Con i due precedenti dischi da me recensiti su queste pagine digitali, rileggendo ora le mie critiche, mi rendo conto di essere stato severo quanto lo era la mia prof. di italiano e latino del liceo (se ora mi legge sfogherà la penna rossa sullo schermo del PC?): restai basso, elogiando la musica ma sottolineando senza pietà i difetti (alcune tracce fuori luogo, una produzione imperfetta). Mentre con me la tattica di sprono severo non funzionò mai (mi beccai più volte gli esami a settembre), con gli Airportman ha sortito effetti sorprendentemente positivi.
Ora: messe da parte le mie onanistiche elucubrazioni e considerato come forse Risso e compagni se ne possano lecitamente fregare di quanto scrivo, va detto con molta semplicità che “Letters” è un disco fantastico, equilibrato, ben registrato, ben arrangiato, omogeneo, misteriosamente accattivante nonostante la tristezza che evapora dai suoi solchi. Mentre per i precedenti si disse che potevano essere ascoltati in mille momenti diversi, con pioggia e sole, leggendo o parlando, oppure in rigoroso silenzio, con “Letters” consiglio una certa precauzione. Non è musica da cena in compagnia, non è sottofondo per un viaggio da pendolari. La sua natura quasi narrativa, strutturata non forse proprio come lettere ma come capitoli di un libro, trascina o meglio accompagna, affianca l`ascoltatore lungo strade solitarie da paese di mare colto nella spiazzante solitudine invernale. Lo sticker posto sulla più che minimale copertina, raffigurante alcune case travolte da una marea biancastra, rende bene ciò che vi aspetta, una volta intrapreso questo viaggio tra chitarre acustiche mai di maniera accarezzate da archi sommessi o respiri umani (2 e 5), strumenti (forse a fiato) non meglio identificati a costruire tappeti melodici in minore (4) e note elettriche in punta di polpastrelli (1). Non mancano sortite di ritmi elettronici minimali e accenni noise, brevissimi e spiazzanti, ma è il pianoforte della lunga suite 6 una delle novità rispetto al passato, con i suoi nove minuti in lento incalzante divenire, il cui unico parallelo che può affacciarsi alla mia mente è l`immenso “The Wind is Strong” dei Cindy Talk, per il suo mescolarsi dolcissimo e struggente tra noise chitarristico perso in riverberi e pianoforte quasi classico.
Chiude 9, con un fischiettare di sottofondo, con i field recordings, con la pianolina lo-fi, con una ritmica che non è più acustica nè elettronica: non importa più, tanto i suoni sono ben amalgamati e misurati.
Gli Airportman sono senza dubbio uno dei miei gruppi preferiti e, seppur non giovanissimi, in continua ascesa artistica, tanto che auguro loro ogni possibile successo. Ora mi fermo però, che rischio di andare fuori tema e se mi legge la prof. del liceo consuma la penna rossa.
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