Dr Jim`s Records    di Sergio Eletto




La Dr Jim`s Records è un`etichetta australiana le cui forze, nel corso del tempo, hanno sempre più stimolato le nuove realtà musicali di stampo improvvisato;
e varcato di seguito i vari moods che accerchiano la materia in causa. Le moderne ramificazioni, racchiuse nel (presumibile) trittico semplificatore: avant jazz, elettro-elettronica, elettro-acustica hanno raggiunto un solido sguardo da parte della label, fiorita dalle mani di due appassionati, Edgar Lee e Jim Glaspole.
Entrambi, nel mezzo della (ancora troppo sconosciuta) comunità underground di Melbourne, hanno raggruppato e proposto un'originale nicchia di musicisti, decisamente versatili riguardo stile e tecnica.
Artisti che, partendo da un irruente passato garage-punk, hanno sviluppato un percorso attraversato dall'industrial-noise, giungendo oggi nei moderni parametri dell`improvvisazione radicale. Facciamo qualche nome: le manipolazioni elettro-noise di Philip Samartzis, il chitarrista David Brown, il percussionista Sean Baxter, i micro-mondi improvvisati dei Lazy, il fresco jazz di Adam Simmons, la drones music abissale di Tim Catlin, il fascino intellettuale dell'avanguardia dei Bucketrider...
Ognuno di questi protagonisti è responsabile di diversi progetti che sembrano vivere esperienze opposte tra loro, mirate ad una continua ricerca di linguaggi e codici da studiare, ma unite comunque da un unico intento: elaborare e proporre le varie forme mediante un approccio totaly improvised. Si omaggia la tradizione hard-bop con Adam Simmons, si improvvisa osticamente nell`accoppiata Brown / Baxter, ci si contamina con il minimalismo nelle corde trattare da Tim Catlin...
Forse, è ancora troppo prematuro per parlare di una scena vera e propria, ma i presupposti esibiti da queste nuove uscite, lasciano ben sperare che presto il `collettivo` si espanda, sempre di più all`estero. La Dr Jim non gode ancora di una facile distribuzione per tutto il vecchio continente, compresa anche la nostra penisola. Conviene quindi contattare direttamente l`etichetta per eventuali acquisti. Non sono mancate comunque lodi da parte di riviste specializzate, quali l'inglese Wire nei confronti del buon gusto e savoir faire esibito dalla Dr Jim nella propria produzione. Mirata con logica alla divulgazione di materiale australiano ma provvista nel catalogo di stelle internazionali, come lo strambo half japanese man, Jad Fair.
La novella carrellata di produzioni si apre con un lavoro di pura elettro-elettronica: il primo incontro in studio di registrazione tra Philip Samartzis e il danese Rasmus B. Lunding. Intorno l`attività del primo sono già diversi anni che l`occhio della critica narra e premia le distolte esperienze, realizzate nel corso di un decennio dal sound artist (termine da lui prediletto) di Melbourne; ricordiamo gli interventi sonori svolti con Sachiko (M) e Otomo Yoshihide, la collaborazione con il conterraneo Oren Ambarchi ed il marchio impresso al calare degli `80ies con forme industrial nel duo Gum con Andrew Curtis.
Maggiormente ombroso il background di Lunding, le scarse informazioni lo presentano con addosso tutti i caratteri somatici idonei ad un libero improvvisatore elettro-acustico contemporaneo. Si percepisce nella sua elettronica il carattere aspro, conforme a molti artisti nordici.
“Fluorescent” è un disco dove già il titolo suggerisce un`indubbia comodità nel dislocarsi tra suoni modellati con intensità via laptop. Chitarre, percussioni ed altri strumenti, non ben precisati nelle note, fluttuano dentro un costante intreccio di suoni scricchiolanti e granulari. Un mood complesso che in più di un`occasione si diverte a fomentare palpitazioni cardiache techno-minimali, come accade in Øjet giver Kødet Smag.
Tutto il materiale, registrato nel 2000 in Danimarca, ha varcato un processo di `riedificazione` completa finale, avvalendosi di una vasta inserzione di rumori ambientali e atmosferici d`ogni genere. Un buon esercizio di stile, a tratti derivativo, che cerca di esaminare le varie forme contemporanee dell'elettronica.
Riascoltato a più riprese e focalizzati due brani solidi e ben strutturati, quali Saltet Giver Sveden Smag e Øjet Smager Huden, Huden Smager Tungen, gli artefici di "Fluorecent" mi rievocano la strabiliante accoppiata tra Thomas Lehn e Gerry Hemingway in "Tom & Gerry".
Se siete dei particolare intenditori della nuova improvvisazione (micro)acustica, la vostra memoria non dovrebbe impiegare molto, prima di ricordare i nomi di Sean Baxter e David Brown (a.k.a. Candlesnuffer).
Entrambi, insieme al genio `malato` di Anthony Pateras, hanno firmato uno strabiliante album impro nel corso del 2004, intitolato “Ataxia” e uscito per casa Synaesthesia (*). Acclamato da tutto il jet set specializzato, i tre cospargevano di nuova linfa un genere, negli ultimi tempi, statico e appassito. Percussionista il primo, chitarrista il secondo, il nome Lazy li lega quando lavorano in coppia.
Nella loro emotività sonora, a mio modo, si scorgono le tensioni forti del free jazz inglese, le sonorità fabbricate dagli anni `70 in poi. Un`approvabile accostamento sul versante strumentale sarebbe dato dalla chitarra free di Derek Bailey, per quanto riguarda Brown, e Tony Oxley per le percussioni di Baxter.
Non vi è un largo utilizzo di computer e moderne tecnologie, a modificare l`identità dei propri strumenti, rendendo `visibile' quella materia che prende il nome di elettro-acustica, è il largo uso di oggetti posti tra di essi (ad esempio, ricordo per “Ataxia” l`inserzione nelle corde della chitarra di oggetti di legno e monetine). Un free jazz surreale dunque, diviene l`ingranaggio principale di “Microsonics”: acceso contenitore di forme libere, in vita per merito di una batteria, il più delle volte, suonata solo con le mani e di una Fender Stratocaster, scollegata da qualsiasi amplificatore; sono i microfoni, posti ad angolazioni diverse, a captare i microscopici interventi alla sei corde. Tutte le tracce prendono il nome da enigmatiche formule matematiche, una prerogativa che inoltre ricorda molto l'estetica di Anthony Braxton.
Prima di sfumare verso altri lidi, prestate uno sguardo alle parole espresse dallo stesso Baxter, cariche di significato:
`Microsonics explores the sounds and textures of microscopic acoustic gestures, produced with prepared electric guitar, drum kit and percussive junk. This is rarefied free improvisation which, though focused on miniscule sounds, is best appreciated at frighteningly loud volumes--a kind of inverse noise-grind / shitcore experience`.
Giunti alla Toy Band di Adam Simmons si respirano odori jazz non particolarmente `devastanti`, ancora ancorati a strutture improvvisate, piuttosto tradizionali.
Nato a Chelsea, vicino Melbourne, il giovane Simmons, partendo dallo studio del piano, è arrivato oggigiorno a suonare parecchi membri della famiglia dei fiati. Tra le proprie mani, con il pathos acceso per i suoni cool, scivolano sax baritono, alto, soprano, clarinetto e flauto. Membro attuale nei Bucketrider, la Toy Band da lui plasmata non va confusa con ensemble dediti all`impiego esclusivo di giocattoli, suonati al posto degli strumenti classici. In “Happy Jacket” tutti i membri suonano e improvvisano tranquillamente con strumenti originali, limitandosi a mischiare essi con l'uso intervallato di strumenti di plastica, giocattolini, fisarmoniche in miniatura, tastierine a forma di trenini, trombette bislacche, scacciapensieri, sax e flauti di plastica...
Tutti i loro versi si astengono dal comparire con fare costante, la loro funzione è quella di abbellire e rendere un tono di eccentricità ad ogni brano, in particolare, nella fase finale.
Ad accompagnare Simmons sono tutti giovani musicisti australiani, più o meno, sconosciuti alle cronache: Ben Carr (tenor / soprano saxophones), Phil Bywater (alto / tenor saxophones), Nadje Noordhuis e Eamon McNelis (trumpet), Kynan Robinson (trombone), Anita Hustas (bass), Joe Talia (drums).
Peccato solo che non si osi più del dovuto, che questi oggetti nel complesso esercitino un`influenza parziale. Simmons plasma un jazz improvvisato dalla carnagione chiara e limpida, energica e frizzante, adatta per divorare romanzi noir o per rilassarsi al mare, sotto un ombrellone al riparo dal sole cocente.
Un disco con molti simili dietro l`angolo, che ripercorre in pieno lo swing esuberante ed allegro di diverse bands californiane, dirette, ad esempio, da Jason Robinson o Nathan Hubbard.
Nella lunga carrellata delle 16 composizioni risalta per esuberante creatività solo l`assolo di tromba alla Miles (Davis), lasciato sciorinare liberamente sopra i battiti jungle di Dirt Ball.
Ecco sbucare di nuovo i nomi di Sean Baxter, David Brown e Philip Samartzis e del proprio trio Western Grey.
“Glacial Erratic”, il primo album, è stato registrato nel 2003 per mano di Samartzis e vede figurare, come per incanto, la seducente Kaffe Matthews alle manipolazioni ambientali, durante la lunghissima `suite` finale, Open Space. Una nota necessaria, visti i risultati raggiunti anche dopo l'ascolto complessivo dell'opera, incentrata con decisione nello sviluppo di un sound elettro-acustico, contaminato da rumori circostanti, 'raffinati' in real-time per larga parte da Samartzis e dalla dolce Kaffe. Un elogio particolare va in direzione della seducente ritmica di Baxter. La sua batteria mantiene il suono originario e dona un sapore soffuso di free form jazzistica un po` ovunque.
Un contrasto di suoni davvero delizioso!!!
Brown non è da meno, si diverte a scandire il tempo con improvvise deviazioni chitarristiche, astratte e surreali, che odorano di ferro contratto e dell`immancabile Derek Bailey. Electrostatic Transfer, Pause, Close To Nothing e Open Space amano i tempi continuamente intervallati tra silenzi, micro-rumori e suoni ben evidenti: fanno tesoro di Morton Feldman e della sua metrica. Materia, corpi solidi sospesi in assenza di gravita, galleggiano nel vuoto assoluto, contraggono i propri nervi, si scontrano con il (bianco) rumore del silenzio.
Solo Open Space sguscia un velo di compattezza, soggetto a continue (in)esplosioni noise.
Se avete apprezzato le deflagrazioni impro, proposte dai newyorkesi PSI, non potete chiudere gli occhi dinanzi a “Glacial Erratic” dove, ancora una volta, le parole in merito di Baxter appaiono illuminanti:
`... The four pieces comprising “Glacial Erratic” are exemplary of the inevitable fusion of electroacoustic composition and free improvisation, of pre and post-meditation in sound design and the embrace of chance, aleatory and chaos in performance. This CD must be listened to at high volume for best results, so that the minute intensity of this sonic collision shreds your aural senses.`
Tim Catlin è un altro artista sulla cui classe ed eleganza punta molto l`etichetta australiana. Il suo è un d.n.a. percorso dagli spettri di una drones-music lenta, catartica, eterea. Ambient composta attraverso la preparazione di chitarre elettriche e acustiche. La sua propulsione al minimalismo, composto da suoni in lento mutamento, lo avvicina alle scuole di Phil Niblock, Charlemagne Palestine e Tony Conrad.
“Slow Twitch” è un lavoro adornato da quattro lunghe composizioni che sembrano, ognuna, indagare diverse forme fisiche della materia. Così per Metal Fatigue che disperde nell`aria i propri liquidi vitali, attraverso il movimento ovale dei corpi sonori, cavati in particolare dalla dolce percussione / estensione delle corde. Electric Clouds è racchiusa dentro un`anima ancor più fragile e delicata, mentre Vapour Trail si articola maggiormente sopra fondali elettronici. La title track ha per protagonista una chitarra (presumibilmente) accarezzata da archetti ed oggetti esterni.
Si viaggia con la mente, ci si crogiola in suoni soffici che ti trasportano lentamente; le orecchie vengono narcotizzate, addormentate in stati d`incoscienza. Si conferma anche la comunione tra i 4 brani nel seguire particolari armonie e melodie comuni, esposte con caratteri e tempi diversi per ogni occasione.
E` la delicatezza a permeare con disincanto nei neuroni di Catlin, il quale acquerella paesaggi dotati di una certa malinconia e a risuonare nell`atmosfera, come un soffio continuo, sono i paesaggi ambientali di Rafael Toral. Il portoghese lascia una propria impronta, indelebile al pari di un tatuaggio, nello stimolare la composizione del giovane sperimentatore; `carriera` intrapresa dopo 15 anni trascorsi ai confini con il pop-rock.
Con “l'événements” invece approda il quarto album dell`ensemble Bucketrider, tra le formazioni avant-impro australiane più famose e in voga tra il circuito underground di Melbourne. Fondati una decina di anni fa dagli `onnipresenti` David Brown, Sean Baxter e Tim O`Dwyer, la formazione attuale raccoglie anche i nomi di Adam Simmons, James Wilkinson e, occasionalmente, di Judi Mitchell all`oboe e del rigoroso Samartzis all` "aks synthi". Osserviamo come predilige presentarsi all'esterno la formazione: un ibrido di (hard) free (core) jazz spolpato a colpi di rabbioso e veloce punk; e da qui si deduce il maggiore affiatamento al groove della band, da parte di un pubblico ben più ampio.
Dall`inizio forti estimatori della `New Thing` di John Coltrane, hanno messo in musica molte delle sue opere più free, tra cui “Meditations” e “Om” ed alla stessa intensità sembrano identificarsi con la filosofia collettivista di Sun Ra.
Ogni opera sviluppata sin'ora ha seguito come musa ispiratrice un tema particolare, oppure un personaggio preciso, da ricollegarsi al vasto mondo delle arti.
"L'événements”... gli eventi è una vera e propria suite divisa in 14 `atti` che descrive con l`emozione della musica, l`intera storia intellettuale francese: dal post-modernismo agli ultimi goccioli rivoluzionari, sparsi dal bollente Maggio parigino. Una mappa cronologica di doveroso rispetto, il valore del tema affrontato supera l`aspetto, puramente, musicale. Del resto tutti i vari movimenti: culturali, politici, artistici che siano, vengono musicati con varie intensità e volumi dell`impro-jazz più rigoroso.
É così che piccoli, grandi soffi rivoluzionari, banditori di libertà e uguaglianza filino a meraviglia dentro scritture musicali di stampo afro-americano, per antonomasia libero e spontaneo. Un`equazione più che perfetta che chiude degnamente l`excursus intorno la Dr Jim`s Records. Rimangono alcuni brani: Tesliana, My Education, Earlwood e Brian Mannix, posti ad inizio e fine del cd, che risalgono al primo album “Le Baphomet”. Essi rispecchiano le venature più funky-jazz del combo, lasciato da parte dal gusto momentaneo della band. D`altro canto nell`ascolto del cd rappresentano gli attimi meno interessanti, dove si sgretola il confine tra jazz e virtuosismo fusion.
Critica di piccola entità rispetto alla produzione generale Dr Jim, responsabile di lodevoli assaggi(ni) a base di note improvvisate, di incalzanti distorsioni, di arie giocose, di trame minimali, di musicisti intellettuali, di realtà sempre più sconosciute che emergono dallo sconfinato panorama indipendente australiano.

(*) Potete trovare la recensione del disco nel nostro archivio dell'anno 2004.

Titoli descritti:

- Rasmus B Lunding and Philip Samartzis “Fluorescent” (Dr Jim 30)
- Lazy “Microsonics” (Dr Jim 31)
- Adam Simmons Toy Band “Happy Jacket” (Dr Jim 32)
- Western Grey Glacial Erratic (Dr Jim 33)
- Tim Catlin “Slow Twitch” (Dr Jim 34)
- Bucketrider “l'événements” (Dr Jim 35)

Link dettagliati:

- www.drjimsrecords.com
- www.philipsamartzis.com
- www.adamsimmons.com
- www.bucketrider.com



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