Alcuni mesi fa avevo ascoltato e recensito “Formaldeide” di Vincenzo Ramaglia e l`avevo trovato molto piacevole oltre che piuttosto interessante, ma mai più mi sarei aspettato di trovarmi a recensire un piccolo capolavoro come “Chimera”. Tanto per liberare il campo da ogni dubbio, Ramaglia esce da quello stesso conservatorio di “Santa Cecilia” famoso anche grazie ad allievi come Morricone e l`ho scritto già una volta, ma giova ricordarlo perchè è ora non è vero che “siamo tutti uguali” e che “siamo tutti intelligenti e bravi”, queste sono cazzate che vanno bene per la prima elementare o per gente come Rutelli. Non è vero che basta che uno scriva “composed” per dire che un disco è composto, non è assolutamente vero che se uno menziona serialismo, minimalismo allora ha la conoscenza o le basi necessarie per poterne parlare, insomma, come diceva qualcuno: “non è vero che tutti nasciamo imparati”. Molti “imparati ci diventano” e spesso per diventarlo si passa attraverso un percorso, allo stesso tempo è vero che quel percorso molte volte non porta da nessuna parte anzi, impoverisce e brucia “le migliori menti della mia generazione” (e non cito i Nomadi). Detto questo, il lavoro di Ramaglia pur collocandosi a pieno diritto nella musica contemporanea non fa per questo parte di una di quelle mattonate soporifere che a meno che uno non sia in grado di seguirle uno spartito, allora sono scarsamente fruibili per l`orecchio di un ascoltatore “normale”. “Chimera” è molto melodico, a suo modo semplice ed a tratti quasi commovente, il disco riesce a fare dei suoi contrasti il proprio punto di forza. Si tratta di una partitura per contrabbasso e loop-station sulla quale vanno ad innestarsi degli interventi improvvisativi di batteria e di sax. Come giustamente mette in luce il compositore romano, il limite tecnico della loop-station è il confine stilistico del minimalismo, quello che in molti casi porta alla monotonia, alla noia ed all`appiattimento in funzione dell`elaborazione strutturale. Nel lavoro di Ramaglia la scelta del loop ed il contrabbassismo di Massimo Ceccarelli si sposano magnificamente così bene che spesso scaldano già a sufficienza l`esecuzione, il fatto è che su una trama già ottima Giust e Ciuffrini si inseriscono in modo favoloso, non che avessi dubbi in merito, ma a giudicare dal risultato direi che fossero in pieno stato di grazia. Proprio in virtù di questo stato di questo connubio così ben riuscito, ogni stortura, ogni piccola dissonanza suona in modo splendido facendo montare costantemente una tensione che alla fine non esplode e che forse non avrebbe senso fare sbottare. L`effetto finale ovviamente sfocia nello psichedelico ma non perde la raffinatezza dell`arrangiamento che si mantiene ad alto livello dalla prima all`ultima traccia. Premesso che le definizioni lasciano sempre il tempo che trovano (mentre un passaggio sulla sua pagina myspace potrebbe essere più illuminante di mille recensioni), in “Chimera” si incrociano musica contemporanea, scorie di jazz allo stato più avanzato, psichedelia, calore ed un fortissimo senso per la melodia.
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