Scorreva l’anno 2003 quando Roberto Fega pubblicò “Metafonie” per la piccolissima Aleatory Production nell’esigua tiratura di 50 copie. Poca cosa ma stupefacente, dove futurismo e surreal-dadaismo si sposavano attraverso un’attitudine squisitamente artigianale. L’inclinazione meccanica del futurismo veniva stravolta da una stravaganza tipicamente umana, sorpresa e stupefatta, come potrebbe esserlo quella di un primitivo che si avvicina per la prima volta al mondo dei suoni.
In seguito Fega darà un senso più concretoalla sua musica, andando a indagare sui disastri creati da alcuni a danno di molti (8 August 1956 – 18 April 2015), sulle rivolte spontanee in reazione alla pressione del sistema dominante (Inghilterra, Gracia, New York), su quelle genti che lottano per l’emancipazione dei popoli (Chiapas, Kurdistan); e attraverso dischi come “Un geco nella mia casa”, Daily Vision” e “Echoes From The Planet” è andato via via affermandosi una specie di “Che” musicante.
Nonostante l’ammirazione incondizionata per l’impegno e per i risultati musicali conseguiti sono però sempre rimasto convinto che il Roberto Fega migliore è quello delle micro composizioni di “Metafonie”.
Costretto in cattività dal Covid, con “Postcard From A Trauma” Fega ha realizzato il seguito ideale a quel primo CD. Quaranta brani di brevissima durata, dei quali ben trentanove sono ispirati da altrettanti colori, mentre l’ultimo è un rifacimento succinto della Music For Airports 1/1 di Brian Eno.
C’è di nuovo lo stupore della scoperta che si perpetua, la gioia nel ricercare e nel trovare soluzioni inedite, l’attitudine naïf che ha caratterizzato grandi sperimentatori come Monk, Coleman, Barrett o Moondog, il giocare con i colori e con le forme tipico di un Mirò (giocare e suonare si traduce in francese con lo stesso termine: jouer), gli intenti sovversivi e il calcio in culo alle convenzioni di un Bansky …. Bentornato nel mondo dei sogni e delle meraviglie, che il coniglio bianco sia sempre con te.
Un’ultima cosa: Roberto Fega è nato nel 1965 e in quello stesso anno un altro Robert, in Inghilterra, entrava per la prima volta in uno studio di registrazione, insieme ad un gruppo di amici, per raccogliere i suoi primi fiori di campo. Voglio credere che questi due fatti non siano affatto scollegati fra loro. E la fede, come ben sapete, è una cosa seria se per essa c’è nel mondo gente disposta a dare la vita (ps: il suddetto Robert, se non mi sbaglio, suonava il piano proprio in Music For Airports).
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