Il covid colpisce ancora e mette quel marpione di Bo Van De Graaf nella condizione di dover rinunciare ai suoi large ensemble.
Bo, chiaramente, non s’è arreso e ha approntato questa piccola formazione che, viste le condizioni di emergenza di cui sopra, ha registrato questo disco davanti a un pubblico ultra-limitato.
Fortunatamente tali condizioni non hanno influito sui musicisti che hanno affrontato la prova con una concentrazione e un impegno degni delle grandi occasioni (quelle con presenza di un pubblico ben più numeroso).
Se siete abituati a un Bo dedito a omaggiare la grande musica per il cinema sgombrate la mente, seppure l’idea della dedica sembri ormai così ben radicata nei pensieri del prode sassofonista olandese da sembrare indelebile.
Quando infatti “Jin-Brebl-Concert” mi è piovuto tra le mani sono rimasto flashato e ho pensato che si trattasse di una ristampa del “Paris-Concert” dei Circle, mitologica formazione comprendente Barry Altschul, David Holland, Chick Corea e Anthony Braxton. Stessa grafica, stessi colori e un nome molto simile (Cycle e Circle si somigliano come due gocce d’acqua), tanto da far balenare l'idea del plagio. Ci pensa lo stesso Bo a togliere il vin dai fiaschi precisando che ha così inteso omaggiare un disco fondamentale nei suoi ascolti giovanili.
Qui serve un inciso per precisare che l’esperienza dei Circle non è mai stata valutata per il suo reale valore, che è immenso, si trattava infatti di un gruppo nel quale, caso più unico che raro, confluivano musicisti provenienti da esperienze piuttosto difformi andando così a rappresentarne una summa totalizzante: la new thing (Altschul), la fusion (Corea), il nascente jazz chicagoano (Braxton) e il jazz europeo (Holland).
Quello dei Cycle è un omaggio, sia chiaro, e non una copia carbone (oltre alle similitudini d’immagine andrebbe in tale direzione la ripresa della Nefertiti di Wayne Shorter presente in entrambi i dischi). Ma, al di là di una formazione a cinque con bandoneon che si differenzia dal quartetto braxtoniano, è proprio l’ascolto a confronto delle due Nefertiti a calibrare le differenze. La versione dei Circle è più nervosa, più swingante e più strutturata per a solo laddove i Cycle sono più evocativi e più rigorosamente devoti al gioco di squadra. Che volete! I primi sono una compagine mista con un pizzico di sangue italiano (Corea) e i secondi sono tipicamente olandesi.
Chiaramente l’accoppiata Braxton – Corea è inarrivabile e quella formata da Altschul e Holland è una delle sezioni ritmiche più affiatate dell’intera storia del jazz.
Resta da dire che, tolta Nefertiti, Dion Nijland si prende la maggior parte dello spazio compositivo, con due titoli, a pari merito con due improvvisazioni collettive. Bo, che forse sto scorrettamente considerando leader del quintetto (ma sicuramente è più noto degli altri), firma il brano d’apertura, con un’introduzione rubata a Steve Coleman, e Duet For Two insieme a Mac-Carty. E così fanno sette. Resta fuori Vignette di Gary Peacock, un brano piuttosto conosciuto - ne esistono numerose versioni – che credo sia stato inciso per la prima volta su un disco ECM da un trio che oltre a Peacock comprendeva Keith Jarrett e Jack DeJohnette.
Cycle è, relativamente alla sua giovane vita e alla situazione contingente nella quale s’è formato, un ensemble già ben affiatato, ispirato e motivato da un’insieme di validi stimoli.
“Jin-Brebl-Concert” è un ottimo disco contenente materiale vario ed eterogeneo utile a interrompere il trip di Bo Van De Graaf nelle musiche per film, che iniziava un po’ ad annoiare, e, non foss’altro, in grado di contribuire a riscoprire quel capolavoro mai completamente riconosciuto come tale che è “Paris-Concert”.
Buon pro gli faccia.
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