In un precedente disco pubblicato per Amirani - la recensione al link riportato sopra - Luca Segala era a capo di un quintetto piuttosto particolare e suonava una buona gamma di sassofoni. In “La rete di Indra” è invece a capo di un trio estremamente succinto - sax più sezione ritmica, a misura di quelli che andavano per la maggiore a cavallo fra gli anni `50 e gli anni `60, e limita la sua azione al sax tenore. Il risultato sta in un jazz schietto e privo di fronzoli. Prendete un sassofonista energico, ma al contempo limpido e melodico, come Sonny Rollins e un batterista afro, e altrettanto melodico, come Ed Blackwell, aggiungeteci un contrabbassista ricucitore tipo Henry Grimes o Richard Davis e otterrete una formazione non molto dissimile da questo Libertrio seppure, messa così, la cosa possa essere ingannevole, e possa esserlo per ben due motivi. Innanzi tutto è bene chiarire che Segala e compagni plasmano il tutto con una personalità propria e ben definita, seppure non ben definibile. In secondo luogo quanto scritto potrebbe far pensare a un jazz stantio e datato. Niente di tutto ciò, chè “La rete di Indra” suona fresco e presente, molto più di tante opere che si presentano con la presunzione di essere innovative. Segala, pur non avanzando pretese in tal senso, riesce a produrre una musica veramente mal databile. La citazione da Daisaku Ikeda, posta nell`interno di copertina, dispone poi la mente dell`ascoltatore a librarsi in innumerevoli viaggi, trasformandolo in un Pessoa seduto davanti alla finestra.
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