`Mother Afrika´

Autore disco:

Roberto Zanetti Quartet

Etichetta:

Comar23 (I)

Link:

it-it.facebook.com/noprohibitionunit
www.youtube.com/watch?v=iD8o0w1nDos&t=96s

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

2021

Titoli:

1) Mother Afrika (intro) 2) Bud’s Power 3) Black Boy 4) Ballad For Afrika 5) Wilma Rudolph 6) Jungle Mood 7) Rosa Parks 8) Great Nina 9) Katherine Johnson 10) La Concha 11) Avalon Blues 12) Mother Afrika (outro)

Durata:

64:11

Con:

Roberto Zanetti, Valerio Pontrandolfo, Luca Pisani, Massimo Chiarella, Nicolò Sordo

niente ori e allori per roberto zanetti

x mario biserni (no ©)

Forse ho già scritto le cose che mi appresto a mettere nero su bianco, non ricordo bene ma, anche se fosse, copiare se stessi nun è peccato.
Quali criteri utilizzare per valutare un disco? Dipende chiaramente dal punto di vista, un discografico, e in buona parte anche l’autore, lo valuterà in base alle copie vendute. Un disco che resta invenduto è chiaramente un flop. Il criterio delle copie vendute è inoltre l’unico criterio basato su dati reali e, come tale, indiscutibile. Un altro criterio è quello della valutazione critica, e qui scivoliamo già su un territorio più empirico. Una cosa è affermare che i Beatles hanno venduto quasi duecento milioni di dischi e nessuno, neppure i negazionisti convinti che la terra è piatta o che Auschwitz era un luogo di villeggiatura con cinema piscine eccetera, vi dirà che non è vero. Una cosa ben diversa è affermare che i Beatles hanno fatto della musica bella e/o innovativa, nel qual caso la gamma delle opinioni si allargherà a ventaglio contemplando i pareri più svariati e, anche, strampalati. Se poi entriamo nel mondo del collezionismo finiamo col restare impantanati senza levarne le gambe. Perché un disco ha un valore collezionistico più alto di un altro? Per come è confezionato? Perché è stato stampato in poche copie? Perché l’autore è un artista di culto? Tutti validi motivi che però non spiegano tutti gli aspetti, a volte davvero indecifrabili, che gettano gli individui nelle braccia dell’accumulo compulsivo.
“Mother Afrika” non rientra chiaramente in nessuna delle categorie elencate, per quale motivo invitarvi quindi a comprare un disco simile? Perché potrà piacervi, certo, ma questo io non posso saperlo a priori, e quindi?
Per il semplice motivo che un disco oltre a essere un tormentone, oltre a essere innovativo, oltre a essere originale e/o particolare, oltre a essere confezionato come un oggetto d’arte, può possedere altre qualità che lo rendono appetibile. Un disco, come in questo caso, può anche essere un disco utile.
Vengo quindi al contenuto.
Il pianista Roberto Zanetti, pur avendo raggiunto con questo disco quota 7, non è certo un musicista da award o da hall of fame. Ingiustamente, perché da anni svolge un’intensa attività come ricercatore, studioso, insegnante e promotore della musica jazz. Se consideriamo l’edificio della musica come una piramide il suo nome non sta sicuramente al vertice, ad altri vanno quindi ori e allori, ma si colloca in quella struttura di base sulla quale poggia e si regge l’intero edificio. Senza una solida base non esisterebbe nessun vertice.
“Mother Afrika”, lo dice il titolo e lo conferma l’immagine di copertina, è un disco dedicato all’Africa, alla sua cultura, e all’importanza che quel continente ha avuto nello sviluppo dell’umanità intera. Il disco si apre con la voce matura dell’attore-scrittore Nicolò Sordo che recita versi del poeta David Léon Mandessi Diop, originario dell’Africa Occidentale e facente parte del movimento letterario Négritude, e lo fa alla maniera dei poeti della Beat Generation che recitavano i loro testi su basi di musica jazz («Africa my Africa / Africa proud warriors in ancestral savannas / Africa My grand-mother sang of / On The banks of rivers far / Never did I meet you / Yet your blood through my eyes does flow / Your blood, beautiful and black spread over fields / Blood of your sweat / Sweat of your toil / Toil of your slavery / Slavery of your children / Africa, speak to me, Africa …»).
Il jazz a cui Zanetti fa riferimento è essenzialmente il be-bop e i suoi derivati, esplicito è il riferimento a Powell in Bud’s Power, ma fra le righe si possono cogliere riferimenti a quelle musiche che hanno rappresentato l’humus da cui il jazz è nato - i canti di lavoro degli schiavi, gli spiritual, i blues … - così come al suono caldo di maestri del sassofono jazz come Coleman Hawkins e Lester Young, ai break drummici di Warren “Baby” Dodds e alla scrittura di Duke Ellington.
Il disco è dedicato a quattro figure femminili rappresentative del contributo fondamentale dato dai neri africani e afro-americani allo sport, alla scienza, alla musica e alle lotte per l’emancipazione e per i diritti civili: Nina Simone, Rosa Parks, Katherine Johnson e Wilma Rudolph.
Niente ori e allori, quindi, ma un disco che trasuda pillole di storia e di cultura.
Facile, a questo punto, capire perché si tratta di un disco importante.
Quotidianamente nella stampa e nella rete si parla dell’Africa e dell’emigrazione dall’Africa senza considerare le condizioni intrinseche di quel continente, ma soprattutto senza considerare una storia fatta di colonialismo, tratta forzata o meno di esseri umani ridotti in schiavitù o trattati alla guisa di schiavi e di un periodo neocoloniale non meno devastante di quello coloniale. Senza considerare le condizioni di un continente derubato e distrutto in quelle che sono la sua cultura e le sue forme di organizzazione sociale, questo per semplice superficialità e ignoranza o, peggio, volutamente e scientemente per una deliberata volontà di revisionismo storico. Qualsiasi voce esca dal coro, quasi sempre nutrito da pregiudizi razziali, per affrontare la questione africana secondo una corretta prospettiva storico-culturale va accolta come pioggia in un periodo di siccità.


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Data Recensione: 11/2/2023

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