Puntiamo nuovamente i riflettori su “Solar Ipse” che, in realtà , non è tanto un`etichetta discografica quanto una fanzine che occasionalmente pubblica anche qualche disco.
Si tratta quindi di una situazione nella quale, al fine di effettuare una pubblicazione, deve esistere una forte motivazione e dalla cui porta, di conseguenza, difficilmente se ne escono materiali di semplice routine.
Ciò vuol dire qualità , come abbiamo già osservato recensendo “Ujamt / Harmony Hammond” di Nils Rostad, una dote che confermiamo anche in questa occasione.
Per inciso: se preferisco il CD di Rostad a questo è solo un problema di gusto personale e sono certo che molti lettori avranno sicuramente più a cuore le avventure di questi due artigiani teutonici.
“Hornbread” è infatti un`autentica primizia, discograficamente parlando, dacchè la collaborazione fra Meertens (chitarre elettriche percosse con archetti) e Durand (strumenti a fiato autocostruiti e altre mercanzie speziali) iniziò quasi 20 anni fa, e le stesse registrazioni qui proposte risalgono agli anni 2003-04 / 2007. Il disco, piuttosto variegato, non è facile da inquadrare, ma può sicuramente piacere a chi segue il minimalismo chitarristico di bestie come Oren Ambarchi, Alan Licht e Michael J. Schumacher, per fare dei nomi, ma anche a chi è appassionato di materiali extra quali le musiche dei nativi australiani, dei monaci tibetani e/o degli sciamani siberiani.
Ancora una volta, quindi, la Solar Ipse presenta qualcosa che si pone molto al di sopra della semplice curiosità e va a coprire la produzione di artisti poco (o per nulla) trattati nella pur consistente mole di uscite discografiche che inquina quotidianamente il pianeta.
Caso mai vorrei aggiungere due parole sull`attitudine della Solar Ipse, che pur piacendo mi sembra destinata a soccombere su più fronti: da una parte quello rappresentato dalla crisi del mercato discografico e dall`altra quello rappresentato dalla concorrenza agguerrita delle numerose piccole etichette, a causa della quale questi CD rischiano di disperdersi all`interno di un oceano d`uscite spesso men che mediocri. Mi chiedo: ne vale la pena?
Non sarebbe più utile concentrarsi sulla rivista e pubblicarla con un CD allegato, non una cosa a cazzo di cane come quelli inclusi in una rivista modaiola come The Wire ma una compilation legata agli argomenti trattati come una volta faceva la superba “Banana Fish”.
E comunque, a esser sincero, non so quanto il mio consiglio può essere buono, dal momento che “Banana Fish” ha già da tempo chiuso i battenti.
Tempi duri per tutti.
In bocca al lupo.
Ps: Le note diramate dall`editore consigliano un ascolto in cuffia che, data la mia idiosincrasia per gli auricolari, non sono riuscito a effettuare.
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