Innanzitutto il nome: al di la del significato di un termine di frequente utilizzo nelle arti contemporanee e che di suo sprizza contemporaneità da tutti i pori, al di là del suo significato semantico, quando nel jazz c’è ancora la tendenza a chiamare i gruppi come il trio del tale o il quartetto del tal’altro, definirsi katharsis rappresenta inequivocabilmente l’idea di un gruppo composto da tre elementi interagenti che è qualcosa di diverso dalla loro semplice sommatoria. Un gruppo nel quale a, b e c rivestono lo stesso ruolo, paritetico e democratico, questo è Katharsis.
La musica del trio è limpida, quale ci si può aspettare da una formula piano, contrabbasso e batteria, senza essere mai eccessivamente cervellotica ma neppure mai eccessivamente semplice, e così è anche quando raramente osa giocare con il rumore.
È una great black musica priva del black, o meglio che accanto al black contempla pure il white, il yellow, il green, etc. È una musica senza rancori né cattiveria ma pure senza sogni o speranze. Solo pura tecnica?
Può dar fastidio il sospetto, che a tratti aleggia di fronte a questi incastri perfetti, di tre professorini che hanno imparato la lezione a memoria ma, anche se così fosse, i risultati sono inequivocabili.
Notevoli le immagini di Francesco Poiana scelte per la confezione.
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