«Non lo vuole recensire nessuno perchè dicono che è troppo corto». Queste le parole di Pierre “Aposiopèse” nella mail in cui mi dice che m`invierà questo valido EP dei Fago.Sepia, già (ben) recensiti su queste pagine tre anni fa. Non molto è cambiato rispetto a “L` me sure ruse mal”, e quindi potremmo riutilizzare le stesse parole di allora: «una musica fresca, brillante, vitale e articolata, sapientemente tecnica ma che non straborda mai nel virtuosismo, e mantenendo un forte sapore pop». Forse sono pure perfino ulteriormente migliorati tecnicamente, ed il loro math rock s`impreziosisce di cambi di tempo e passaggi imprevedibili, mantenendo sempre quella godibilità di cui sopra. Vorrei vederli dal vivo, ed ascoltare presto il loro prossimo disco a piena durata.
Nota: parte del fascino dell`EP è certamente data dalla bella confezione e dal disco in vinile trasparente, che giustificano anche la breve durata del lavoro.
Curiosa confezione anche per il disco di Julien Beau, dischettino 3” racchiuso nella plastica di solito riservata ai (rari) mini-DVD. Si tratta in questo caso di un lavoro di tutt`altro genere, che parte tra field recordings (classici tuoni), un violoncello strapazzato e qualcosa che assomiglia ad un gamelan: niente di particolarmente nuovo anche qui, ma l`amalgama è riuscitissimo ed il brano in equilibrio perfetto tra sperimentazione e fruibilità , melodico il giusto e ruvido quanto basta per renderlo particolare. Ci va giù poi un po` più duro nelle tracce seguenti [sulla confezione ne sono segnate due, dai titoli kilometrici, il lettore ne individua invece tre], con dissonanze, accenni glitch, sibili persistenti ed ancora suoni di oggetti. Nel complesso una buona prova, forse un po` priva di un filo conduttore.
Ancora più minimale la bustina che contiene un altro 3”, edito nel lontano 2004 ma giunto a noi solo ora, il cui titolo sono solo le durate dei due lunghi brani che lo compongono. L`autore è il chitarrista dei Fago Sepia ma usa l`appellativo di Mha, che suona un po` come un perplesso interrogativo e un po` come una parola giapponese. Forse allora non è un caso che sia Sawako il primo nome che viene in mente nell`ascoltare i droni rarefatti e ricchi di armonici che aprono il disco, a cavallo tra un`ambient dai toni rasserenanti e lievi dissonanze che potrebbero rimandare anche a campioni del genere quali Basinski o Mathieu, sebbene nella seconda traccia la presenza dei synth si faccia più massiccia e rimandi più a Peter Namlok.
Lavoro assai gradevole, a tratti lirico e quasi commovente, soprattutto quando sui droni ammantati di delay intervengono i tintinnii di un glockenspiel o l`aprirsi e chiudersi di una porta. In mezzo ai tre mini del lotto è senza dubbio quello che più apprezzo.
Nel complesso, la francese Aposiopèse si dimostra un`etichetta discontinua ma coraggiosa, capace di svariare in territori lontanissimi ma mantenendo un grado di qualità molto alto. Non sarà facile seguirla se continua a procedere per passi alterni e imprevedibili, ma è purtroppo il destino di molte etichette affidate all`entusiasmo di un unico proprietario/manager/promotore/tuttofare.
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