Aldo Tanzi si presenta come Odla Iznat e con questa scelta non so se vuole suggerire che anche noi, prima di calarci nel suo disco, dobbiamo compiere un viaggio a ritroso, verso quel mondo cantautorale pre-settantasettino, quando i vari Ligabue, Battiato, Vasco, Nannini e Cherubini vari non avevano ancora contaminato e spinto la scrittura d`autore nelle direzioni e nei modi che tutti dovreste conoscere. Odla canta in modo confidenziale con voce profonda, ma non nel modo dei crooner americani, e nel suo bagaglio non sembrano esserci il blues, il jazz e il country, ma piuttosto la tradizione dei trovatori e dei cantastorie. Colpisce in particolare la sua dizione limpida e nitida, e d`altronde in queste canzoni la parola sembra avere più peso della musica, tanto che l`idea trasmessa è quella di poesie mutate in canzoni. Il disco è strutturato come un concept e inizia come un racconto, quello del piccolo Hassan che fugge dagli orrori della guerra, ma dopo le prime canzoni svicola da un concetto di storia narrata per entrare nell`ambito dei desideri, dei sogni, delle visioni e dell`immaginazione. Non vorrei che quanto scritto fin qui facesse però pensare a un disco rétro, perchè in realtà il sapore antico di strumenti come le chitarre classiche, il marranzano, l`ukulele, il mandolino e il violino si mescola con quello ben più moderno dei synth. Così, allo stesso tempo, la filastrocca I pescatori di Lete si contrappone ai flash elettrici e psycodelici di Pane e catene, di Vorrei poter parlare con le città , di Terra che senti e di Casa. Classicismo e contemporaneità in un`unica soluzione. Non solo per chi ha amato il grande libro dei cantautori. E Snowdonia, a oltre vent`anni dalla propria nascita, continua a rappresentare una garanzia: quella di tutte cose buone, sincere e non artefatte.
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