Era ovvio che un album basato sul tema della noia - galattica - centrasse la propria esistenza sulla commistione di scenografie notturne e sulfuree, intimiste e melanconiche, frammentate e tenui come la luce di una candela.
In ogni modo va detto che una sigla quale La Blanche Alchimie, arrivata al secondo disco con tutta calma, custodisce proprio dalla nascita tutti quei caratteri estetici di stampo soporifero e meditativo che portano verso un cantautorato sdraiato completamente su climi moderati, sofisticato e bohemien, dove la dolcezza degli ambienti incantati viaggia e si avvicenda con inflessioni più aguzze e scorbutiche. La scelta di svelarsi nudi e scarni parte proprio dalla formazione, come sempre adagiata sulla vocalità ovattata di Jessica Einaudi e sul polistrumentismo di Federico Albanese.
Ed è così che s`incontrato riflessioni sedate da un`elettronica che ricorda i Portishead, ma con un accento più acustico e romantico (Black Girl, la splendida carica soul di Temples Burning, chiazzata da impercettibili richiami blues); disquisizioni a metà tra il neo-folk e il pop (la tersa liricità di Galactic Boredoms, l`alone decadente posato su Blackberry Lips dai soffi acuti di un violoncello); flashback fin troppo lampanti del primo Yann Tiersen (il giro di piano e gli arrangiamenti giocattolosi su Fireflies); spinte verso il rock dei Mazzy Star (Cellar Disco Club, il giro di boa del basso scandito come ovatta in Spell On The Hill) che si bloccano, estasiate, di fronte a bucoliche fioriture folky (la gracile amabilità primaverile di My Ear is a Shell); arrangiamenti talmente ingentiliti da poter evocare lo spettro di un madrigale inglese d`altri tempi (The Sound of Marbles).
Un lavoro delicato e signorile!
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