orchestre    di e. g. (no ©)

(questo articolo è stato possibile anche grazie all`aiuto di Paolo Lazzeri, Giovanni Antognozzi e Giuseppe Ielasi)



Orchestre_D'Fou
Qualche tempo fa, mentre cercavo delle informazioni su internet, sono inciampato in un distributore di dischi francese che si chiama Orkhªstra. Alcune ore dopo ero alla guida della mia scalcinata automobile diretto al lavoro e, mentre un manifesto che dichiarava l`ennesimo arrivo di Andy J Forest nella mia città ammiccava dal bordo della strada, ripensavo a questa cosa dell`orchestra. Per carità , niente in contrario su Andy J Forest, deve pur mangiare anche lui, caso mai il problema sta nel fatto che con i concerti organizzati nella mia città ci mangiano soltanto pochi altri. E mentre ero impegnato nella guida, fra un cavalcavia e una rotonda, con lo sguardo di Andy J che mi seguiva, ripensavo al distributore francese e riflettevo su un dato di fatto: molti fra i dischi più belli ascoltati ultimamente sono stati incisi da una qualche orchestra e, per di più, da orchestre `balzane` che non hanno niente a che fare con i grandi insiemi di musicisti che comunemente vengono associati a siffatto termine.
E` così che nasce l`idea di questo articolo. Dal tentativo di capire cos`è in realtà un`orchestra e, soprattutto, cos`è oggi un`orchestra?
Il primo passo, per tentare di capirci qualcosa, è stato quello di chiedere a due diretti interessati perchè utilizzassero quel termine come definizione di progetti musicali portati avanti in completa solitudine.
Bruno Dorella, che nelle performance in solitudine si presenta come Ventolin Orchestra, così ha risposto:
L'idea di chiamare il mio progetto harsh noise solista Ventolin Orchestra parte ovviamente da un'idea ironica, un nonsense che parte da quello che l'orchestra è nell'immaginario collettivo o almeno nel mio: un gruppo molto ampio di musicisti con strumenti per lo più acustici, seduti un po' pomposamente in teatri magnifici a suonare grandi composizioni pompose. Il fatto che io sia da solo a fare del rumore volutamente gratuito e senza alcuna velleità arty, nè originalità nel suono (semmai l'originalità sta nella performance che va a produrre quel suono) va da sè a cozzare col concetto di orchestra. Inoltre la parola Ventolin, quindi il nome di un medicinale, messa prima di Orchestra, oltre a suonare bene alle mie orecchie, crea un attrito ancora più forte.
Willem_Breuker_KollektiefSalvatore Pecoraro (aka Orchestra Vuota) ha invece indirizzato la risposta sul `filosofico`:
Innanzi tutto due spiegazioni sul termine trovate su Internet:
karaoke, in giapponese `orchestra vuota`, ovvero basi registrate sulle quali cantare la voce solista, di solito con l'aiuto di didascalie che si sottolineano secondo la metrica della canzone; il termine karate anticamente significava `le mosse dei cinesi` (kara = cinese, te = mosse), e si riferiva alle mosse dei Thang, dinastia al potere in Cina quando il Giappone importò questa arte marziale. Oggi il termine ha preso il significato di `mano vuota`: attualmente infatti kara significa `vuoto` e te significa `mano`. Così si spiega anche il termine karaoke: `orchestra vuota`.
Per spiegare perchè viene in mente di usare un nome `stupido` invece di un altro forse la cosa migliore è di rifare il percorso.
Ho sentito per la prima volta il termine `Orchestra Vuota` per radio, quando un giornalista parlando del Karaoke diceva che il significato era proprio orchestra vuota mi è venuta spontanea un'associazione con `Pasto Nudo` (tutte due i sostantivi sono accoppiati ad aggettivi non direttamente attribuibili) e inoltre era divertente l'utilizzo di un nome ripreso da un'attività con motivazioni socializzanti per un progetto di musica elettronica non proprio acquietante o comunicativa.Sax_di_Kim_C._Pelletier Quindi, in senso stretto, ho chiamato così il progetto per motivi che con il termine Orchestra, in apparenza, avevano poco a che fare (anche se penso che la traduzione effettiva sia `senza orchestra` cioè `senza musicisti` e quindi potrebbe essere un altro livello di lettura per chi come me fa musica con il computer ed in cui il `suonare` non è un'attività così strettamente definita o definibile).

Le due risposte lasciano intuire come non ci sia una motivazione comune dietro all`utilizzo del termine `orchestra`, mentre sembra essere comune l`idea di ciò che il termine sta normalmente a significare: un insieme più o meno grande di musicisti che si esibisce, magari in livrea, nel palco di un lussuoso teatro.

Il secondo passo è stato quello di controllare cosa realmente significa, al di là dell`immaginario comune, il termine Orchestra. Prendendo per valida la definizione del dizionario “Devoto e Oli”, Orchestra è l'insieme di tutti gli strumenti musicali, diversi per qualità e numero, necessari all'esecuzione di una composizione musicale, variamente formato a seconda del periodo in cui è stata scritta la composizione e secondo il carattere della stessa e solo in seconda battuta il complesso dei sonatori dei relativi strumenti che la compongono. Stando a questa definizione generale si può desumere che anche una coppia di strumenti musicali può formare un'orchestra. In teoria, dato che l'insieme degli strumentisti viene definito orchestra come eponimo dell'insieme strumentale, orchestra possono ben essere anche un insieme di strumenti suonati da un solo strumentista o, non tanto per assurdo, da nessun strumentista. Estremizzando ulteriormente si può addirittura sostenere che un solo strumento, chiaramente di tipo non arcaico, può produrre un suono orchestrale, o meglio un`orchestrazione di più suoni (e vedremo più avanti quanto ciò corrisponde al vero).
Nel vocabolario vengono poi suddivise le orchestre nei modi che seguono:
grande o., quella composta da tutte le famiglie degli strumenti (ad arco, a fiato e a percussione); piccola o., quella per l'esecuzione di musica da camera, composta in prevalenza da strumenti ad arco cui si aggiungono alcuni strumenti a fiato: di solito oboe, fagotti e corni; o. jazz., formata da un complesso di piccole dimensioni, variabile dai 6 ai 25 esecutori, diviso in due sezioni: la ritmica, composta di pianoforte, batteria, banjo, contrabbasso, e la melodica, formata da sassofoni (spesso alternati con clarinetti), trombe e tromboni;
e più avanti, in definizione del termine `orchestrina`, si legge: piccola orchestra di musica leggera.
Giovanni_Gabrieli E` piuttosto improprio, quindi, utilizzare il termine `orchestra` per definire univocamente un insieme strumentale di grandi dimensioni.

Come terzo passo ho cercato di ripercorrere la strada che ha portato all`immaginario comune dettato oggi dalla parola `orchestra`, per meglio capire il presente attraverso il passato, seguendo lo sviluppo delle orchestre attraverso varie fasi evolutive e attraverso alcune nozioni basilari. Innanzi tutto è bene aver chiaro che il nome indicava originariamente, nei teatri greci e romani, uno spazio destinato rispettivamente alle danze del coro e ai personaggi importanti. L'orchestra, intesa in senso moderno, nasce dall'esigenza di fare musica nei bei teatri chiusi del rinascimento e prende quindi nome dallo spazio che veniva occupato dai musicisti. Facendo un po` di storia su come è avvenuto il passaggio dai piccoli ai grandi insiemi di musicisti - un passaggio che ha seguito, o forse determinato, un preciso gusto estetico, ma è anche nato dalla necessità di creare un suono potente in grado di essere udito dal pubblico dei grandi teatri - ci imbattiamo innanzi tutto nei veneziani Gabrieli. Risalgono infatti alla Venezia del `500, dove i Gabrieli formarono le prime orchestre di ottoni (a volte addizionati d'archi), i primi abbozzi di orchestra classicamente intesa. I Gabrieli, dividendo l`orchestra in due parti dislocate ai due lati della sala al fine di ottenere un effetto `stereofonico`, sperimentarono addirittura soluzioni premature a proposito della spazialità del suono. Verso la fine del '600 si sviluppano invece le orchestre d'archi presso le scuole bolognese di Arcangelo Corelli (che, a seconda delle esigenze, utilizzava anche organici di un centinaio di persone) e napoletana di Alessandro Scarlatti. Uno dei motivi che ha fatto nascere l'orchestra moderna, e ne ha portano le dimensioni ad ampliarsi, potrebbe essere, come abbiamo già accennato, quello di produrre una voce più o meno potente a seconda della mole di pubblico presente. Un solo musicista, sia a causa del rumore di fondo sia a causa della distanza che lo separava dalle ultime file, aveva chiaramente difficoltà ad essere udito da un grande pubblico.
Claudio_Abbado Non è un caso se la scrittura musicale andrà diversificandosi per ambienti, cioè concerti e sinfonie destinate ai grandi teatri e musica da camera destinata ai piccoli spazi, e non è un caso se l`invenzione dell`elettricità e della possibilità di amplificare i suoni risulterà essere un elemento destabilizzante nell`economia grandi orchestre. L`imponenza orchestrale crescerà quindi di pari passo con quella delle grandi corti, naturalmente in linea con l`affermarsi di un gusto estetico generale sempre più pomposo e con la tendenza dei compositori a sperimentare continuamente nuove soluzioni timbriche. L'orchestra sinfonica moderna, come oggi la intendiamo, si forma dopo il 1750 nella scuola viennese di Mannheim, soprattutto per opera di Johann Stamitz e, dopo di lui, Franz Xavier Richter, e raggiunge la massima espansione con i tardo romantici Fred Mahler e Richard Strauss. Il numero degli orchestrali si aggira a tal punto sulle 50 persone ed è disposto per sezioni: ottoni, legni, ecc., ma in alcune eccezioni può lievitare fino a oltre cento esecutori (l`”Ottava Sinfonia” di Mahler, detta `dei mille` per via del grande organico sinfonico-corale, ne prevedeva centinaia). Questi grandi organici sono naturalmente di tipo stanziale, cioè sono legati ad un teatro o ad una istituzione pubblica o privata, e raramente compiono tournée o si spostano di sede. Parallelamente ad essi si sviluppa il fenomeno delle orchestrine da intrattenimento (da ballo o altro, germogliò anche una musica da tavola o tafelmusik) quasi sempre legate ai grandi virtuosi vocali. Questo tipo di orchestra, a carattere nomade, sembra derivare più dalle orchestrine cerimoniali ebraiche, destinate ad accompagnare riti religiosi, feste e matrimoni, che non dalla tradizione delle orchestre da teatro. Altro fenomeno che deriva dalla tradizione dei kapelye (ensemble itineranti di musicisti klezmer), e da quella delle fanfare militari che si muovevano al seguito degli eserciti, è quello delle bande paesane, orchestrine dal carattere popolare in grande espansione nell'Ottocento.

Anton_WebernHo cercato, infine, di individuare i motivi che hanno determinato il decadimento delle grandi orchestre, ridotte ormai e fatte le debite eccezioni, a tipici soggetti museali. Tale decadimento è databile al Novecento, secolo in cui la grande orchestra classica viene minata da una serie di fattori, che si intrecciano, sia legati al suo ambiente sia estranei ad esso. I grandi compositori del Novecento iniziano a guardare oltre, verso altri mondi musicali, con più insistenza rispetto al passato, e introducono nelle loro partiture elementi che snaturano il carattere delle orchestre sinfoniche. Ionisation di Varese, che prevede un ampio uso di strumenti a percussione, è il classico esempio indovinato, ma non è certo l`unico. In un epoca di riduzionismo, poi, era inevitabile giungere anche ad una riduzione degli organici, pensate un po` al controsenso che ci può essere nel riunire 50 orchestrali per eseguire una sinfonia di Webern della durata di 10 minuti. Gli elementi che minano dall`esterno la supremazia delle grandi orchestre sinfoniche sono comunque ancor più determinanti e vanno sotto i nomi di meccanizzazione ed elettrificazione. La meccanizzazione è un presupposto insito già nella costruzione del primo strumento musicale, e la creazione di strumenti sempre più complessi e idonei ad un`orchestrazione del suono non rappresenta altro che il suo sviluppo verso forme strumentali addirittura destinate a sostituire l`orchestra. L`organo è una di queste forme e non è un caso se veniva usato soprattutto nelle chiese, ambienti nei quali era impensabile l`installazione di un grosso organico strumentale. Che l`organo è uno strumento destinato a sostituire un grande organico di musicisti non è certo una mia invenzione e, all`inizio del Novecento, gli organi da teatro Wurlitzer venivano addirittura propagandati come strumenti dal suono orchestrale. Prima_performance_di_Ionization_a_La_HabanaIl vero avvenimento rivoluzionario, autentico punto di rottura, è però rappresentato dagli `intonarumori` di Luigi Russolo, primo esempio reale di orchestra meccanica controllabile e gestibile anche da un solo uomo, se non da un programma predefinito, destinato ad avere un influenza seminale. L`importanza rivestita da Russolo è confermata sia dalle continue citazioni, che hanno come oggetto la sua musica, da parte dei musicisti contemporanei sia da alcune interessanti iniziative, che hanno avuto luogo in questi ultimi anni, volte a celebrarne l`attività . La più rilevante di queste celebrazioni ha avuto luogo in Giappone nel 2002 ed ha avuto come protagonisti alcuni fra i migliori musicisti del Sol Levante: Atsuhiro Ito, Sachiko M, Tetuzi Akiyama, Toshimaru Nakamura, Otomo Yoshihide e Taku Sugimoto (l`eccezionale evento è stato documentato dalla Off Site nel CD “Intonarumori Orchestra”).Russolo_e_Intonarumori_Orchestra Lo sviluppo dell`era industriale ha portato con se l`elettrificazione e l`informatizzazione, e da quanto già scritto è possibile intuire come questi elementi possano essere decisivi nel superamento del concetto di grande orchestra. Per quanto concerne la programmazione informatica è comunque indispensabile citare quelli che sono gli elementi precursori, da individuare in tutta la tradizione della musica meccanica: carillon, pianole, organetti da barberia, ecc.
La prima metà del Novecento è caratterizzata anche dall`apparizione di un nuovo soggetto, l`orchestra jazz o big band, che a dispetto di alcune caratteristiche comuni con l`orchestra sinfonica, ad esempio la divisione degli strumenti in sezioni, in realtà si dispone ai suoi antipodi: innanzi tutto non è di tipo stanziale ma è girovaga, non si esibisce nei grandi teatri ma nei piccoli club, non è legata ad una struttura territoriale ma ad un band-leader e, elemento indispensabile al suo nomadismo, mantiene infine un organico snello che raramente supera le quindici unità . Inoltre le orchestre jazz si rivolgevano ad un tipo di pubblico più popolare, rispetto a quello delle grandi orchestre sinfoniche, e la ripartizione delle minori entrate sarebbe risultata davvero poca cosa qualora il divisore fosse stato rappresentato da un grande numero di orchestrali. Queste caratteristiche, poi, sono le stesse che contrassegnano anche le varie orchestre contemporanee, e sono ben sintetizzate da un progetto di Otomo Yoshihide - Portable Orchestra ovvero `orchestra portatile` - di cui si trovano tracce nella doppia compilation “Off Site - Composed Music Series in 2001” (A Bruit Secret). Barrel_Organ_di_Mark_LennonE` evidente, senza bisogno di andare ad analizzare i loro embrioni in quel di New Orleans, come queste big band non derivino tanto dalle orchestre sinfoniche quanto dai complessi da ballo, dalle orchestrine klezmer e dalle fanfare.
Ricapitolando: la possibilità per un solo uomo di controllare più fonti sonore, l'elettrificazione, e il conseguente `potere` di raggiungere alti volumi di suono da parte di piccoli ensemble, la creazione dei moderni studi di registrazione, e le potenzialità che questi offrono in termini di sovraincisione e manipolazione sonora, e l'invenzione di nuovi strumenti dalle capacità volumetriche e timbriche inimmaginabili prima sono tutti fattori che mettono in crisi la manodopera umana (come del resto è avvenuto anche in altri settori delle attività socio-produttive). Radio, televisione e grammofono, che hanno tolto spazio alla musica come fenomeno da concerto, hanno fatto il resto.
Non c'è dubbio che è cambiato anche il gusto estetico, ma qui resterebbe difficile stabilire come funziona il rapporto causa-effetto e ci impantaneremmo nell`annosa questione su chi è nato prima fra l`uovo e la gallina.
Certo è che, con il Novecento, anche l'orchestra sinfonica assume una nuova funzione e viene utilizzata dai compositori come elemento di ricerca sulle possibilità timbriche legate ai vari accozzamenti strumentali. Ecco quindi l`inserimento di elementi nuovi, fino ad allora ritenuti estranei al suono orchestrale, praticato da Varese, Antheil, Bartock, ecc.

Organo_WurlitzerLa seconda metà del Novecento inizia quindi con una situazione profondamente mutata e in continuo movimento. Innanzi tutto si accentua la riduzione del numero di strumenti utilizzati nelle scritture orchestrali, cioè la scrittura orchestrale diventa sempre meno sinfonica, e quello che fino ad allora poteva essere considerato come un inserimento di elementi nuovi si trasforma in un mutamento totale, mutamento che avviene sia attraverso l'introduzione di strumenti creati ex novo (acustici, elettrici ed elettronici) sia attraverso il recupero di strumenti appartenenti alle tradizioni non europee. I grandi ensemble di Harry Partch utilizzavano soprattutto strumenti costruiti dallo stesso Partch, ad esempio, mentre "Exotica" di Mauricio Kagel è un brano orchestrale scritto per una strumentazione di origine non europea. A partire da queste primi segni si snodano due percorsi convergenti che, di fatto, portano a molte delle odierne sedicenti strutture orchestrali. Harry_Partch_e_Mauricio_KagelAnalizzare tali percorsi è pressochè impossibile, per quante sono le forme assunte nel tempo dai vari ensemble che hanno tali caratteristiche (cito soltanto la curiosa Glass Orchestra, di stanza a Toronto, che utilizza unicamente strumenti di vetro), fatto sta che, oltre all`aspetto fisico, sono destinati a cambiare profondamente anche i risultati sonori in quanto a forme, timbriche, tonalità , armonie, melodie, scale, ecc..

Profondi cambiamenti sconvolgono pure l'orchestra jazz che, con la perdita delle caratteristiche di macchina da ballo, sta riducendo le fila del proprio pubblico rendendo sempre più difficile il sostentamento di grandi ensemble. Oltre ad un assottigliamento degli ensemble, che di passo in passo arriva fino all`introspezione solitaria, le mutazioni si sviluppano in due direzioni diametralmente opposte: da una parte c`è il caso dell'Arkestra di Sun Ra, che è una specie di comune autogestita, e dall'altra la nascita di strutture virtuali, o non permanenti, da riempire con progetti specifici (tali sono le varie Jazz Composer`s Orchestra, Liberation Music Orchestra, Creative Music Orchestra ecc.). Spesso queste orchestre sono un emanazione di associazioni, che si occupano anche di didattica, promozione e ricerca (AACM, JCOA...), create e gestite dai musicisti stessi, e questo è un elemento di cui tenere conto perchè rivive in forme simili nella pratica di molte realtà odierne.Jazz_Composer's_Orchestra_e_Sun_Ra Sun Ra, che si autoproduce i dischi, li vende ai concerti e crea per se stesso un`immagine avvolta nell`ignoto e nel fantastico, sembra aver avuto un seguito soprattutto in una miriade di piccoli ensemble (tipo quei Caroliner Rainbow che abbiamo ammirato durante il loro recente tour italiano). L`idea del contenitore vuoto, da riempire con specifici progetti discografici e/o concertistici dalla breve durata, si è invece adattata alla perfezione ai numerosi grandi ensemble sperimentali contemporanei, quali The Sheer Frost Orchestra di Marina Rosenfeld, The Lightbox Orchestra di Fred Lonberg-Holm e MIMEO (Music In Movement Electronic Orchestra). In realtà tutte queste orchestre, dal momento che i musicisti che ne fanno parte sono in buona parte gli stessi (un po`come avveniva nelle `orchestre creative` degli anni Sessanta-Settanta), danno l'idea di un unico contenitore globale - che potremmo chiamare `grande orchestra virtuale` - al cui interno cambiano alcune pedine, e il metodo organizzativo, a seconda della specifica progettazione. Oppure danno l`idea di aggregazioni precarie, sempre su scala planetaria, dei più validi musicisti attivi in quello specifico ambito, aggregazioni che si compattano pur esse in base al tipo di progettualità (vedi la Sensurround Orchestra che ha raccolto la crema dei musicisti noise).Molte di queste orchestre sono abbozzi che vivono lo spazio di un disco, di un concerto, di un giorno, di un pensiero... la precarietà sembra essere un elemento comune alle orchestre, o sedicenti tali, di questi tempi così moderni.
Anche nel jazz l'orchestra diventa uno dei tanti strumenti che l'autore utilizza per sperimentare soluzioni timbriche ed estetiche diverse dal piccolo combo o dall`esibizione solitaria, e anche in questo caso la strumentazione subisce delle mutazioni con l'introduzione di elementi alieni alla tradizionale orchestra jazz. Quindi l'orchestra di tradizione jazzistica e quella di tradizione classico contemporanea sono protagoniste di una specie di convergenza, almeno per ciò che riguarda `intenti e propositi` (*).
Restando nell`ambito della tradizione afro-americana va obbligatoriamente citato Lawrence D. `Butch` Morris che, a partire dagli anni Ottanta, ha scritto una pagina piuttosto originale a proposito di conduzione orchestrale. Semplificando, si può spiegare il suo metodo nel seguente modo: Morris utilizza l`orchestra come se si trattasse di un singolo strumento e, improvvisando con essa, attiva i singoli musicisti, che dello strumento rappresentano i vari registri, attraverso un vocabolario gestuale prestabilito. Tracce del suo metodo, seppure non abbia fatto molti proseliti, sono rinvenibili sparse un po` dovunque. Nella Lightbox Orchestra di Fred Lonberg-Holm, per esempio, il conduttore manovra i musicisti attraverso l`accensione pseudo-casuale di luci colorate che sostituiscono, e forse anche semplificano, inequivocabilmente il lessico dei gesti.Lawrence_D._Butch_Morris Un discorso a parte meriterebbero le orchestre jazz europee che, strutturalmente, stanno un po' a metà fra le classiche formazioni jazz, gli ensemble virtuali moderni e le vecchie orchestre di tipo sinfonico. Sono legate ad un band leader, hanno una propria territorialità e acquistano connotati diversi a seconda del progetto specifico che viene affrontato. London Jazz Composer`s Orchestra (Barry Guy), ICP-Orchestra (Misha Mengelberg), Brotherhood of Breath (Chris McGregor), Kollektief (Willem Breuker), Globe Unity (Alex Von Schlippenbach), Mike Westbrook Orchestra... le orchestre europee non si distinguono tanto per una formula o per una musica rivoluzionarie quanto per l`impostazione innovativa di molti dei musicisti che ne fanno parte (Günter Christmann, Peter Kowald, Paul Lovens, Paul Lytton, Radu Malfatti, Albert Mangelsdorff, Evan Parker, Paul Rutherford...). Musicalmente un ruolo particolare lo rivestono gli olandesi che, al di là dell`azione iconoclasta, sono fra i primi ad operare un certo tipo di destrutturazione del suono orchestrale, in una girandola di influenze che raccolgono un po' tutta la tradizione delle orchestrine da ballo, di strada e circensi tipiche della tradizione popolare europea. Singolare è anche la colossale macchina messa in piedi da Keith Tippet (detta Centipede) che, al di là di una certa pretenziosità , ha il pregio di raccogliere al suo interno musicisti provenienti da ambiti diversi (rock, jazz, musica contemporanea...) e di miscelare in modo quasi equanime archi, fiati, voci e strumenti ritmici.

Alla fine degli anni Ottanta la realtà di un termine che va mutando significato rispetto all`immaginario comune è un dato acquisito, e orchestra può essere indifferentemente utilizzato allo stesso modo in cui viene utilizzato ensemble, o altri vocaboli simili, per definire un organico che supera la decina di unità . Le seguenti realtà , ad esempio, si muovono nello stesso ambito estetico, hanno più o meno un numero simile di componenti, ma si qualificano in modo differente: King Ãœbü Örchestrü, 9 elementi in "Trigger Zone" (FMP) e 10 elementi in "Binaurality" (FMP) con una strumentazione che comprende due ance, tre ottoni, un violino, un contrabbasso, una chitarra e un set di percussioni nel primo disco; tre ance, tre ottoni, un violino, un contrabbasso, un set di percussioni e un computer nel secondo disco (alcuni dei musicisti fanno uso di strumentazioni elettroniche in entrambi i titoli).
Chris Burn's Ensemble, 11 elementi in "Navigations" (Acta) con una strumentazione che comprende pianoforte, un`ancia, un flauto, un`arpa, un ottone, un synth, due violoncelli, una chitarra e due violini.
Scott Rosemberg, 25-27 elementi in "IE (for large ensemble)" (Barely Auditable), con 5 violini, 1 viola, 3 contrabbassi, 2 chitarre, 6 ance, 2 ottoni, 1 fisarmonica, 2 voci, 1 marimba e due set di percussioni (più, occasionalmente, 1 violoncello e una 7ª ancia).
Sicuramente i musicisti avranno avuto una motivazione che li ha spinti ad usare ora il termine orchestra ed ora il termine ensemble, ma state certi che si tratta di motivazioni personali che non si accomunano certo in un protocollo comune, secondo cui orchestra è questa cosa ben specifica, ensemble quest'altra cosa ben specifica, ecc. E pensare che Steve Reich, già dagli anni Settanta, aveva risolto pragmaticamente il dilemma in “Music for 18 Musicians”: nè ensemble nè orchestra nè altro che sia, ma solo 18 musicisti. Come potete ben capire in una situazione come quella odierna tutto può essere tutto. Ma torneremo, in seguito, sulla questione descrivendo alcune fra le orchestre più (a)tipiche del presente. Per il momento è utile analizzare un altro aspetto.

Quando ci occupiamo di orchestre che servono agli autori per 'sperimentare' soluzioni diverse è implicito che stiamo parlando di musica 'sperimentale'. Ma cosa sta avvenendo nel frattempo nella musica a larga diffusione, quella che ha una tradizione nelle orchestre da ballo e nello stesso jazz? Al di la dei casi più pietosi, esecuzione ad ibidem di un repertorio consolidato (cosa che avviene anche per la maggior parte delle orchestre sinfoniche e per le bande paesane), il ruolo dell'orchestra è andato limitandosi fino a quello di soggetto da studio di registrazione formato da oscuri sessiomen, quando non da semplici riproduzioni elettroniche, e questo è avvenuto nel cinema come nella televisione, nella radio come nella preparazione dei dischi di voci cosiddette classiche (e da classifica). La ricerca si è limitata ad un numero infinitamente piccolo di geni dell'orchestrazione come Donald Fagen, Terry Callier, Burt Bacharach, Ennio Morricone e pochi altri.
In verità ci sono stati anche vari tentativi di avvicinare il pubblico più giovane, nato e cresciuto sotto il segno del `fish & bull`, al gusto sinfonico, ma si tratta di tentativi abortiti sul nascere, in quanto il risultato si è semplicemente risolto in uno scontro fra le parti in causa senza neppure un tentativo di conciliazione, vedi il caso del concerto dato dai Deep Purple con la Royal Philharmonic Orchestra o i due brani di "Harvest" (There`s A World e A Man Needs A Maid) in cui Neil Young misura la sua fragile voce con la London Symphony Orchestra. Nel primo caso la scrittura di Jon Lord suona pretenziosa e stantia mentre il tentativo del cantautore canadese scade addirittura nel patetico.

Più interessanti sono stati i tentativi di ricreare un suono sinfonico tramite mezzi moderni, quali l`utilizzo di strumentazioni particolari, oppure tramite l`elettrificazione degli strumenti e, in seguito, la programmazione elettronica. I Moody Blues, seppure sempre ostracizzati dalla critica, alla fine degli anni Sessanta realizzarono alcuni ottimi esempi di pop sinfonico utilizzando il mellotron, una tastiera attraverso i cui tasti si innesca la riproduzione di segmenti di nastro magnetico su cui sono stati precedentemente registrati i suoni di archi, cori, flauti... (ma anche attraverso un grande lavoro in studio di registrazione). La Electric Light Orchestra formata da Roy Wood e Jeff Lynne, entrambi ex Move, produsse un primo disco abbastanza intrigante dove le soluzioni sinfoniche erano ottenute attraverso l`utilizzo di strumenti tipici della tradizione orchestrale (oboe, fagotto, violino, violoncello, flauto, clarinetto, ecc.) sapientemente elettrificati; purtroppo fin dal secondo disco il gruppo, abbandonato nelle mani del solo Lynne da un dimissionario Wood, si rifugiò in soluzioni piuttosto kitsch e banali. I giapponesi della Yellow Magic Orchestra, infine, ottennero un grande successo alla fine degli anni Settanta con un techno-pop eseguito attraverso una strumentazione essenzialmente elettronica da soli tre musicisti (uno dei quali era Ryuichi Sakamoto). Voluttuosa è l`idea di magia che emana dagli ultimi, idea recentemente riproposta nella Magical Mystery Orchestra dei Tu m` (un disco su Aesova) e nella Magical Orchestra di Susanna Karolina Wallumrød (un disco su Rune Grammofon), forse plasmata per indicare un suono senza limiti creato da un così piccolo numero di strumentisti. Duke_EllingtonIn quel `magic` c'è infatti compresa tutta la nuova essenza del suono orchestrale, forgiato come per magia da poche mani attraverso una tecnologia che ha fatto passi da gigante e che, ancor oggi, rimane quasi un mistero per la maggior parte di noi. Nell`essenza di questi tre gruppi c`è già tutto lo sviluppo del suono elettronico-orchestrale più popolare, dalla Orchestral Manoeuvres in the Dark alla Cinematic Orchestra, che magari acquisterà una sua particolarità contaminandosi con i trend del momento o con il gusto estetico di grandi arrangiatori del passato (quali Les Baxter, Burt Bacharach, Juan Garcia Esquivel, Ennio Morricone, Duke Ellington, ecc).
Inevitabile è la considerazione sul mood estetico, tipicamente beatlesiano, che traspare dal suono di tutti e tre i gruppi in questione, e questo può essere motivo di un`ulteriore riflessione su quanto sia stato influente il lavoro fatto dal quartetto di Liverpool in dischi come “Revolver” e “Sgt. Pepper`s Lonely Hearts Club Band”, laddove lo studio di registrazione veniva utilizzato per ricreare un suono indubbiamente debordante e orchestrale.

Ancor più interessante è il caso di quei musicisti che non hanno cercato di adeguare la propria musica ad un`interpretazione orchestrale ma, viceversa, hanno adattato gli arrangiamenti orchestrali alla propria musica. Fra i tanti è d`uopo citare il precursore Van Dyke Parks, molto influente su quanti hanno in seguito abbozzato arrangiamenti orchestrali a metà strada fra sperimentazione e musica pop (Jim O`Rourke in primis), il cui album d`esordio “Song Cycle” (1968) è da considerare fra i classici del genere.
Altrettanto influente, sia sui musicisti del suo stesso ambiente sia sui molti che lo hanno successivamente preso a modello, è stato Glenn Branca. Seppure non abbia mai definito i suoi gruppi come orchestre, il fatto di intitolare `sinfonie` le proprie composizioni lascia presupporre che li intendesse comunque come tali. La sua concezione più originale sta nell`aver lavorato su blocchi sonori creati essenzialmente attraverso un unico tipo di strumento, la chitarra elettrica, utilizzato in diverse accordature. Il contributo di Branca alla definizione di un suono sperimentale originato dal rock, sinonimo di `chitarra elettrica`, è ancor oggi tutto da stabilire.
Più giovane d`età è la Ex Orkest, messa in piedi a fine millennio dal gruppo olandese degli Ex. In questo caso l`orchestra consiste nell`aver allargato la formazione base ad una serie di strumentisti che, comunque, avevano già collaborato con essa e, in ogni caso, nè conoscevano e condividevano il modello sonoro. Quindi la Ex Orkest è un soggetto che non nasce sulla carta bensì sulla pratica di anni di lavoro, e i risultati sono eccellenti (può sicuramente rappresentare un ottimo modello per la futura rifondazione di grandi ensemble orchestrali).

Curioso, negli anni `70-`80, è anche il successo ottenuto dalla Penguin Cafe Orchestra, un ensemble un po' démodè che riproponeva una versione pseudo-modernizzata e semiseria dell'orchestra da camera (o meglio da café).
Le orchestre più interessanti sono però quelle che, negli ultimi cinque o sei lustri del vecchio millennio, si sono dedicate alla destrutturazione sia dell'orchestra, intesa come istituzione, sia della musica orchestrale, intesa come modello estetico.
La Portsmouth Sinfonia e la Scratch Orchestra utilizzavano, ad esempio, musicisti non professionisti e/o non musicisti.
La Portsmouth Sinfonia, animata dal violinista Robin Mortimore, aveva però fra le fila anche nomi di lusso come Gavin Bryars, Brian Eno e Steve Beresford, e il suo repertorio consisteva in esilaranti riletture di brani della tradizione classica, o rock, con errori, stonature e mutazioni create ad hoc. Fra le perle del suo repertorio ci sono `lo schiaccianoci` di Tchaikowsky, Hallelujah di Handel, `il Gugliemo Tell` di Rossini, `il Danubio blu` di Johann Strauss, Also Sprach Zarathustra di Richard Strauss, You Really Got Me dei Kinks, Pimball Wizard degli Who, Apache degli Shadows, Satisfaction degli Stones... Gli unici tre dischi incisi - “Plays Popular Classics” (Transatlantic), “Hallelujah” (Transatlantic) e “20 Classic Rock Classics” (Philips) - sono da tempo immemorabile fuori catalogo. Speriamo che il buon Mortimore decida per una ristampa.
Più seriosa era la Scratch Orchestra di Cornelius Cardew, un disco su Deutsche Grammophon ristampato in CD dalla Organ of Corti (“The Great Learning”), che ospitava vari esponenti della sperimentazione inglese, qualcuno lo ritroviamo anche nella Portsmouth Sinfonia, più alcuni strumentisti e cantanti non professionisti. Cardew intendeva, attraverso l`orchestra, dare una sistemazione più complessa e definitiva alle concezioni già testate con gli AMM: libera improvvisazione, utilizzo anomalo degli strumenti classici, impiego di oggetti come pietre ecc. La concezione musicale di Cardew era però totalmente impregnata della sua fede maoista e, di conseguenza, qualche anno dopo il posto della Scratch Orchestra verrà occupato da una People` Liberation Music destinata a rileggere i classici della tradizione operaia.
Ad un periodo successivo, fine anni `70 - primi anni `80, risale la formazione della Love of Life Orchestra di Peter Gordon e della straordinaria Big City Orchestra. La Love of Life rappresentava insieme agli ensemble di Glenn Branca, ma con meno verve innovativa, l`espressione orchestrale della no wave newyorchese.
La Big City Orchestra è invece un ensemble che spazia dal folk al noise con un`attitudine patafisica che fa pensare al primo Robert Wyatt, ai Pere Ubu, al Tom Waits di “Swordfishtrombones” e ai Residents (non è un caso se il sito dell`orchestra si chiama `Ubuibi` e se di essa ha fatto parte l`ex Sof Machine, e Gong, Daevid Allen). In oltre trent`anni di attività sono stati pubblicati pochissimi dischi e l`unico reperibile con una certa facilità è lo stratosferico “Greatest Hits And Test Tones” (Pogus). Il resto della produzione è disperso in cassette ed mp3 (chi cerca sicuramente trova qualcosa). La Big City, in quanto ad attitudine e metodi, raccoglie le istanze più innovative delle orchestre che l`hanno preceduta ed è la più accreditata precorritrice delle orchestre contemporanee.
L`idea di un`orchestra meccanica, interamente programmata, ha avuto concreto sviluppo in molte delle numerose installazioni. Uno dei più originali artigiani del settore è lo svedese Jan Cardell, creatore di orchestre fatte di piccole sculture, o pupazzi sonanti, che possono essere dirette tramite programmazione: il calcolatore elettronico al servizio dell`azione meccanica in un processo contrapposto a quello dei vari Fennesz e Stephan Mathieu (a proposito, i loro ultimi dischi sono un bell`esempio, pessimo come risultato, di sound orchestrale).

Jan_CardellPrima di passare alla presentazione delle più interessanti, e particolari, orchestre contemporanee vorrei fare il punto su un mondo in continua evoluzione e movimento, al cui interno già si intravedono interessanti realtà , che non hanno ancora una discografia, quali possono essere l'Orchestre D'Fou, misterioso ensemble formato dall`altrettanto misterioso Dr. George O`Mara, o una all stars detta Feedback Philarmonia che comprende Alvin Lucier, Billy Roisz, Sarah Washington, Otomo Yoshihide, Xentos 'Fray' Bentos e Toshimaru Nakamura. Dal giappone giunge anche voce di una laptop orchestra con Yukimoto Hamasaki, Christophe Charles, Kazuya Yokoi, Daito Manabe, Ludovic Xasdera, Philippe Chatelain, Kumiko Okamura (beatbox) e Cal Lyall, oltre che, la più incredibile di tutte, di una Homeogryllus Japonicus Orchestra (orchestra di grilli!?!) diretta alternativamente da Keiji Haino e Mamoru Fujieda.

Ma veniamo infine, e finalmente, a quelle che sono le più interessanti 'orchestre' contemporanee che, come potrete capire e come si intuisce dall`evoluzione fin qui narrata, non hanno nulla in comune l`una con l`altra se non il fatto di definirsi `orchestre`. E` ormai chiaro come la definizione di `orchestra` venga utilizzata con le motivazioni più estemporanee, ma è il caso di soffermarsi un attimo a riflettere se il reale significato del termine `orchestra` è più prossimo a questo ampio ventaglio di interpretazioni o all`ingessata idea di `grande insieme di musicisti che si esibisce in livrea nel palco di un lussuoso teatro` con cui viene comunemente intesa. L`opinione del sottoscritto credo che l`abbiate già intuita. Via libera alla creatività !

Animist Orchestra: si tratta dell`orchestra di Jeph Jerman e, come il suo leader, è impregnata di filosofia zen. Tale aspetto si riflette nella musica attraverso l`utilizzo di materiali esclusivamente organici: conchiglie, penne, legni, noci, pigne ecc. Questo insieme di `oggettistica` viene sfruttato per sessions di improvvisazione totalmente acustica e assolutamente digiuna di manipolazioni elettroniche (pre, in o post). Tanta `purezza` va a definire un universo meditativo fatto di piccoli (micro)suoni prossimi al “Buddha With The Sun Face / Buddha With The Moon Face” di Bernhard Günter (non a caso quel brano si basava proprio sulla rielaborazione di materiale fornito da Jerman) e penetrato da un`intima coralità francescana: `beate le sorelle pietre che ci hanno insegnato il silenzio`. Un unico disco, “Wuwei” (Anomalous 2002), con una line up di sei elementi (Dave Knott, Jeffery Taylor, Marina Granger, Mike Shannon e Robert Millis, oltre allo stesso Jerman), ai quali vanno però aggiunti, in qualità di componenti effettivi, i nomi di Eleanor Gallagher, Susie Kozawa e Rachael Jackson. Emblematico sin dal titolo, wuwei è un termine cinese che significa inazione, il disco è una delle cose più belle ascoltate nell`ultimo lustro. I componenti dell`Animist Orchestra possono esibirsi anche in formazioni più ristrette, com`è il caso dell`”Animist Quartets” di cui è uscito un CD-R su Alluvial Recordings.

Drahomira Song Orchestra: è una diretta emanazione dell`Institut Drahomira, un`associazione francese che si occupa di varie espressioni artistiche. Le atmosfere musicali variano d`intensità e possono essere contraddistinte dal suono di strumenti ad arco o di un pianoforte, da intrecci di voci o da volute di effetti elettronici. Quello della Drahomira Song Orchestra è un mondo sonoro che si spinge ai limiti del cinematografico, dello spaziale o della musica classica-contemporanea (Olivier Messiaen rappresenta una loro fonte d`ispirazione). E` un ibrido dotato di una vena profondamente oscura e, a volte, ossessiva che lo avvicina ai lavori di Christoph Heemann e David Jackman. Chiaramente è individuabile anche la tradizione concreta francese, seppur con una componente più claustrofobia, dei vari Luc Ferrari. I componenti dell`orchestra cambiano di volta in volta e, tranne i due protagonisti principali che sono Julien Pacaud & Jean-Christophe Sanchez, non è dato conoscerne le generalità , unica cosa certa è la partecipazione di Tamara Goukassova, violinista delle Konki Duet, a qualche realizzazione. Una decina di CD-R, il CD “La Chambre De Styrene” (Vacuum Recordings 2002) e il vinile “The Couch” (Flesh Eating Ants Records 2003), nel quale Pacaud e Sanchez si dividono un lato a testa, rappresentano al momento la discografia di questo misterioso ensemble. L`uscita di un nuovo CD, “The Return Of The 120 Magicians” (Waystyx Records), è prevista a breve termine.

The Loop Orchestra: gli artefici di questo ensemble sono gli australiani John Blades e Richard Fielding, due manipolatori di nastri che si sono raffinati in uno studio radiofonico di Sidney. L`idea di manipolare nastri preregistrati con tecniche di cut up, fino alla creazione di loop affatto diversi dalla materia prima, non è certo nuova, ma i due riescono ad interpretarla in modo personale giungendo alla creazione di paesaggi sonori affascinanti e avvolgenti. La musica della Loop Orchestra è una miscellanea sospesa fra soundtrack cinematografica e psycho-ambient dove gli schemi sperimentali non sono mai fini a se stessi, ma ben orientati al raggiungimento di soluzioni finali accuratamente prestabilite. Accanto ai due leader hanno sfilato vari musicisti, fino al raggiungimento della line up attuale che è completata da Emmanuel Gasparinatos, Patrick Gibson e Hamish MacKenzie (alcuni di loro hanno militato in formazioni mitiche del post punk australiano: Severed Heads, Scattered Order, The Systematics...). L`orchestra, in oltre un ventennio d`attività , ha pubblicato pochissime cose, fra di esse il bellissimo “Not Overtly Orchestral” (Quecksilber) del 2004. La discografia è completata dai meno facilmente reperibili “Suspense” (LP 1990) e “The Analogue Years” (CD 1999), entrambi pubblicati nell`etichetta Endless Recordings creata dagli stessi Blades e Fielding.

Toychestra: è un`orchestrina totalmente al femminile di nazionalità mista statunitense e ceca. Il numero delle componenti è, solitamente, di sei, ma nei tre dischi registrati ci sono state delle piccole variazioni di presenza. La particolarità delle ragazze sta nell`usare strumenti giocattolo, con uno physique du rôle tale che le porta addirittura ad esibirsi in pigiama. Questi aspetti, nazionalità mista, ensemble al femminile e strumenti giocattolo, presi singolarmente non rappresentano certo una novità , ma sommati sicuramente lo sono. Le musiche, a volte canzoni, possono essere descritte come folk e/o pop(ular), piccole filastrocche infantili che non perdono la loro gracilità neppure quando vengono utilizzati canovacci del repertorio orchestrale classico (la “New World Symphony” di Dvořak). I dischi incisi, per quanto è dato saperne, sono tre: il primo autoprodotto e i successivi usciti per la francese S.K.. “Big Toys” (2004), ultima realizzazione, è un concerto per chitarra elettrica (Fred Frith) e toy orchestra scritto dal sassofonista-compositore Dan Plonsey, il quale era rimasto colpito sia dai concerti in solo di Fred Frith sia da quelli della Toy Orchestra, tanto da decidersi a scrivere una partitura che li coinvolgesse entrambi. Gli altri due CD sono “An Evening Of Charm” (2000) e “Sassy Pony” (2002). I nomi delle ragazze sono Paula Alexander, Carrie Lin, Petra Podlahová, Shari Robertson, Lexa Walsh, Corey Weinstein, Angela Coon (che dal secondo disco sostituisce la Lin) e Michelle Adams (ultimo acquisto in vece della Alexander).

Vegetable Orchestra: fin dalle copertine, in lussureggiante veste ortofrutticola, i dischi di questa ganga austriaca irradiano un senso di non illusoria freschezza, e l`ascolto conferma questa prima impressione. Le fonti sonore dell`orchestra sono infatti di tipo esclusivamente vegetale, seppure la materia prima venga abilmente manipolata elettronicamente durante il percorso che la fa giungere ai nostri timpani. Il primo disco, “Gemise” (iftaf 1999), è più `serioso` e sviluppa temi estetici quali ambientale, sinfonico, improvvisativo, freecorejazz, classico, ecc. “Automate” (Transacoustic Reserch 2003) è un disco più `organico` e più `pop elettronico`, con rifacimenti dal repertorio dei Radian e dei Kraftwerk (Sinus440 e Radioaktivität rispettivamente). L`orchestra è un emanazione del viennese Institute For Transacoustic Research e i componenti, che presentano qualche variazione da disco a disco, sono Matthias Meinharter, Jörg Piringer, Ernst Reitermaier, Nikolaus Gansterer, Richard Repey e Marie Steinauer, in entrambi i CD, più Barbara Kaiser e Sabine Höllwerth (in “Gemise”) e Bob Kaiser, Stefan Kühn e Tamara Wilhelm (in “Automate”). Inutile aggiungere che si tratta di una delle proposte più singolari e stimolanti ascoltate negli ultimi anni.

Vibracathedral Orchestra: è ormai una piccola istituzione, ne hanno parlato cani e porci, ma non per questo merita di essere esclusa da questa carrellata. La formula di base dell`orchestra è un quintetto, Adam Davenport, Bridget Hayden, Julian Bradley, Michael Flower e Neil Campbell, ma nei concerti l`organico viene spesso aumentato da musicisti ospiti e/o da amici. La figura chiave di questa piccola congerie è Neil Campbell che in passato, prima di formare la Vibracathedral, si era fatto le ossa in altri progetti collettivi (con Richard Youngs e Simon Wickham-Smith). La musica miscela formule mantriche, cerimonie sciamaniche e freakerie varie. I riferimenti principali sembrano essere nel Theatre of Eternal Music di La Monte Young e in tutta l`esperienza successiva di Angus MacLise. Da un punto di vista attitudinale - grande attività concertistica, tendenza all`autoproduzione e inclinazione ad una sorta di misticismo comunitario - i cinque sembrano riprodurre in piccolo l`esperienza delle orchestre di Sun Ra. La produzione discografica è dispersa in una miriade di registrazioni fissate su ogni tipo di supporto: CD, CD-R, LP e split di ogni specie. Per i neofiti consiglio senza alcun dubbio il trittico “Lino Hi” (Giardia 2000), “Versatile Arab Chord Chart” (vhf 2000) e “Dabbling With Gravity And Who You Are” (vhf 2002). Tutti gli altri avranno già le idee chiare a proposito di cosa acquistare.


(*) “Intents And Purposes” è il titolo del disco pubblicato su RCA dalla Bill Dixon Orchestra, uno degli ensemble seminali del nuovo jazz esploso negli anni Sessanta e conosciuto come `free jazz` o `new thing`.



ANGOLI MUSICALI 2016  
  Torna al Menù Principale
 Archivio dell'anno 2007 ...

Bowindo  

orchestre  

Steve Roden (intervista)  

18 Luglio  

Afe Records (con intervista ad Andrea Marutti)  

toshiya tsunoda  

Luigi Berardi  

robert wyatt  

Live!iXem.05  

ART.CappuccinoNet.com  

Daniel Patrick Quinn (intervista)  

intervista (ex) tavola rotonda sull'elettroelettroacustica  

sawako  

bernhard gál (aka Gal)  

allun / ?alos  

mattia coletti  

BääFest 3  

¾ HadBeenEliminated  

Stefano Giust (intervista)  

scatole sonore 2006-2007  

Populous (intervista)  

Chiara Locardi (intervista)  

Nora Keyes (intervista)  

Å (intervista ad Andrea Faccioli)  

la Fabbrica e la sua voce