I Looper sono uno dei gruppi più estremi e oscuri che siano mai esistiti. E, dopo un assunto iniziale di tale precisa risolutezza, ho l`impressione che molti lettori volteranno pagina. Peccato, perchè ogni nuovo disco di questo trio paneuropeo rappresenta un`autentica rivelazione. E “Dying Sun” non fa eccezione. Ancora una volta audiofrequenze basse da paura. M`è capitato di ascoltare il disco chiuso in auto, e vi assicuro che le lamiere vibravano come se fossi stato al centro di una tempesta elettromagnetica o, almeno, a quella che è la mia idea dell`esserci, in una tempesta elettromagnetica, chè non ci sono mai stato. Le atmosfere sono sempre minimali, oscure e maligne ma, rispetto ai dischi precedenti, il suono di violoncello, sax e batteria è più intelligibile e comprensibile come tale. Sono sempre stato abbastanza stronzo, nel senso autoreferenziale del termine, e di ascolti `strong` ne ho fatti a sufficienza ma questo li supera tutti, almeno tutti quelli che ho sperimentato. Non so neppure se questa si può definire musica, e non so neppure che tipo di musica può essere, ma se il compito della musica è quello di creare sensazioni forti, di creare una percezione alterata della realtà , e se questo è psichedelia, o noise, o industrial, o quello che cazzo vi pare, ma se comunque sono sensazioni `extra-strong` quelle che cercate in un disco, allora in “Dying Sun” troverete ciò che fa per voi.
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“Slugabeld” è un lavoro impostato secondo le leggi della drone music più spartana e austera. Le sinewave di Klaus Filip e il violoncello di Nikos Veliotis si sono incontrati in un`ora imprecisata ad Atene, di Domenica, per avviare una registrazione seguendo gli schemi dell`improvvisazione tout cour. Ad uscirne fuori è un lunghissimo sentiero (si tocca il confine dei 60 minuti) di lenta opulenza sonora basato quasi per intero su impercettibili variazioni di tono operate da entrambi, i quali dimostrano di stare sempre molto attenti a non pestarsi i piedi l`uno con l`altro. In effetti, l`ascolto di questa suite colpisce proprio per il rigoroso bilanciamento operato dai due: un flusso di micro-emozioni schiuso dal dominio acustico di un Veliotis particolarmente incline ad estirpare dal proprio strumento, mediante l`uso dell`archetto, soffici mantelli di suono grezzo che, durante il cammino, saranno gradualmente affossati nel silenzio dalla crescente materia sinusoidale cagionata dall`elettronica asciutta dell`austriaco. E` una musica difficile da buttare giù tutta d`un sorso, questo è vero, ma di sicuro è un`opera che nei propri interstizi nasconde qualcosa di profondamente celestiale e mistico. A tal proposito mi sento di consigliare vivamente anche “Imaoto” in cui è documentato l`incontro tra Filip e quel mostro sacro dell`improvvisata che risponde al nome di Radu Malfatti. Licenziato nel 2010 dai tipi della Erstwhile, a differenza della camminata quasi mantrica di “Slugabeld” mostra di possedere un interesse maggiore per il suono discontinuo, elaborato attraverso continui sali e scendi del volume, e senza mai varcare la soglia iconoclasta della materia noise. Incantevole e assolutamente da riscoprire!!!
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