C`è in giro una gran voglia di jazz. Non mi riferisco a quello mainstream, che non ha mai abbassato la guardia, bensì a quello sperimentale il cui ascolto più s`adatta ai cultori della musica. Ci sono vari fattori a dimostrarlo. Innanzi tutto c`è il ritorno in auge di vecchi sperimentatori, e il caso dei Wolf Eyes che si esibirono con Anthony Braxton è solo la punta di un iceberg dalla base ben più estesa. Prendete un Leo Smith che fra il 1983 e il 1996 aveva pubblicato la miseria di 4 dischi, dopo essere stato uno degli sperimentatori più attivi per tutto il corso degli anni Settanta ... ebbene!, dal 1996 ad oggi il suo nome appare in una cinquantina di dischi. Un altro elemento significativo è la ristampa di numerosi dischi degli anni d`oro del free jazz e della musica creativa, non solo dei capolavori conclamati ma anche di opere oscure che all`epoca della loro pubblicazione non avevano ottenuto grandi riconoscimenti. Infine c`è il rinnovato interesse verso generi limitrofi quali la no wave, il rock in opposition e alcune frange dalla musica progressive.
Questo nuovo interesse si è manifestato anche nel germogliare di una nuova scena legata alla sperimentazione di radice jazz, e ne è stato a sua volta stimolato, con il coinvolgimento di nuovi musicisti e la nascita di numerose piccole etichette discografiche (spesso gestite dai musicisti stessi).
Questa scena, seppure abbia radici ben piantate nella storia della sperimentazione jazz, non è affatto una ripetizione pedissequa di un glorioso passato ma ha caratteristiche proprie, ad iniziare dal fatto che a differenza dei movimenti più storicizzati non è appannaggio della comunità afro-americana ma è viceversa costituita essenzialmente da musicisti bianchi e, in maggior parte, di nazionalità europee. In secondo luogo molti di questi musicisti si sono formati suonando musiche di altro genere e, in molto casi, continuano ad alternare la militanza in formazioni jazz con quella in ensemble di altro tipo.
Davide Lorenzon, quinta parte di questi Mountweazel e fondatore della Aut Records, ha per esempio alle spalle studi classici e la militanza in gruppi punk-hardcore.
Tutto questo porta alla contaminazione fra le nuove forme di jazz sperimentale a altri generi, contaminazione che coinvolge sia l`aspetto musicale sia il modo in cui vengono confezionate molte pubblicazioni (a tal proposito date un occhio al collage nella custodia di questo CD).
I Mountweazel sono un po` lo scheletro della Berlin Soundpainting Orchestra, con l`aggiunta di Nicola Guazzaloca al pianoforte in due brani (Hungry Waves e Esrum Hellerup), e la loro formula con due sax (alto e tenore), contrabbasso e batteria riproduce quella ostentata da un celebre quartetto di Ornette Coleman (quello di “Ornrttr At 12”) del quale rispetta l`idea base di musica democratica. Un jazz, quindi, dove la posizione degli strumentisti è paritetica e dove il gap fra strumenti solisti e strumenti di accompagnamento è nullo.
In un certo senso i Mountweazel studiano il passato per vivere nel presente e disegnare il futuro.
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