`How To Get Rid Of The Darkness´

Autore disco:

Pierfrancesco Mucari & Gianni Mimmo

Etichetta:

Amirani Records (I)

Link:

www.amiranirecords.com/

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

2022

Titoli:

1) Hilltop Climber 2) Somber Pieces I 3) Postcard 4) How To Get Rid Of The Darkness 5) Salome’s À-tout 6) Crimson Bird Back Home 7) Somber [Told you Several Times] 8) Grotesque [Jack In The Box] 9) Whispered Truths 10) Somber Pieces II 11) Quite Claims 12) Until I Could See Your Little Boat Fade In The Mist Of Dawn

Durata:

52:21

Con:

Pierfrancesco Mucari, Gianni Mimmo

1 CD che vale 3

x mario biserni (no ©)

«Domanda: chi gode della poetica di Mimmo e Mucari? Risposta: tutti coloro in grado di percepire la solidità di una pretesa di vita che guarda alle sue meraviglie o patimenti con l’ottimismo di un domani. Tutte le sollecitazioni libere e imprevedibili di “How To Get Rid Of The Darkness” sono contributi a quel rinascimento artistico che è già in atto ma di cui molti non se ne sono accorti». Così termina Ettore Grazia le note scritte per accompagnare il CD. In realtà c’è poco da aggiungere e potrei limitarmi a questa citazione. Ma il buon Mimmo potrebbe chiedermi ragione della mancata recensione ed io lì ad arrampicarmi negli specchi per trovare una giustificazione alla mia negligenza. Per cui …
Inizio dal titolo che significa come sbarazzarsi dell’oscurità, più o meno, e posso dire di aver toccato la questione con mano. Nei giorni in cui volente o nolente ero bombardato dalla luminescenza del festival di sanremo, spettacolo talmente indecoroso da poter essere eletto a massima espressione di un’oscurità culturale sempre più invasiva, rifugiarmi nella sincera sobrietà di questo disco è stato un autentico toccasana.
Gianni Mimmo è, fra i musicisti che si dichiarano allievi di Steve Lacy, il più fedele all’estetica del maestro. Quantomeno, ne sono certo, è quello che Lacy apprezzerebbe di più. Questo inciso perché “How To Get Rid Of The Darkness” mi ricorda pazzescamente una notte pisana illuminata dal soprano di Lacy, che dialogava con la luna passeggiando sopra al muro che cinge il Giardino Scotto.
Altresì Mimmo è noto per una predisposizione verso collaborazioni di vario tipo e ad ampio spettro che, in occasione di questo disco, lo porta a far tandem con il sassofonista siciliano Pierfrancesco Mucari. Le poche notizie reperibili su quest'ultimo, che ha iniziato giovanissimo suonando la chitarra basso in contesti new wave, dicono di uno strumentista piuttosto dotato e talmente estroso da esibirsi in vari tipi di situazione (dalla musica improvvisata alla musica sinfonica). Per inciso va detto che per Mimmo un compagno di viaggio simile è come il cacio sui maccheroni.
Vi consiglio di iniziare l’ascolto dai due brani in cui Mucari suona quello che è volgarmente noto come scacciapensieri (marranzano per i siciliani e Jaw Harp nei piani alti della musica). Fra i suoni poveri, direi pastorali, dell’antico strumento monocorde, che richiede una grande abilità per essere suonato, le note del sax soprano sono come raggi di luna che danzano fra gli sterpi dei ranchi. Un effetto simile viene fuori quando Mucari rende più primitivo il suono dei suoi sax attraverso delle preparazioni personali.
L’effetto generale è lo stesso che si otterrebbe uscendo dalle luci, dai suoni, dalle voci e dagli schiamazzi ottundenti di una grande città per calarsi nel silenzio di una notte campestre. Sembra una contraddizione identificare l’oscurità con le luci di una città, lo so, ma il concetto di oscurità può essere sia fisico sia metafisico.
Negli altri brani, vado a braccio e potrei sbagliare, Mimmo sembrerebbe suonare più melodico e Mucari più ruvido.
D’altra parte Mimmo non è mai stato un improvvisatore caciarone, tutt’altro, e al pari del suo mentore ha un’indubbia ascendenza in Monk, il jazzista più prossimo a Cage e Feldman nella valorizzazione degli spazi vuoti. Poeti del silenzio.
Una menzione speciale va dedicata alla bella confezione dove è riprodotto un dipinto del pittore post-macchiaiolo Oscar Ghiglia, un nome a lungo sottovalutato che va finalmente trovando il suo posto fra gli artisti italiani più importanti del primo Novecento.
Termino quindi con un grazie speciale al sassofonista milanese: per il bel disco, per avermi fatto conoscere sia Pierfrancesco Mucari sia, last but not least, l’arte pittorica di Ghiglia. Molto più di quello che solitamente viene chiesto a un insulso dischetto di plastica.


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Data Recensione: 8/2/2024

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