Ci troviamo di nuovo alle prese con la pandemia, e la cosa può iniziare ad annoiare, ma i tre anni vissuti in cattività hanno avuto un impatto sociale destinato a influenzare le nostre vite per più d’una generazione. A tal proposito basti pensare che il “Decamerone” resta un testo di attualità a oltre seicento anni dalla sua scrittura.
Ma veniamo a noi e a “Pandemia”. Quella che può sembrare una collaborazione a più mani in realtà sembrerebbe un dialogo con se stesso, in quanto dietro la misteriosa sigla Red Gnein Sextet si nasconderebbe lo stesso Collin J Rae (almeno così ci dicono gli scienziati della rete, anche se ho l’impressione che in realtà quella sigla nasconda qualcosa di più rispetto al pur presente Rae). Gli otto brani, i cui titoli stanno a indicare pandemia in otto lingue diverse, sono altrettante mattonate a base di rumore elettronico creato con dispositivi progettati dal giapponese Tetsuji Masuda. È come trovarsi nell’occhio di un ciclone, con i vari detriti che ti ronzano intorno apportando ognuno un proprio suono. Rumori, più che rumore, rumori che si sommano e si confondono, portandosi dietro una propria identità e facendo pensare a suoni materici come un lamento di uccelli impazziti, la corsa di un treno o il suono assordante dello spazio infinito. Collin J Rae, in “Pandemia”, gioca con la trasparenza del rumore più intransigente.
Collin, oltreché musicista impegnato in vari progetti, è un artista multipolare. Fotografo, nell’occasione, e “Pandemia” è la trasposizione sonora di alcuni ritratti creati con l’utilizzo di filtri rudimentali, visibili anche nella copertina del CD, che hanno fatto ben parlare di sé attraverso i due libri “Pandemic Portraits Volumes 1 & 2”.
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