¾ HadBeenEliminated    di Salvatore Borrelli





Quanto segue è il frutto di un'intervista al supergruppo/collettivo più interessante del panorama italiano che si sia sentito negli ultimi anni; insieme a Sinistri ed Ovo, il gruppo più internazionale, produttivo e davvero trasformativo in Italia. Per quanto concerne i materiali contenuti nel secondo e straordinario disco dei 3/4 Had Been Eliminated rimando alla mia recensione www.sands-zine.com/archiviorec.php?IDrec=514, quanto segue invece è un'intervista libera fatta insieme a Stefano Pilia, Claudio Rocchetti e Valerio Tricoli, che insieme a Tony Arrabito daranno ancora altre straordinarie pagine di musica a venire.

"Did I? Did they?" evidentemente raccoglieva figure sfocate: un miniandroide in bilico tra 'externals' e mondo ovattato che sbarcava con disincantata precarietà equilibrista la continua declinazione, la stessa disperata disinvoltura di tenersi in movimento, e si trattava certamente di tele milliflue, incastri di nylon che poggiavano su poco più di niente, e che facevano di questo lavoro una caduta perpendicolare più o meno mortale, ed il colpo subito era più o meno definitivo e fu così che, questo filo ipnotico legava mentalismo, astrazione e laboratori della Nasa. "Did I? Did they?", a memoria, fu la prima vera figura sonora del Tricoli, disco relativamente breve (una traccia di cui veniva riportata la durata sonora, e non quella intangibile del silenzio che ne susseguiva, fantasmaticamente, il resto come se questo resto trattasse il tempo proprio sul filo della sparizione) e particolarmente geniale per l'ossessiva cura sonora ed il controllo infinito dietro ogni secondo. E tuttavia l'universo psico-acustico del Tricoli, così rigorosamente architettonico poggiava la sua creatura nascosta nella psichedelia storica più che nell'elettroacustica digitaloide e turbata. Un lavoro incredibilmente personale anche nella logica dell'intimismo personalistico e particolarmente lontano dalle mode sonore perchè in fin dei conti doveva lasciare un segno quantomeno pari alla sproporzione della sua durata, e ci riusciva, pur legato a tutto quanto c'è di non frequentabile nella dronica cameristica e nella concreta da salotto. Lavoro in cui emerge il tema eccellente dell'universo acusmatico del Tricoli che si snoda tra oblio, materia e vuoto. E lavoro che, almeno personalmente, mi richiamava all'appello l'universo quantomeno assente della presenza, perchè come una pietra gigante nel cielo appariva come un presagio maledetto più per quello che si teneva `sotto` che per quello che restava nella durata dell'ascolto. Non a caso l'elettroacustica deve sfondare la sottile tela della contiguità rappresentativa, porsi e riproposti il tema dell'evento come soluzione si scompiglio e messa in scena del differente, e "Did I? Did They?" riusciva a debellare tutti i patrigni più o meno assimilati per collegarsi ad un'elettroacustica di stampo esistenziale, fiera del suo solipsismo ma dolorosamente densa di enigmi e rimozioni. Sono due i personaggi apparentati a questa qualità più o meno intimistica del tempo memoriale, non solo in termini rappresentativi, ma per modalità poetica di costruzione sonora: John Wall e Lionel Marchetti:

"John Wall non so, non è un'artista a cui sono molto legato emozionalmente o concettualmente... Delle somiglianze `superficiali` in effetti ci sono (non ci avevo mai pensato...Valerio_Tricoli ad esempio il modo in cui usa il silenzio, le dinamiche) ma il lavoro di Wall resta a mio sentire veramente molto musicale... con questo intendo porre l'accento sul fatto che quello che mi interessa di più nella musica elettroacustica (e nell'arte) è la messa in gioco di possibili stimoli e deragliamenti concettuali, metatestuali, emozionali anche, la possibilità di trascendere l'ascolto creando nuove configurazioni tra psiche e mondo: non in modo univoco, beninteso... Musica che chiede molto a chi ne fruisce, richiede un atteggiamento aperto, una volontà di dialogo con questi suoni, queste sensazioni che spero non si esauriscano in loro stesse ma che potrebbero creare, se ci si mette in gioco in prima persona, una soddisfazione estetica/emotiva/concettuale che non è palese. E` vero che forse tutta l'arte funziona così, ma nella mia musica il gioco è forse più scoperto, e in questo mira anche ad una riflessione sulla musica (e il suono) : il modo in cui ascoltiamo, il modo in cui potremmo ascoltare, il modo in cui ci proiettiamo (o no) all'interno di spazi che sono altro da noi ma di cui, se vi è la volontà di varcare questa soglia, potremmo fare parte in modo diretto e attivo. E tornare in noi, forse, arricchiti.
Per quanto riguarda Lionel Marchetti: mi piace molto, ma non mi pare abbia veramente a che fare col mio modo di intendere l'elettro-acustica: lui è un grandissimo paesaggista, un impressionista forse... Per certi versi un illusionista, mira a creare ambienti tridimensionali in cui immergersi completamente: è, passami questa definizione, musica da sogno cosciente. Io piuttosto miro alla frustrazione... ogni qualvolta stai per lasciarti andare `altrove`, arriva un elemento che ti rispedisce in te ma con una coscienza forse un po' diversa del tuo essere lì. Questo potrebbe sembrarti parzialmente in contraddizione col discorso che facevo prima (la soglia...).Did_I?_Did_They? Non lo è. Gli spazi della mia musica non sono, a mio sentire, più virtuali o posticci o fittizi di quello che noi chiamiamo realtà . Questo via vai tra `dimensioni` e categorie apparentemente antitetiche (io-mondo, passato-presente, memoria-memoria meccanica a loro volta in antitesi ad anticipazione, etc etc) non ha intenti manichei. Piuttosto mira ad una riconsiderazione di questi spazi, di queste categorie. La meta (irraggiungibile?) è di creare un sincretismo totale, un cristallo in cui si possa in qualche modo riflettere l'esistenza senza più necessità di definizioni, di sillogismi, di principi (di identità , di contraddizione...): è una questione molto personale, per me. Sono giunto a questa volontà /necessità a causa dei continui deja-vu di cui... soffro? E poi, sono proprio tecnicamente dei deja-vu? Ad ogni modo, quello che sento in questi momenti non è la sensazione del `già stato`, ma del `uno, adesso`: non c'è più dinamica, moto, direzione, non c'è più differenza. Non c'è nulla da analizzare, giacchè la realtà (o il cosmo... ma nessuna di queste definizioni mi soddisfa neanche un po') è atomica, non vi sono porzioni da estrarre o categorie da mettere più in relazione o in contraddizione. E` qualcosa che sento, ed è questa sensazione a guidare la mia musica: la traduco in segni, in simboli, altre volte la drammatizzo, oppure tento di ricrearla, in architetture che possano catalizzare questa impressione, questa sensazione"

Anche nel 3/4 Had Been Eliminated riemerge, sebbene in una forma più confusionaria e magmatica il fantasma del bilancio, quel particolare dosaggio riscontrato nelle performance live anche, che si divide silenzio, intervento acustico e movimento dialettico.Tricoli_e_Rocchetti L'uso del drone monolitico con l'ausilio della manipolazione concreta di stampo improvvisativo, l'adattamento di inneschi folk su materiale morfologicamente in progress continuo, l'imprevedibilità di quasi tutti i passaggi sospinti sempre in un movimento che fa gioco sulla massa muscolare e su un gusto della giustapposizione sonora dai risvolti cuneiformi e sorprendenti, l'uso del mosaico sonoro trattato come impasto mutante e non per ultimo l'uso della voce di Valerio Tricoli: questi gli elementi che trasportano continuamente il materiale dentro direzioni inquiete, e che invadono queste strutture di materiale tanto sperimentale quanto rock, e che insieme forniscono godibilità e desiderio. Se il primo disco pareva ammantare presagi piuttosto riflessivi, talora statici o quasi niblockiani, “A Year Of The Aural Gauge Operation” poggia su più reazioni a catena, improvvisi deragliamenti, scoordinamenti e sincopismi. Ci spiega Pilia:

"Il primo è un lavoro che è nato interamente nello studio, secondo modalità più vicine alla composizione elettroacustica per intenderci... si svolge attraverso un ciclo di sette capitoli.. in cui vi è il senso di un immaginario unitario ma ogni parte mantiene comunque una sua precisa identità ed in qualche modo indipendenza. Mentre nel secondo lavoro tutto si mescola e interagisce in maniera più bizzarra e complessa. lo scheletro del nostro suonare live percorre tutto il disco e su questo scheletro hanno poi preso vita una ulteriore serie di processi compositivi che in qualche modo erano già sottointesi nel nostro suonare. Lo sviluppo ulteriore ha così finito per creare un forte senso di multistratificazione sia per il numero degli elementi in gioco sia nei termini dei processi in atto.Stefano_Pilia Credo che traspaiano da entrambi i lavori necessità di indagine molto vicine. Seppur il processo di realizzazione della materia sonora e di conseguenza il metodo compositivo siano per molti aspetti sensibilmente diversi, non riesco a intendere questa differenza, che per ovvie ragioni è anche estetica, come un'evoluzione ma semplicemente come il risultato di un diverso modus operandi. E` vero che anche l'esperienza legata all'ascolto dei due lavori è piuttosto differente - soprattutto nelle modalità che indichi nella domanda - ma l'immaginario strutturale e il senso del molteplice che si delinea dopo il tempo dell'ascolto e che perdura dopo tale tempo risulta essere molto simile. A me sembra che le domande di questi due lavori siano le stesse e che altrettanto lo siano le non-risposte nel loro rimandare alle medesime domande..".

Chiedo a Stefano di spiegarmi le continuità e/o differenze con lavoro dei Sinistri sulla conduzione delle pause e del tempo e d'indicarmi in che modo intendono sviluppare i materiali dei due dischi dal vivo:

"Nei Sinistri questo lavoro sulla spazializzazione e interruzione avviene per lo più come una conseguenza legata al lavoro sul tempo e sul superamento dell'intervallo temporale inteso come unità metrica fissa e che si ridefinisce come area di possibilità o probabilità in cui l'evento accade. Mentre nei 3/4 il lavoro sulla spazializzazione e sull'interruzione della materia sonora mi sembra più legato a faccende di tipo psicoacustico. Ci sentiamo sì vicini ai Sinistri ma credo più sul fatto del domandare che nel modo in cui domandiamo. La pratica improvvisativa è una caratteristica importante nella nostra attività live ma da sola non ne costituisce la totalità .Healing_Memories_In_Present_Tension E` sempre inserita in una progettualità e in una strategia d'azione precisa che ogni volta si modifica su più livelli in relazione al contesto. Questo è il punto centrale della nostra attività dal vivo. Stiamo pensando di inserire nell'agenda dei diversi modus operandi anche composizioni da eseguire live perchè talvolta ne sentiamo la necessità ".

I 3/4 Had Been Eliminated nascono per davvero a Superfici Sonore, in pianta più allargata, eppure nascono in un clima d'improvvisazione. Si tratta dell'unione di più persone che già da sole hanno prodotto un lavoro molto singolare e curato: il già citato Tricoli, lo "Healing memories in present tension" che ha il pregio di occuparsi della risonanza, dei corpi risonanti che l'attraversano e dentro cui le note di Pilia si diffondono (si tratta di un lavoro pregevole per la sua capacità di catturare anche lo spazio della propagazione acustica e senza editing alcuno d'includere l'acting performativo nella registrazione terminale, catturando anche lo spazio non-persistente della materia intorno. Indipendentemente dalla convergenza stilistica che l'attraversa, convergenza che racchiude in un paio di mandate il Loren Connors degli episodi più elettrificati e dronici e le distese crepuscolari del Mick Turner solista, il resto del lavoro si trascina tra andature ambient molto Toral ed atmosfere da drone-ballads non dissimili da quanto si sente su Foxglove), ed il Claudio Rocchetti della `concreta informale` e della `folk-acustica` che si muove tra modulazioni stranianti, slittamenti gestualisti, microsinfonie paraneurali. Per questo il collettivo si muove in modo ossimorico con un incastro dialettico a volte criptato, altre volte scoperto in una materia che insorge detonante, plastica ma con un'ossatura rocciosa che sorprende per la vastità dialogica dei meccanismi di snodo delle tracce.Stefano_Pilia Quello del miscuglio sonoro, del montaggio dadaista, dell'intervento diretto sulla post-produzione come un'ulteriore molla di aggregazione sonora e produzione dialogica, è una prerogativa che si riscontra molto nel lavoro solista di Claudio Rocchetti. In "I could go on singing", nei primi tratti, si sente uno strano fenomeno quasi sismografico, tendente a separare i suoni, un po' mediante ausilio concretista, un po' attraverso l'uso delle interruzioni. Sono solchi di stupefacente forza visiva, e sembrano un unico aggregato con la componente fisica, materica. Viene da chiedersi se originariamente i suoni che catturi non siano tutti già distaccati, o se l'intenzione di distaccarli, di farli collidere, venga fuori da una specifica intenzione di sconvolgere chi ascolta queste materie...

"Il materiale di "I Could...", almeno quello a cui ti riferisci, è stato raccolto a Berlino durante uno dei miei primi soggiorni nella città . E questa rimane un'indicazione personale, che ha a che fare con la mia geografia e con gli affetti, più che tematica. La metodologia è un'esasperazione delle soluzioni già provate su "The Work Called Kitano". Un montaggio concretista di suoni disparati e, come da regola in realtà , decontestualizzati... le interruzioni poi sono ancora più grezze perchè prese da materiale live, ed in seguito poco lavorate, nel tentativo di non intaccare la gestualità caratteristica dei miei concerti".

Nelle composizioni di Rocchetti la componente improvvisativa dei tardi anni settanta torna a farsi presente. Mi vengono in mente i lavori di Han Bennink, l'uso delle corde, più percussivo o slide-oriented che suonato e questo evidentemente accresce il linguaggio emotivamente astratto ma paradossalmente corporeo ed improvvisativo del lavoro a discapito di quello più narrativo e studiato (vedi il modo con cui Rocchetti amplifica i silenzi o gli ambienti sottostanti).Claudio_Rocchetti In "Pocket progressive", lavoro in trio con Fhievel e Sigurtà , esistono diversi elementi idiosincratici: si direbbe che è una composizione vuota al primo ascolto, tuttavia mi sembra power electronics fortemente involuta, che appare musica concreta solo per via dei volumi dimezzati ma che in fondo ha un che di proto-industriale. Tra questi materiali vengono rirpesi tutti i clichè del genere microfonico, della `microfonia percossa o strofinata`, all'oggetto sfiorato, ma dentro, c'è come una lotta data da un'esplosione astratta che sembra andare in qualche direzione, eppure si conclude com'è iniziata. Chiedo a Claudio del perchè quegli sbalzi d'amplificazione dal quinto minuto in avanti, amplificazione di vuoti, e la differenza rispetto al Tricoli nel modo di cogliere i vuoti o farne nascere ancora e che valore dà al disco in tre?

"Amo particolarmente il `vuoto` su supporto analogico. Quindi amo il supporto e il suo essere nel mezzo della composizione. Non mi interessa particolarmente l'ambiente nelle parti amplificate a volumi assurdi a cui fai riferimento... in questo caso mi interessa in nastro, la sua storia e le sue peculiarità . Credo di essermi spinto al limite di questa passione con questo lavoro, il finale del pezzo al quale fai riferimento mi riempie di una gioia demente ogni volta che lo ascolto (ovviamente il disco va ascoltato a volume costante, ma alto, molto alto!). Rispetto a Valerio giustamente riscontri dei punti di contatto, ma le nostre lenti focali lavorano in direzioni diverse... lui è infinitamente più raffinato e psichedelicamente determinato, io sono più istintivo e artigianale.
"Pocket Progressive" è nato in un pomeriggio, il giorno dopo un concerto di Luca e Fhievel. Ci siamo seduti ed abbiamo iniziato a suonare come spesso accade dopo un concerto al Raum. Senza schemi o `partiture` di sorta. The_Work_Called_Kitano Non credo affatto che sia la mia cosa più debole. Credo che sia la più instabile, la più scoperta. Hai fatto bene ad ascoltarlo a volume alto, è il modo migliore per apprezzarne la potenza trattenuta e raccogliere la vena urbana, direi ai limiti del crash nervoso, dello scatto improvviso. Il disco è spinto fino alla soglia del free noise, ma non l'attraversa. Rimane a lottare da questa parte, a lottare contro la metropoli con i suoi stessi mezzi..."


Una delle differenze più evidenti tra Rocchetti ed il Tricoli sembra appartenere ad una materia comune: Rocchetti scava i suoni con una componente più visionaria, passionale, che si spinge verso territori più filmici, il Tricoli orienta tutto quanto il suo lavoro su binari anch'essi visionari, eppure di una visione bianca, non troppo lontana dal "Blue” di Jarman, organizzata mediante un controllo che sembra più rigido, più mentale. COsa accade quando lavorate insieme? Come si forma una composizione di 3/4 hadbeeneliminated?

"Sono abbastanza d'accordo con i termini che usi per confrontare la mia visione con quella di Valerio, solo in realtà credo che sia lui ad essere molto più `filmico` di me. Lo è sin all'interno di uno sguardo che comprende (rimanendo al cinema) Spielberg e i fratelli Quay, Carpenter e Maddin... il tutto con una forte personalità , ma altrettanto fortemente riconoscibile, in ogni sua traccia e riferimento.
Per il lavoro sui 3/4, la questione si fa complessa. Ogni disco o pezzo ha avuto una genesi differente, talvolta completamente divergente con la precedente. Alcune delle tracce partono da field-recordings, da una melodia o da una parte ritmica, da un'improv collettiva o da una sezione registrata a due o in solo...3/4_performance è davvero impossibile fissare dei punti fermi nel nostro lavoro, tranne la fase finale, quella dove stiamo in studio delle intere giornate a rimescolare le carte e a mischiare, tagliare, sovrapporre..."


Da qualche anno vivi a Berlino. Chi ci è stato mi dice che c'è una situazione di disponibilità nei confronti del fare musica introvabile altrove. Che tipo di reazione c'è nei confronti della tua musica suonata? Il momento live in che modalità lo senti differente rispetto a quello di composizione da studio?

"La situazione berlinese è incredibile. Le possibilità di suonare o di ascoltare concerti o di partecipare a party di tutti i tipi e generi è letteralmente infinita. E` un confronto continuo con una massa di suoni e situazioni strabilianti e strabordanti, la quantità di occasioni di confronto ed esperienza, la qualità sempre molto alta di ciò che viene offerto...
Il mio live ha ricevuto buoni riscontri, anche se ora va ripensato radicalmente, credo di aver raggiunto il massimo (per quanto concerne le mie capacità s'intende) da questo set. Ora sto suonando in alcune situazioni in duo (formula che mi piace particolarmente), mentre in solo voglio ripensare tutto il mio background pop, che costituisce una fetta enorme delle mie esperienze come ascoltatore..."

L'attività dei 3quarters Had Been Rmilinated dal vivo è davvero trascendentale. Chiedo a Tricoli dettagli sul concerto visto nel Giugno del 2005 al Lumière di Bologna, che resterà nella mia memoria come uno dei live più commuoventi che mi sia capitato di vedere. Live accompagnato ad immagini di una bambina che diventa di volta in volta grande, dei veri strappi temporali ripescati da vecchie riprese genitoriali, personali.

Claudio_Rocchetti "La collaborazione con l'associazione Home Movies (mi permetto di rimandare i lettori al loro sito www.homemovies.it) nasce da un tentativo poi non andato in porto (non riuscimmo a preparare nulla per tempo) di partecipare insieme al bando per NetMage. Qualche mese dopo Home Movies fu invitata a questo festival "Biografilm", e loro scelsero di partecipare col film "Catherine". Necessitando quest'ultimo di un accompagnamento sonoro alle immagini, ecco che fummo contattati per prendere parte al progetto. "Catherine", il film, nasce dal ritrovamento (da parte di Mirco Santi, uno dei fondatori dell'associazione) di una scatola di bobine 8mm e 16mm contenenti frammenti di vita di una ragazza dell'alta borghesia francese (le didascalie ci informano del suo nome) dalla nascita, negli anni quaranta, fino al matrimonio e al suo successivo trasferimento negli USA insieme al marito. Tutte le riprese sono state girate dal padre di lei, tranne l'ultima bobina che fu girata dal marito. Le immagini non sono state alterate in alcun modo, nè le sequenze sono state editate: si tratta sostanzialmente della riproposizione tale e quale del materiale rinvenuto, presentato senza fronzoli e assolutamente in ordine cronologico. Devo dire che inizialmente io e Stefano eravamo abbastanza pessimisti: un film di un'ora, molte parti erano piuttosto noiose (sebbene in pellicola e talvolta non prive di `mestiere`, pur sempre di filmini casalinghi si trattava... la bambina nella culla, la bambina che gioca, il primo compleanno, le vacanze al mare e in montagna e via così) eppure... eppure la radicalità dell'operazione così com'era stata intesa dai ragazzi di HomeMovies ci affascinava molto.A_Year_Of_The_Aural_Gauge_Operation Poi: è bastato sospendere il giudizio `estetico` e intraprendere invece una ricerca su tutto quello che era nelle immagini e su quello che non c'era... l'amore morboso del padre, il lento distacco da lui dovuto alla maturità della ragazza, il definitivo abbandono della famiglia che determina anche il cambio del regista (non più il padre, bravo fotografo, ma il marito, pessimo, quasi cieco). E poi tutte queste bobine, frammenti di una vita intera, buttate via, e finite in vendita per pochi franchi su una bancarella parigina. Mi chiedo: forse avevano digitalizzato il contenuto delle pellicole prima di sbarazzarsene? E anche in quel caso, la pellicola porta delle tracce, contiene qualcosa che è invece perduto nella sequenza numerica? Questo genere di considerazioni, di domande, ci hanno piano piano fatto avvicinare al testo. Il risultato, concordo, era molto commovente, ma di una commozione che non si esaurisce nella rivisitazione di un passato che non ci appartiene".

Ho sempre considerato il tuo ausilio come quello di un ingegnere attento al modo in cui i suoni vengono fuori dal nulla e si propagano in certe forme e direzioni; ma la cosa più entusiasmante è che la cura dei dettagli, dei particolari, appare immediatamente sconcertante perché, e questo anche nel tuo "Did they? Did I?", i suoni come vengono fuori e decollano ritornano a loro volta nel silenzio. Mi chiedo se nei tuoi montaggi sonori il silenzio sia proprio una parte di sequencing non colmata, lasciata libera, oppure un vuoto che è il vuoto della musica, e che in qualche modo non è del tutto vuoto. Puoi parlarmene?

"Dunque, certamente questi silenzi di cui parli sono un elemento determinante del mio modo di comporre. Ora, col rischio di essere un po' schematico, direi che esistono diversi tipi di silenzio.Dimethyl_Atonal_Calcine_singolo La qualità del silenzio è spesso determinata dagli elementi che lo precedono, e gli elementi che seguono possono anche portarci ad una riconsiderazione dello status del silenzio che li precedeva. Una porzione di silenzio preceduta da un glitch potrebbe darci l'idea che qualcosa si possa essere rotto nel dispositivo di riproduzione/diffusione (e potrebbe portare la riflessione su tematiche che riguardano il supporto, oppure sul rapporto instabile tra quello che chiamiamo realtà e ciò che chiamiamo finzione...). Un silenzio interrotto da suoni `realistici` che ne emergono per poi ritornarvi potrebbe essere invece interpretato - sentito - come il silenzio di uno spazio interno alla composizione - ma potremmo forse con sorpresa scoprire poi che questo spazio è lo spazio in cui `già siamo`. O ancora i silenzi che precedono un fade in, o quelli che seguono un fade out, creano tutt'altro genere di risposte psichiche... E via così... Ad ogni modo, che in questi silenzi non ci sia nulla da `sentire`, non pregiudica il fatto che c'è pur sempre qualcosa da esperire: la qualità di questa esperienza è senz'altro determinato dalla `natura` del silenzio in questione come dalla condizione particolare di chi ascolta. Quando tu dici silenzio come `parte di sequencing non colmata` analizzi il mio lavoro, forse, in modo strutturalista/materialista; invece dicendo che è `il vuoto della musica, non del tutto vuoto`, guardi al mio lavoro secondo una prospettiva simbolica che potrebbe tendere addirittura alla metafisica. Entrambi i punti di vista mi sembrano possibili ed appropriati: ancora una volta è chiaro che anche nel vuoto, il suono o la sua (presunta?) assenza sono dispositivi in grado di mettere in moto un gran circuitare di idee, sensazioni, riflessioni. E anche qualora il silenzio venga interpretato semplicemente come zona di transito tra il suono e il suono, pur sempre rappresenterebbe una condizione per me necessaria dell'esistenza".

In "dId they? Did I?" c'è questa lunga traccia dopo la traccia, questo microfono a contatto messo sulla porta; mi fa pensare ad un ambiente blindato, esiliato, una versione intimista del concretismo. Com'è nata ques'idea?

Piuttosto, come non è nata questa idea. Infatti non è un'idea, ma semplicemente qualcosa che è accaduto, nulla che io potessi controllare, semplicemente è successo. Poteva essere niente, e invece per me è qualcosa. Esistono dei momenti nel tempo in cui il tempo è più pregnante, credo, e questo dipende da arcane congiunture... è successo, ma non per caso. Stavo leggendo Storia Dell'Eternità , i microfoni erano già applicati alla porta della mia stanza (ero a Cagliari per qualche giorno, vivevo in una pensione molto burroughsiana, molto milleriana), ascoltavo in cuffia quello che stavo registrando e avevo un potentissimo deja-vu/flashback/terrore senza nome. L'esperienza era davvero molto esperienziale. Prova ad immaginare un deja-vu di venti minuti (ma, `time becomes meaningless`), Borges (e mentre lo leggi lo hai già letto, e bene o male, quello che leggi parla proprio di questo, cioè del fatto che stai leggendo qualcosa che, bene o male, hai già letto, ab infinitum...), e ascoltare, simultaneamente, suoni che hai già sentito ma che stanno accadendo in quel preciso istante e che per lo più sono i suoni provocati dalla tua presenza, che in cuffia è una specie di estraneità (come quello che ti guarda dallo specchio), e i suoni estranei, al di là della porta, che muovono l'aria che va vibrare la porta, e questi suoni estranei sono così completamente interiori, in quel momento, e nella peggiore delle illusioni, diciamo così, sono tuoi perchè già li avevi sentiti, ab infinitum.

Blindato: nel proprio cranio?
Esiliato: Das Nicht-zuhause-sein? (il non-essere-presso-di-sé?)



¾ Had Been Eliminated:
www.shiftingposition.org

Claudio Rocchetti:
www.equalradio.com

Bowindo:
www.bowindorecordings.com

Häpna:
www.hapna.com

The Last Visible Dog:
www.lastvisibledog.com

Sedimental:
www.sedimental.com

Wallace:
www.wallacerecords.com

Bar La Muerte:
www.barlamuerte.com

Creative Sources:
www.creativesourcesrec.com



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