Sono più o meno due lustri che questa musicista francese pubblica i propri dischi avvalendosi di svariati alias e il suo successo di pubblico non è certamente proporzionato all`alta qualità delle sue produzioni. Pur nella consapevolezza che non saremo certo noi a portarle quel successo che si merita vogliamo, con questo top, dare il nostro piccolo contributo per farla uscire da quel limbo nel quale la troppo squisita raffinatezza delle sue proposte l`ha confinata.
“A Little May Time Be” suona `meccanico`, nenie innocenti che possono far pensare ad una passeggiata nel lungosenna o in un giardino nipponico, alle atmosfere presso una corte europea del XVIII secolo o, più semplicemente, al carillon che stava sopra al canterano delle vostre nonne. Sono miniature fragili e delicate, costruite con campioni di suono strumentale (sicuramente una chitarra) e, talvolta, con flebili voci e con batterie elettroniche. La musicista gioca con la tecnologia così come, a suo tempo, un Derek Bailey giovava con le corde della chitarra, e l`immagine dell`improvvisatore inglese chiuso nella sua camera, con un computer a disposizione e retrocesso ad uno stadio infantile (seppur provocatoria) può essere ben calzante e veritiera.
La Laplantine ha voluto dare al disco anche l`aspetto di piccolo oggetto d`arte, e i 23 titoli sono calati in altrettanti, e più, spicchi di silenzio della durata di pochi secondi. Tali spazi vuoti servono un po` anche a creare séparè di uno o più brani similmente modellati. Ma anche tali spicchi non sono sempre coltivazioni di silenzio assoluto e, quali microscopiche oasi, è possibile incontrare al loro interno scampoli di suono parassita.
“A Little May Time Be” è un disco superconsigliato, particolarmente a coloro che apprezzano da sempre la sobria eleganza femminile di artiste quali Sawako e la prima deliziosa Susanne Brokesh. Per gli altri il solito e banale `non sapranno mai cosa si perdono`.
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