Ci han messo un po' i Farabrutto a pubblicare il nuovo album, ben sei gli anni di distanza dall'esordio, sempre in casa Freecom/RaiTrade. Di questi tempi, per tempi simili, non sembra esserci spazio. Invece Freecom ha continuato a crederci, loro non si sono disuniti, e dopo una peregrinazione in ambito teatrale (terreno che si intuisce essergli congeniale), rieccoli alle prese con dodici nuove canzoni certamente non votate all'immediatezza e con la precisa intenzione di non finire nel calderone dell'usa e getta.
Un progetto molto ambizioso ed estremamente coraggioso, che nasconde diversi strati di immagini e contenuti.
Alla guida e firma dei brani del terzetto veronese è sempre Luca Zevio, chitarra classica ma soprattutto voce limpida e orientata verso uno stile narrativo, attenta a non abusare del proprio talento (giusto un paio di db in meno non avrebbero guastato se proprio vogliamo essere pignoli) e capace comunque di melodie molto efficaci. I brani pur mantenendo una stretta parentela con le rotte già percorse da Marta sui Tubi o Virginiana Miller tanto per citarne alcuni, vengono subito gettati in pasto alle intelligenti elaborazioni musicali dei soci Sorgato (sue le pregiatissime incisioni seventy tralaltro mica suonate con una dodicicordedoppiomanico ma con un mandolino elettrico distorto) e Sbibu (batteria), che spaziano con disinvoltura dal progjazz Crimsoniano a libere improvvisazioni ora confinate in coda a qualche brano (per esempio Con le gambe mie), ora capaci di reggere interamente i quattro minuti di uno stralunato e smarrito lamento (ascoltare Contenimento, forse il brano migliore di tutto il disco). Non si nega nemmeno un tuffo nelle sonorità di quei Litfiba degni di nota che faceva piacere assimilare a Diaframma e CCCP.
Non è il migliore dei mondi possibili quello raccontato da Zevio; il disincanto di Girasole, brano d'apertura, ci descrive gli amari ingredienti di una comune esistenza con allegato kit di bieca sopravvivenza. La solitudine è sia condizione essenziale che dramma di emarginazione: l'incomprensione si fa pazzia in Gioia, e il bisogno di comunicare diventa gabbia per sognatori (Danza). E` il cinismo a dettare l'agenda e a scandire il calendario delle emozioni nel surreale minuto di silenzio che taglia in due la spensieratezza di una comitiva in gita (Guerra).
La testa concentrata su questo disco mi suggerisce un aggettivo su tutti: intelligente. Ottime idee, esecuzione pregevole, un bel gusto nell'assemblaggio: tutti bersagli centrati. Ora sarebbe bello anche veder puntare un po' l'attenzione su questa band, ma questo è un altro discorso.
“Di questi tempi si può anche vivere contenti...ma poi...”
|