`Let It Fall´// `Does The Moon Not Dream´

Autore disco:

My Home, Sinking // Matteo Uggeri & Mourning Dove

Etichetta:

2020 Editions (I) // Alma De Nieto (I)

Link:

www.2020editions.com
adnrecords.com

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

2021

Titoli:

1) Let It Fall 2) Like Sun Through The Brambles 3) A Silver Lining 4) Mantled Sky Of December 5) Among The Ash 6) The Swinging Hearts 7) It Will Fall // 1) Modular 2) Ghost Of Sand 3) Our Lady 4) Mare Aperto 5) An Eleven Hour Sleep 6) Bella Ciao 7) Bushwick

Durata:

32:00 // 33:15

Con:

Enrico Coniglio, Lindsay Anderson, Piero Bittolo Bon, Francesca Casanova, Sandro Caparelli, Francesca Rismondo, Niccolò Romanin // Elena Botts, Matteo Uggeri, My Dear Killer, Andrea Serrapiglio, Francesca Stella Riva, Alessandro Sesana, Maurizio Abate, Franz Krostopovic, Alberto Carozzi, Cristiano Lupo

split!

x mario biserni (no ©)

Parrebbe una cosa studiata, e di fatto lo è, quella di pubblicare in sincronia la recensione a “Bureau” di Guido Aldinucci & Matteo Uggeri e questo top-non-secret. È una scelta dettata dalla realtà di musicisti le cui vicende viaggiano parallele e concomitanti, in un parallelismo però anomalo dacché prevede numerose collisioni. Così, dopo le due notevoli collaborazioni nel progetto open to the sea, Coniglio e Uggeri hanno pubblicato in contemporanea dapprima la loro opera collaborativa con Aldinucci e adesso questi lavori a proprio nome (o quasi). Scissi, quindi, ma di pari passo in modo da tenere aperto un metro di confronto e i due dischi, oltre a condividere aspetti comuni, invitano a riflessioni che si sovrappongono.
Iniziamo dagli aspetti indiscutibilmente comuni: raffinatezza, sensibilità e leggerezza (non nel senso di easy listening ma in quello di non heavy o non hard). È presente quel tipo di fragilità che inevitabilmente fa pensare a Nick Drake. In secondo luogo c’è fra i due la condivisione di modalità pandemiche, le definisco tali seppure non siano affatto collegabili a una pandemia, cioè le cui parti vengono suonate da musicisti non in presenza e in seguito montate insieme in studio (ma si definiscono ancora così?).
Per Coniglio My Home, Sinking è più un moniker che un progetto di gruppo, tant’è che a ogni disco, questo è il terzo, i nomi dei musicisti coinvolti sono radicalmente diversi. Se volessi evitarmi qualsiasi problema definirei il progetto come post rock, citerei i Rachel’s e chi s’è visto s’è visto. Però, ammesso e non concesso che la definizione post rock voglia dire qualcosa, mi sembra che Coniglio con il post rock non c’entri una minchia. Se intendo bene il post rock prevede la presenza di un gruppo dalle caratteristiche di gruppo rock, e già qui c’è da discutere, associato a modalità compositive ed esecutive che non sono affatto rock (in tal senso un disco come “The Who Sell Out” del 1967 è già un disco post rock). Quindi nel post rock viene composta della musica per un gruppo. Coniglio, mi sembra, compone la musica e poi formula il gruppo che va ad eseguirla. Un sistema mutuato pari pari dalla tradizione della musica classica. Oltretutto, mentre nei dischi precedenti Coniglio appariva anche fra i musicisti esecutori, in “Let It Fall” il suo nome appare solo quale autore delle musiche secondo una modalità tipica dei compositori di musica classica (sempre che non ci siano omissioni nelle note di copertina, e probabilmente ce ne sono, o sempre che io bon abbia frainteso qualcosa). Comunque ciò che appare è, per me, ciò che vuol essere, e questo vuol essere un disco di musica neo-classica. Si obietterà che l’estetica ha poco a che fare con quella della musica classica e tutto è intriso di contemporaneità pop. Intanto io parlo di neo-classicismo e non di classicismo, e in quanto a estetica l’arte classica ha sempre abbracciato quella della sua contemporaneità. Debussy, tanto per capirsi, era ben diverso da Vivaldi e Bartók era ben diverso da Shubert. Così oggi Coniglio si cala nel mondo a lui contemporaneo, e lo fa utilizzando anche musicisti di grana molto fine attivi nel presente e non nel concertismo di tipo museale (nell’occasione, tra gli altri, Lindsay Anderson dei L’Altra).
Nella musica, come nella pittura, rivestono un’importanza primaria le tecniche usate, il tipo di colorazione, i colori stessi che vengono utilizzati. Come già anticipato i colori qui sono tenui, dal grigio chiaro al lillà al verde marino, e il tipo di colorazione è ad acquarello. Ma, come la stessa immagine di copertina lascia intendere, non mancano le sbavature e le macchie; ma sbavature e macchie non sembrano indicare tanto noncuranza, sciatteria e insicurezza quanto una mano tremula e febbricitante che sa farsi prendere dalle emozioni.
E l’ombra di Nick Drake, e della Françoise Hardy di mezzo, si stagliano sempre gigantesche all’orizzonte.
Coniglio chiama e Uggeri risponde, così sembra dire il musicista meneghino con “Does The Moon Not Dream”. La stessa attitudine pandemica lo ha portato, in questa occasione, a collaborare con una giovinetta dell’est americano che probabilmente non ha mai visto se non nei canali della virtualità. Anche su di lui vedo stagliarsi l’ombra di Drake, e l’essere culo e camicia con gente come Bob Corn e My Dear Killer lo dimostra, ma non mi sentirei mai di spendere le parole musicista neo-classico. Il suo metodo compositivo mi sembra infatti ben diverso, affidato alla casualità dei suoni che gli capitano fra le mani e che va a pasticciare in puzzle forse meno raffinati e leggiadri ma altrettanto intensi di quelli cesellati da Coniglio. Anche nell’occasione, avvalendosi del contributo fondamentale di Elena Botts (in arte Mourning Dove), Uggeri centra il bersaglio con un connubio perfettamente riuscito di rumori dalla varia provenienza. L’americana contribuisce con testi importanti, ha vinto vari concorsi di poesia, oltreché con un recitato sensuale alla Anita Lane e con un cantato cristallino alla Joan Baez. Il materiale di partenza, in questo caso, è grezzo, e viene fatto un processo di raffineria attraverso l’inserimento di parti suonate da quel po’ po’ di talenti che trovate elencati sotto. Sentite a tal proposito con quale savoir-faire viene effettuato l’inserimento simil marcia funebre bandistica della tradizionale Bella ciao in quel crogiuolo di rumori futuristi che alimentano il titolo eponimo. Il risultato finale è così più ruvido ma altrettanto affascinante di quello raggiunto nel disco di Coniglio.
Per concludere facendo ancora un paragone con la pittura, quella di Uggeri mi sembra una pittura materica, con uso di tempere dai colori medio-forti.


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Data Recensione: 30/12/2022

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