dodicesimo dell'Odissea sono tratti dalla versione di Rosa Calzecchi Onesti su edizioni Einaudi. La traduzione 'infede le' di Song To The Siren è mia. Ringraziamenti: Manuel Scorza (r.i.p.), Laura Bigiarini e Leonardo Severi)
Ps: questo è il collegamento con il sito dedicato a Tim Buckley: www.timbuckley.com
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