Andrea Dicò e Francesco Carbone ci raggiungono con il secondo capitolo del loro sodalizio artistico.
Guardando la confezione si intuisce che mentre nel precedente lavoro la sigla DC sembrava essere unicamente il titolo di quel disco oggi va intesa come ragione sociale del progetto a due.
Guardando il volantino che i due hanno allegato al disco tale impressione trova piena conferma. DC come Dicò e Carbone, e non vi sfuggirà che la sorte gioca un bello scherzo riportando alla luce la sigla di un vecchio partito politico. Scherzo per scherzo i due, sempre nel volantino, riesumano pure il simbolo dello scudo crociato, solo che la croce è rovesciata e la barra orizzontale viene a trovarsi in basso, assumendo così una raffigurazione da martello di thor.
Ascoltando il disco l`impressione è quella di un unico lungo brano che scorre senza soluzioni di continuità .
Leggendo le note diffuse dal duo l`impressione è confermata, dacchè si asserisce di una lunga improvvisazione divisa in otto parti, con titoli tratti dall`I Ching, unicamente per facilitarne l`ascolto.
Osservando bene nel nero sostanziale del disco precedente si è materializzata una figura umana che sembra impegnata nell`atto di invitare, in modo piuttosto deciso, l`ascoltatore ad alzare i volumi.
Ascoltando il ricorso ad alti volumi è piuttosto naturale, poichè “Take The Long Way Home” sembra essere stato realizzato con lo scopo esatto di frastornare. Si tratta di una musica più dilatata e più densa, rispetto a quella del disco precedente, con un taglio nettamente più sinfonico e progressive. Vengono in mente alcune cose dei Pink Floyd, o di musicisti che a loro si sono inspirati, in quello che si disegna come un autentico monolite roccioso. Un monolite, certo, ma come per l'Uluṟu australiano esistono crepe, dossi e avvallamenti, echi e variazioni di colore. Armatevi di piccozza, orecchie intrepide e cuore saldo, e apprestatevi alla scalata. Una musica e un duo in costante evoluzione.
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