La tentazione di uniformarsi alla filosofia della label dei genovesi St.ride facendo una recensione di soli tre punti di sospensione o ancor meno, lo confesso, l`ho avuta. Sarebbe però stato un peccato, perchè in fondo avrei liquidato della buona musica che merita un buon commento. A mio avviso meriterebbe anche una buona o quanto meno decente copertina, dato che pur in qualche modo apprezzando la scelta dei due di non mettere alcuna nota nè titoli dei brani e neppure autore, di fronte alla pochezza della confezione, a onor del vero semplicemente brutta, non posso che storcere il naso.
Cerco dunque di non soffermarmi troppo a lungo sui commenti rispetto a questa scelta (in realtà non così nuova, vedasi ad esempio parte della vasta discografia del simpatico Der Blutharsch) per passare alla musica, ancora una volta una sorpresa per chi ha già gustato i precedenti lavori dei non prolifici St.ride.
Soprattutto rispetto all`apprezzatissimo “Piume che cadono” questo coacervo di rumori di stampo industrial, tra chitarre distorte, voci spezzate, ritmiche sommesse e brutalmente scomposte, azzera ogni tolleranza verso la quiete. Sono evidentemente cambiati Edo Grandi e Maurizio Gusmerini negli ultimi anni o mesi, hanno accumulato rabbia, tensione, forse tristezza, e le hanno sfogate e messe in musica con spirito libero, "cuore, cervello e viscere buttate lì, in padella", come afferma lo stesso Gusmerini. La cosa deve aver preso loro la mano, poichè in tutto il disco quasi non c`è un attimo di respiro, di tregua. Nonostante quello i suoni sono curatissimi (pare che per registrare Trasporto animali vivi, breve rabbiosissimo rantolo per chitarre iperdistorte da far venire in mente “Knee and Bones” dei Controlled Bleeding, ci siano voluti trenta takes. Ed in effetti forse in questo sta il valore vero del disco, che ad ascolti superficiali potrebbe sembrare l`ennesimo prodotto noise, dove in realtà è lontano anni luce sia dai già citati primordi industrial, sia dalle nuove generazioni à la Wolf Eyes e compagnia bella, votate ad un edonismo del rumore da cui le cervellotiche strutture degli St.ride sono aliene. Forse più vicino è il japanoise, vista anche l`imprevedibilità `free jazz` di certi pezzi che fanno quasi pensare al giardino delle torture dei Naked City. Ado ogni modo, per capire cosa ci sia sotto agli sfaceli distorti si ascoltino la conclusiva Scoria lirica o la raffinata Finta di niente, unici momenti di pace e di vicinanza ai precedenti dischi: il suo claudicante procedere è nascosto anche tra le rumoranze degli altri brani, rendendoli in questo modo molto meno convenzionali di quanto possa sembrare, anche perchè la qualità dei suoni è eccelsa.
Complimenti di nuovo al due genovese, ed un sincero augurio di ritrovare la pace al più presto. Cadranno di nuovo piume e non lamiere.
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