Avevamo liquidato il precedente lavoro dei bravi giapponesi con un occhiello che, rivisto adesso, mi fa rendere conto di quanto a volte si sia impietosi nel giudicare i lavori altrui. «Buona tecnica ma senza fantasia» era stato un giudizio dettato dalla (personalissima, lo ammetto) antipatia verso i virtuosi che sembrano, forse inconsciamente, rinunciare alla ricerca di una musica espressiva perchè troppo concentrati su arzigogoli tecnici frutto di anni di studi e gran talento. Ebbene, forse anche in virtù di una produzione più attenta (c`è dietro quel fottuto genio di John McEntire, uno che ha sia tecnica che cuore) i quattro virtuosi giapponesi realizzano un disco splendido, dove i tecnicismi (cambi di tempo, stop and go, ritmiche composte, intrecci melodici...) non sono fini a sè stessi ma splendidamente emozionali. Ecco che la quasi samba di Image Game (a uno dei link riportati sopra trovate il video, semplice semplice e particolare perchè non si vedono mai le facce dei musicisti) ha delle venature malinconiche ma al tempo stesso sorprende battuta dopo battuta per le sorprese ritmiche e puramente creative. Ottimo poi l`uso di un`elettronica - assente nei dischi precedenti - ma che qui (forse ancora complice l`americano) spunta dove si deve a impreziosire ancora di più il tutto (e anche in un`intro brevissima ma di sognante bellezza). Il suono del synth si fa forse eccessivo negli attacchi davvero tamarri di Ten Millions Rainbows, roba che manco i Trans Am più caciaroni avrebbero fatto, ma alla fine quando affonda tra bassi, batteria e chitarre anche il sintetizzatore trova il suo perchè perfino nei tratti eighties di terrificante pathos kitsch di The Sun Sank.
Chiude, come per il disco precedente, il brano più bello: una commovente Vermillion che con le sue chitarre acustiche, gli assoli elettrici epici e la batteria che rotola sui tom metterebbe d`accordo i fan dei Cure con quelli dei Dream Theatre. Forse. Sui secondi non garantisco. Me ne tengo alla larga.
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