Partono bene anche qui gli americani Artifact Shore, con Global Groove che, appunto, ha un groove che spacca sul quale una voce enfatica si erge in un inno di grande impatto. Si perde purtroppo un po` con il susseguirsi delle tracce, di minore efficacia, costruite spesso su una batteria `vera` ma dai riflessi sintetici (un sound vicino a quello dei Cure del periodo “Disintegration” per intederci), sulla quale il cantato di Ben Pagel declama inni dal sapore new wave. Anche il sax, novità nell`assetto del gruppo, richiama a quegli anni e a uno stile forse davvero un po` à la Porl Thompson. Ma non solo di Cure si sono nutriti i nostri, perchè il tocco di elettronica e le melodie vocali richiamano senza troppa vergogna anche i Depeche Mode o altri artisti di quella (amata) risma, perfino di Clock DVA `decaduti` di “Sign”. Il disco in definitiva non è affatto male, ed ha tra i suoi pregi quello di non essere troppo pretenzioso (da lodare ad esempio la breve durata dei brani, mai oltre i quattro minuti), ma se ricordiamo le prove precedenti, per le quali citavamo SPK e Joy Division, e soprattutto riscontravamo un`invidiabile urgenza comunicativa, la virata pop di “Instruments for the Devil” (seppur con i suoi momenti sperimentali, vedi le svisate elettroniche della titletrack o le dissonanze ambient di Any Pattern, Any Shape) non ci convince del tutto.
Ad ogni modo, un gruppo che qui da noi non conosce nessuno ma che non faticherebbe a trovare meritati proseliti. Teniamoli d`occhio.
Molto bella l`astratta grafica della copertina, sebbene non ci sia dato sapere molto del packaging a causa del promo digitale ricevuto (lo sappiamo, le spedizioni dagli USA costano...).
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