L`etichetta prende il nome da uno storico pezzo dei Soft Machine ma non credo che nelle intensioni del buon Wyatt, che ideò quel pezzo, ci fosse questo mal di dio. Dietro a un immaginario vagamente metallaro si nasconde un tastierista belga che batte la bandiera di un prog-jazz-rock sentito e risentito, saputo e risaputo ma che, forse proprio per questo, continua ad avere un suo pubblico. Velocità esecutiva, tecnicismi ben in vista, alta tecnologia, scale e contro scale. “Vegir”, se non siete allergici a tutto ciò, è un buon disco e Tony Levin rappresenta pur sempre una garanzia.
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