Fa subito pensare alle classiche formazioni in trio di Rollins e Ayler, questo disco, e il secondo viene addirittura evocato apertamente quando Baars si impegna al sax tenore. Pezzi come Anacrusis e Give No Quarter, seppure non abbiano quella forza evocativa e la materia sonora sia più frammentata, non possono che far pensare all`Albert Ayler Trio (quello con Gary Peakock e Sunny Murray). E` poi sempre Ayler a far capolino nella marcia funebre Song For Our Predecessors e nella lamentazione Tale Of The Bewildered Bee. Un altro collegamento con il sassofonista afroamericano sta nella presenza del batterista Bill Elgart, uomo di punta del jazz statunitense d`annata, che a suo tempo ha fatto accoppiata ritmica proprio con Gary Peacock.
Altrove, quando Baars impugna il clarinetto, è invece il profondo lirismo di Steve Lacy che fa occhiolino da bordo campo.
Se fosse tutto qui plauderei alla grande lezione di storia, razionalmente molto coinvolgente, ma il CD offre anche qualcosa di più.
Robe come Zephyrus e Boreas, con Baars impegnato al flauto giapponese di bambù (shakuhachi), coinvolgono anche emotivamente con le loro atmosfere notturne `zeppe` di paraconcretismi da quarto mondo.
Infine c`è Eurus, gemma incastonata nel tempo, con le atmosfere dilatate, i suoni lunghi e il fraseggio ridotto ai minimi termini, dove le linee melodiche sembrano seguire percorsi propri per intersecarsi armonicamente, secondo un concetto armolodico tipicamente colemaniano ancora difficile da comprendere (probabilmente lo stesso Ornette Coleman non l'ha mai compreso appieno). Potevano intitolarla Song For Our Successors e non avrebbe fatto una piega.
Un`osservazione out per chi come me vede nei Paesi Bassi una sorta di Terra del Bengodi per l`improvvisazione: se un disco simile, registrato in studio nell`Ottobre 2011, ha dovuto fare un`anticamera di ben 2 anni, nonostante la garanzia rappresentata da un nome ormai affermato qual è Ab Baars, vuol dire che anche da quelle parti inizia ad esserci qualche problemino.
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