Gli Hikashu, a differenza di buona parte dei gruppi giapponesi, sono stati piuttosto ignorati in occidente. Pensare che sono in attività più o meno dal 1980, e 35 anni rappresentano per un gruppo un tempo di vita ragguardevole, ma sia una raccolta su Tzadik sia la pubblicazione, sempre sull`etichetta newyorchese, di alcuni CD del loro frontman Makigami Koichi non sono certo serviti a far sì che il loro nome decollasse nelle simpatie dei media occidentali e in quelle del pubblico che a questi fa riferimento (o sarebbe meglio dire che da questi viene orientato). Viceversa sono molto popolari in Russia, dove è in corso un tour di ben 5 date, e in alcuni paesi dell`est europeo.
Partiti con un`originale miscela di synth-wave hanno saputo rinnovarsi negli anni, sia attraverso il cambiamento di alcuni componenti sia attraverso l`assorbimento di numerose influenze extra, fino all`attuale spettacolare miscela di free-pop.
Chitarra, sassofono, cornetta, theremin, pianoforte, voce e clarone, oltre agli immancabili basso e batteria, sono i più evidenti protagonisti di intrecci ora rarefatti, ora limpidi e infine più torbidamente armstronghiani e/o beefheartiani, con qualche tema che si ripropone a ricordarci che siamo sempre all`interno dello stesso disco. Le tastiere, in alcuni momenti, fanno poi pensare ai Soft Machine di 5-6-7, laddove la chitarra dissona spesso in odore di no wave. Piace anche l`uso del theremin che, nelle mani di Makigami, assume le sembianze di una vera e autentica seconda voce (spettacolare il duetto con il clarone in A Never-Ending Speculation). Voce che, non scopro niente di nuovo, è fra le più interessanti del pianeta, nel suo pencolare fra operismi alla Mercury e primitivismi sciamanici.
Mettetela come volete, ma gli Hikashu sono uno dei più grandi gruppi esistenti. Continuare a ignorarli sarebbe un delitto.
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