Al di la dei vari revival, del vintage, delle cover band mascherate da band originali, dei nipotini dei nipoti... al di la di tutto ciò, che può sembrare novità senza esserlo, la musica rock sembra resistere... e quale miglior segnale di questa resistenza se non Helen Money, una voce veramente nuova e innovativa in grado di interpretare una variante moderna del rock stesso. Del miglior rock, direi, che si perpetua pienamente nella sua musica, attraverso un suono chitarristico, pur nell'assenza di chitarre, e attraverso un'autentica bordata di elettricità , supportata dall'utilizzo creativo di volumi e distorsori. Memorie - solo memorie, attenzione! - di Black Sabbath (Rift), Cream e Who (Arriving Angels), Melvins (Shrapnel).... La modernità è invece insita nell'essenza di una one-band-woman che, attraverso loop e/o diavolerie simili, suona come una band.
Quella di “Arriving Angels” è una Helen Money più riflessiva, almeno in riferimento al precedente “In Tune”, addirittura disposta a ricevere talvolta sostegno da un batterista (Jason Roeder dei Neurosis), da un pianista jazz di larghe vedute (Dennis Luxion) e da un guastatore elettronico (Michael Friedman). Una riflessività che trova conferma anche nella scelta di riprendere un brano del primo Pat Metheny, Midwestern Nights Dream, ma che non va mai a discapito di una potenza in grado di farla apprezzare perfino nei circuiti dell'heavy metal. Caratteristica basilare restano comunque i cambi repentini di ritmo, d`atmosfera e di volume. La presenza di Albini alla consolle non rappresenta, come troppo spesso è avvenuto negli ultimi anni, nè una concessione alle mode nè il frutto di un'operazione valutata a tavolino, ma si tratta unicamente un elemento funzionale e, soprattutto, è conseguenza di una collaborazione e di una sintonia che va ormai avanti da anni, durante i quali Helen Money ha spesso aperto i concerti degli Shellac, mentre il suo stesso disco precedente veniva registrato negli studi dell`ex Big Black.
Per il resto c'è poco da aggiungere, se non che l'elettricità e il rumore mal celano una raffinatezza di fondo impossibile da arginare totalmente.
L'eccellente artwork, finalmente degno della proposta musicale di Helen Money, è firmato da quello Steve Byram che in passato aveva curato le confezioni di album piuttosto celebri quali “Reign In Blood” e “License To Ill”.
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