Luca Segala è un sassofonista, suona più o meno tutti i principali tipi di sassofono, in possesso di una già nutrita discografia a capo di sue formazioni a quattro o cinque elementi. Per questa bella prova, nella quale limita la sua azione ai sassofoni tenore, contralto e soprano, ha messo assieme un fenomenale quintetto composto da strumentisti di provata esperienza, oltrechè molto apprezzati da critica e pubblico sia nel panorama jazz nazionale sia oltreconfine.
Quella di Segala, strutturalmente, è un`improvvisazione organizzata di tradizione jazzistica che sembra far capo a una determinata corrente della musica afroamericana, quella in cui l`hard bop non era più tale pur non essendo ancora jazz elettrico. Una corrente nella quale, e a seguito della quale, numerosi jazzisti europei andarono a interferire con l`originario suono della musica afroamericana. Una corrente che accomunò molti di quei musicisti che non vollero partecipare ai moti rivoluzionari della new thing.
Segala ha comunque una sua originalità . Innanzi tutto i suoi dischi - a suo nome o in collettivi come Modern Times, Treperqu@ttro e Treperqu@ttropiuuno - brillano per l`assenza del pianoforte, ad eccezione del primo dei sette riportati nel suo sito alla voce “discografia” (dove era presente il pianista Andrea Rebaudengo); e il pianoforte era un elemento quasi essenziale nelle correnti jazz estranee alla new thing, mentre gli Ayler e i Coleman ne fecero sovente a meno.
Nel caso di “Cloudriding”, poi, il suo jazz pare inquinato da elementi estranei alla tradizione di discendenza hard bop, elementi che addirittura sono stati in contrasto con essa. Il chitarrista Riccardo Bianchi, per esempio, sembra rifarsi a un soggetto free come Sonny Sharrock, e in ogni caso non è lontano da campioni emersi in tempi più recenti tipo Bill Frisell o Marc Ribot. Un altro componente inquinante è il violista Paolo Botti che riesce a inserire sia elementi free sia suggestioni derivate dalla tradizione europea colta e/o popolare. Anche la cosiddetta sezione ritmica ha un approccio non propriamente ortodosso e il contrabbassista Tito Mangialajo Rantzer porta con se i suoi interessi per «il jazz, la musica improvvisata, e tutto ciò che vi sta sopra, sotto, di fianco e attraverso», mentre il batterista Ferdinando Faraò sposta leggermente il baricentro dai piatti ai tamburi, e pure quando si concentra sui piatti è molto meno soft di quanto imporrebbe un approccio filologicamente corretto.
“Cloudriding” piacerà quindi a chi apprezza il jazz moderno non troppo radicale, e anche ai sostenitori del downtown jazz e/o delle contaminazioni con il klezmer e con le musiche dell`est europeo.
Cavalcando le nuvole, così suona più o meno il titolo, complice anche la splendida e suggestiva foto di Elda Papa che riveste la confezione, ma io preferirei rappresentarlo con una traduzione meno letterale tipo “surf sulle nuvole” o “navigare tra le nuvole”. Mi sembra più rappresentativa delle sinuosità che i cinque riescono a innescare.
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