Dopo il debut "Reflections on Black" prosegue con tenacia il flirt creativo fra Andrea Marutti e Giuseppe Verticchio sotto il sognante segno degli Hall of Mirrors con un altro full lenght di pregiata dark-ambient dove presteranno servigio anche Andrea Freschi e Andrea Ferraris. L`opening di The Crossing ci fa precipitare all`istante in un magma di drone e dissonanza, alleggerito al suo centro dalla presenza di field recordings naturalistici e acquosi (farina del sacco di Freeschi) che ben si adagiano al via vai etereo delle sparute note emesse dalla chitarra del Verticchio; parlerei serenamente di un`ispirazione che attinge, tout cour, all`estatica fonte del maestro Paul Schütze, sfiorando qua e là obnubilanti retaggi post-industrial. Seguitando il cammino verso l`infinito, con Gates of Namathur, l`aplomb degli HoM di danzare con la volontà di potenza dell`oscurità è cosa ormai assodata, ma a tale disegno va aggiunto un trasporto parallelo dei nostri per i suoni primordiali dalla consistenza etnica, intercettati nel catacombale e discontinuo vagito di un flauto tailandese, la cui enfasi accresce di minuto in minuto grazie anche alla filigrana elettronica inerpicata dagli inferi. Decadent Splendour è un titolo, poi, che si sposa a meraviglia col climax del brano: un tragitto di decadente espiazione esistenziale introdotto dalle fosche iniezioni delle chitarre tramite un effetto scivolante che ricorda non poco lo slide, e che al suo termine le vedrà risucchiate da un grigiastro motorik percussivo sceso a patti col martial. E se il diletto per un bilinguismo fatto di estasi e rumore irrompe puntuale anche in Among the Ruins, alternandosi tra retrogusto organistico e power frequencies tracimanti nell`harsh, The Fortress disimpegna la propria spiritualità attraverso l`uso della melodia con docili arpeggi in lontananza su cui s`infrangono temperate pulsioni ritmiche di stregata fattura ambientale.
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