“L`orificeria” di Davide Viviani segue di ben sei anni il suo disco di debutto “Un giorno il mio ombrello sarà il tuo”. Solo mezz`ora di durata per otto canzoni in sei anni non fanno certo gridare allo scandalo dell`iperproduzione, malattia che affligge buona parte della scena musicale indipendente (italiana e non). Ad aiutarlo ci sono Alessandro Asso Stefana, anche in veste di produttore artistico, e Marco Parente (che possiamo finalmente riascoltare alla batteria e percussioni, strumenti dietro ai quali aveva iniziato giovanissimo nei seminali Fondo 13). Due presenze di lusso e significative, queste, che finiscono per portare acqua azzurra e chiara a canzoni che già di base brillano per la loro limpidezza. Perchè quello di Viviani è un mondo drakeiano, che però va a collidere con le pagine più pure del nuovo folk made in USA. Una strumentazione scarna e qualche effetto, che mai si accumulano in situazioni sovraffollate, e una voce che narra in confidenza situazioni e stati d`animo sempre in grado di catturare emozioni, questo è e, seppure la somiglianza con Lolli e De Gregori possa a tratti apparire ingombrante, Viviani si staglia come un gigante sopra la moltitudine che affolla l`attuale scena cantautorale italiana. Per quanto riguarda De Gregori, in particolare, gli orfani di quello scarno ed ermetico cantautore che pubblicò l`album della pecora potrebbero trovare in “L`oreficeria” un buon palliativo alle delusioni prodotte successivamente dal menestrello romano. Basta però che venga abbandonata la lingua madre per intonare testi in dialetto bresciano o in lingua inglese, in Salomon David e Leashed, che le suggestioni si spostano dalle parti della musica tropicalista brasiliana o dei nuovi outlaw del country. Fra i non pochi pregi di Viviani, in conclusione, c`è anche quello dell'artista in movimento. A questo punto la domanda logica è: verso dove? Verso un futuro radioso, vogliamo augurarglielo!
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