Gli Airportman sono uno dei miei gruppi preferiti, non lo nascondo di sicuro. Nel loro genere, in Italia, qualunque genere sia (forse un folk-rock acustico progressivo?) direi i migliori che conosco. Non c'è un singolo disco, nè tra quelli degli esordi, nè tra le ultime prove più virate verso il pop (vd. le cover di "Weeds") che non mi piaccia quasi in toto.
Ma ci fosse una volta che quando ne ascolto uno non mi ritrovi ad un certo punto a scuotere la testa sconsolato al pensiero di quanto ancora più bello potrebbe essere. Non mi riferisco a questioni artistiche, ovviamente, e neppure tecniche in senso strumentale: sotto questi punti di vista i tre potrebbero avere da insegnare a schiere di musicisti, figuriamoci a me. Mi riferisco alla produzione dei loro lavori, ossia alle tre fasi base per realizzare un disco: registrazione, mixaggio e mastering (sull'arrangiamento ne sanno a pacchi).
Quel che voglio dire è che, nel caso di questo disco ispirato a "La strada" di Corman McCarty, ma anche in altri, troppo spesso la meraviglia delle melodie, delle soluzioni stilistiche e ritmiche, delle idee, degli arrangiamenti, si perde almeno in parte in una registrazione povera, in un mixaggio buono ma migliorabile e infine in un mastering praticamente nullo.
Ho chiesto a Giovanni Risso, chitarrista e in parte mente del gruppo delucidazioni, ed egli stesso ammette che, in particolare per il disco in questione, si son volute consciamente privilegiare l'immediatezza e la spontaneità della musica a discapito del prova e riprova, del multi-traccia, della postproduzione, di tutto ciò che può venire dopo.
La scelta è condivisibile o meno, ma il dubbio che essa sia dettata più dalle contingenze della vita, ossia, detto in parole povere, tristi e miserabili, dal fatto che i tre per vivere facciano altro, è probabilmente fondato. Prima ch'io parta in una filippica fuori luogo sulla debole condizione dell'artista negli anni zero, mi sia permesso di dire che è semplicemente un peccato che musicisti come questi non abbiano la possibilità di esprimersi nella ricchezza di mezzi e di tempo che meriterebbero, fermo restando il fatto che la gloriosa Lizard continua a fare un ottimo lavoro nel permettere comunque alla loro musica di girare ed essere ascoltata. Perchè ne vale davvero la pena.
Finita questa patetica digressione, posso chiudere finalmente dedicando due parole a questo lavoro, un riuscitissimo concept sul suddetto libro, del quale le musiche qui riprendono con efficacia l'atmosfera opprimente ma profondamente umana, lo spaesamento quasi rassegnato, la ricerca di un segno di vita unitamente alla ricerca interiore. Così le note guidate delle chitarre acustiche ed elettriche attraversano un flusso di suoni variegato e continuo (una sola la traccia nel disco) e trafitto da note distanti di violoncello e sax. Chiude una lettura, in inglese, con un breve estratto del libro, desolante e svuotato come il mondo che abbiamo ogni giorno di fronte.
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