`Collected Works´ // `We could for hours´ // `Thoughts melt in the air´ // `Crash test one´

Autore disco:

Valerio Cosi // Valerio Cosi & Fabio Orsi // Valerio Cosi & Fabio Orsi // Noise trade company

Etichetta:

Porter Records (USA) // A silent Place (I) // Preservation (USA) // N-Label (I)

Link:

www.porterrecords.com

Formato:

CD

Anno di Pubblicazione:

09 // 07 // 09 // 08

Titoli:

1) I wanna be free 2) Making love in Lhasa 3) Silver stars and golden moon 4) Harmonia Raag 5) Hoboland 6) O ngoko 7) Lovely bluem cream 8) Interstellar trane 9) Mozambico 10) Love is everywhere // 1) We could for hours: Part One 2) Cold fusion (in our fingers) 3) Pink sleep blood 4) we could for hours: Part Two // 1) The frozen seasons of Lysergia (Part One) 2) Thoughts 3) Melt in the air 4) The frozen seasons of Lysergia (Part Two) // 1) NTC: BUY THIS ONE 2) Waste your life (be an artist) 3) NAG NAG NAG 4) High resolution chaos (Set one) 5) Nineteen seventy eight 6) GHOST RADIO 7) Feel the beat (you can) 8) News from the past 9) High resolution chaos (Set Two) 10 ) STUPID DREAMS

Durata:

47:38 // 38:28 // 49:02 // 41:42

Con:

Valerio Cosi, Fabio Orsi, Gianluca Becuzzi, Chiara Migliorini, Paolo Cillerai

Alcuna geografia del disastro

x Salvatore Borrelli

Valerio Cosi e Fabio Orsi hanno delle personalità molto differenti, quasi antitetiche, ma profondamente calamitate e biunivoche. Il primo appartiene ad una scuola “post-tritatutto”, ad una “generazione anni zero” ed ha attraversato in maniera spregiudicata e decapitante una serie di circuiti che trovano il punto di condensa nel cosiddetto “free” (sia esso quello marcatamente jazzy, sia esso quello avant-folk o post-krauto), approdando ad una irreversibile dose di sfrontatezza. Il secondo, dal suo primo capolavoro Osci, è stato in grado di impostare una marca, mi verrebbe benevolmente da dire un “monologo”, quantomeno singolare, sia per la sua profonda coerenza, che per la natura decisamente nostalgica ed emozionale del suo repertorio. Che i due s'incontrassero, vuoi per la posizione geografica, vuoi per la “novità ” o per il fatto di avere un territorio fraterno comune, questo lo si sapeva da un pezzo. Il Cosi è sempre stato poco disciplinato, oltranzista, visionario; partito da uno spargimento a sangue di diversi cd-r, ha poi poi canalizzato la sua dose produttiva in materiali sempre più congeniali; mentre la violenza e l'esplosione del primo, l'Orsi le ha sempre attenuate, ordinate, basandosi almeno fino a qualche disco fa su una poetica più “astratta” e lirica, rilassata ma non per questo meno minacciosa e perversa. I preziosismi del Cosi sono di natura “casuale” ed appartengono ad una natura bastarda, a tratti feroce come quella del free; mentre la grandezza dei dischi di Fabio Orsi è sempre derivata dagli intarsi melodici, dovuti alla sua sensibilità armonica, e da un gusto tipicamente romantico di fare musica. Ma i due, forse a distanza, forse ognuno nel suo spazio a riccio appena appena aperto per far sbucare l'altro, hanno “coprodotto” una sorta di “Trilogia” di cui questi due sono i primi due capitoli della serie.

Sia Fabio Orsi che Valerio Cosi negli ultimi tre anni, hanno prodotto una quantità di dischi impressionante, il cui numero potrebbe non a caso far nascere diversi dubbi sull'effettiva qualità dei lavori stessi. Nel panorama italiano, a parte le discografie piuttosto sterminate dell'Afeman, non mi vengono in mente, episodi del genere. Consideriamo che tutte le etichette più importanti in circolazione hanno in catalogo uno ed anche più d'uno dei loro lavori, la cosa è presto detta: o si tratta di un abbaglio collettivo, o di un momento di particolare attenzione, o di una vera e propria bravura attribuibile solo ai suoi autori. Certo verrebbe da chiedersi perchè ogni operazione recente dell'Orsi debba sconfinare in una “Trilogia” annunciata; oppure in che senso “il territorio” possa essere un topos (in questo caso la Puglia definita “il Profondo Sud” come possa somigliare anche lontanamente parlando alla musica che registrava e studiava Alan Lomax). In effetti le “trilogie” potrebbero pure servire a dare una continuità ad un lavoro che non si vuole affatto “stornare” e così la toponomastica sudista potrebbe scannare e ritorcersi come un boomerang sulla musica stessa; ma proprio per queste ragioni, se vogliamo il “colpo basso” lo riceverebbe il suo autore, e nessun altro al posto suo. Così come si potrebbe ammaliziare attorno all'età del Cosi, che troppo spesso dall'autore stesso, sembra sia stata usata come un “esotismo temporale”; ma sono certo che se anche il Cosi avesse avuto il doppio dei suoi anni, avrebbe registrato e suonato allo stesso modo, e non sarebbe cambiata una virgola nella sua musica. Quindi bando alle ciance occupiamoci subito di Collected Works, ad opera del solo Cosi.

Si tratta di un disco “compilativo” che raccoglie un arco temporale di tre anni partendo dal 2005. E` un lavoro completamente rimasterizzato (ha una qualità straordinaria, in sostanza suona da Dio). I materiali recuperati includono brani presi da “Immortal attitudes”, originariamente in una manciata di copie sulla scomparsa Foxglove, da “Freedom Meditation Music v. 1 - 2 - 3” rispettivamente su Students of Decay, Oneiros Recordings, e Ruby Red Editora. Ci si chiederà , in tempi come questi, che senso abbia recuperare di un autore prolifico, vivente e giovane, e pienamente produttivo, una serie di materiali ed inserirli all'interno di un'unica produzione? La ragione è sostanzialmente una: la sua qualità : si tratta di un lavoro straordinario, coerente. “Hoboland”, che è un omaggio a Michael Rother, è un crocevia tra Tortoise, Gas e Bretschneider suonabili ad una festa spastica con alla console un Prurient disidratato; e vogliamo parlare degli slittamenti geometrici di Sax che sembrano stare sotto un pezzo di Peng degli Stereolab in “Harmonia Raag”? Silver stars and golden moon” se ne va tra confrofigure da plexiglass, oceaniche sciagure, interstizi pachidermici per poi sbriciolarsi sotto i riflettori di una folla parlante catturati in una giornata come tutte di un momento qualsiasi quasi sottoterra, con il sax, che s'innesta su un treno in fuga. E che dire di “Making love in Lhasa”? Vi basta uno sciame di pigmei che usano come karaoke la scena dell'armamento dei quattro protagonisti dello Zombi di Romero al supermercato, tra cui un redivivo Eric Dolphy, affiancati dai Laddio Bolocko che tengono il ritmo? Situazioni sostanzialmente atipiche, sempre giocate a tu per tu con ventagliate di materia che brucia e che squarcia altri mondi che si aprono tra questi spazi che di volta in volta raggruppano la materia precedente innovandola, ri-digerendola. Pensiamo a “O Ngoko”: sembra di sentire una sessione tra ABC e Pan African Orchestra ed anche nei momenti forse più scontati come “Lovely blue cream” c'è sempre qualcosa di stralunato (la pasta sunraniana, il basso quasi da tecno-music, il sax che si apre a pugni) che fanno la differenza. E poi “Mozambico”, che va avanti a colpi di frusta, di repertorio cannibale e che fa da mix indigesto in quell'altro grande materiale che fu il Pulga, la cui riuscita era tutta stabilizzata dalla capacità drogata e noise del Cosi di soppalcare corpuscoli allucinati di suono su suoni sempre frastagliati, ai limiti del dialogico. Ed in sostanza, per quanto il sax è lo “strumento” che il Cosi poterà con sé, che userà sul palco, questo sarà ben diverso da quei sax che usavano i suoi predecessori (che in questo disco sono citati anche richiamandoli da un sonno profondo: coniugi Coltrane, Sanders) perchè dentro c'è l'esperienza della “nuova corrente”, ovvero l'arte di tagliare, di smaterializzare, di usare gli strumenti astraendoli dalla loro timbrica, c'è un uso dei campioni prossimo al No copyright, un uso dell'allucinazione si direbbe.

“We could for hours” è il primo materiale, oggi alla seconda ristampa, organizzato tra Valerio e Fabio. Si tratta di un disco ascensionale, basato su distese di ambient angelico (?) quasi da autosintesi propagatoria, dove come delle intercapedini (vedi Cold Fusion) s'inseriscono degli innesti dronici che conferiscono “rottura” alla dinamica precedente per avviare nuovi trasfusioni conseguenti. Si tratta di codificazioni massicce che fanno esistenza a sè come fossero richiamate da flussi sanguigni da ying & yang, da fratture cellulari in cui il “philium macchiico” diventa l'agente d'attivazione ed il referente unico tra i due musicisti. In “Pink sheep blood” accade dello straordinario già nelle prime arpeggiate note di chitarra perchè si levano macchie, se non macerie, con un'istanza ultraterrena, cibo cosmico, movimenti primitivi, onomatopeici, e questo grande ritornello che si allontana da casa, o che finge di allontanarsene solo per ritornare nel buio pesto, senza più punti d'appoggio (trattasi di un pezzo leggendario che mai ritroverete in alcun disco di Fennesz). E` davvero singolare come in un paese come questo, dove i ricorsi accademici e jazzistici si dipanano attraverso la tradizione mediterranea (per il mediterraneo), si possa suonare così distante dagli appigli consolidati del “perfettamente” adattivo, cioè è innaturale, come sinfonie di tal genere, vadano convissute e trasposte in spazi così sinistramente diacronici, singolari, racchiusi come gli organi dentro una gabbia toracica di un acefalo, esclamativi ma senza che siano dirottatori, esaustivi ma senza che si stabilizzino nel mentale e vi restino. Con questo disco, appena due anni fa, che sono un'eternità inter-spaziale, l'Orsi ed il Cosi, dettavano le prime cifrature per un incontro più ambivalente ancora, ancora meno irregimentato e schiuso di questo. Il miracolo arriva quest'anno con il loro disco su Preservation. Le note della stessa sul disco forse dicono solo in parte l'aria che si respira: si fa riferimento ai This mortal coil, ed ai Cocteau Twins, si parla del periodo classico di Eno, ma forse solo il caso dei Popol Vuh è esatto. Io chiamerei in ballo più gente come Back to Comm o Datashock, certa No Wave di New York suonata però in Nuova Zelanda, oppure gente come The Fields e Lindstorm (vedi la seconda traccia), e cioè una nuova intenzionalità del beat, un nuovo sistema per dirottare tutto quanto, per scatenare l'ipnotica tensione, anche e finalmente partendo dalle grida (traccia uno), dal beat malandato ed infernale che si sente e non si sente, perchè è attraversato da una coltre di droga, di fumo, di sciame surrogato, di membrana parlante, di materia spastica, di elettrofusione, immaginazione proiettata, di specchi proiettati. E` un varco che non lascia fuga, o meglio una fuga senza varco, perchè tra tutto il materiale che c'è qua dentro, manca proprio il mare, ovvero mancano le insegne pubblicitarie del profondo sud, da cui questi materiali, per buon senso e comune pudore partirebbero; e cioè, ma qui veniamo alla luce di tutta l'operazione, a me non sorprenderebbe se ora in Africa qualcuno suonasse così, allo stesso modo di come invece trovo scontate tutte le questioni che si articolano attorno alla vicinanza di questa musica con il kraut-rock e similia, sia perchè qualunque articolazione che vada nel corpo della dissonanza massiva, o forse dell'allucinazione, somiglierebbe per sua connatura al kraut, e sia perchè qui, potrebbe esserci della krauta come c'è senza dubbio la mano di Otomo Yoshihide, o quella di un O'rourke intrappolato dentro un'ascensore, o la stessa che c'è in quella grande cazzata contemporanea che è la musica dei Sunn O))). Una cosa è certa: consiste nel fatto che meno mi sembra di ascoltare Cosi ed Orsi dentro queste note, e più ampio mi appare la strada che entrambi hanno davanti. La strada, da quello che leggo qui dentro è fatta di “scomparsa”, di “sparizione” e con questo voglio dire che oggi non c'è più tempo di “autorializzare” un disco, e cioè qui dentro non riconosco il Cosi dal sax, ma dalla sua emergenza istintiva, dolorosa, singolare e così non riconosco l'Orsi dal tentativo di melodizzazione delle armoniche con le classiche due ottave ad unisono sotto o sopra, lo riconosco dalla cura invece, che in qualche caso della sua sterminata discografia mi sarebbe pure apparsa “maniera” di dirottare mentalmente, quasi in modo subliminare, un disco che se ha forza e consistenza (e ne ha da vendere) la deve soltanto alla sua indifferenza con cui se ne strafotte dei generi, delle maniere e degli schemi. Credo in sostanza che dei due autori, questo in particolar modo, sarà il disco più incisivo ed attuale, allineato (ma senza rimanere riassunto) ai tempi che corrono. Un grande plauso.

Stavamo quasi cadendo nell'oscuro deliquio dei sensi, che le prime note di Noise Trade Company, ci hanno risvegliato da questo sonno senza più risveglio, da un REM che sarebbe stato troppo letale per il corpo. Esattamente: il corpo e la mente. Cosa sia “Crash Test One” è difficile da dire. Qui di corpo ce n'è tanto: motilità , sfrontatezza ritmica, esteriorità fotoscenica, così come c'è tanta mente intesa come operazione mentale, perchè se non c'è del marketing dietro ai materiali pubblicitari c'è nelle istanze da “They Live” carpenteriane dei titoli delle songs. Ma secondo me qui dentro c'è soprattutto un archivio, ovvero questo è l'Autodigest di Gianluca Becuzzi, che sapientemente rimane solo sullo sfondo, cioè qui dentro ci circola ma ci sta solo qui, nel senso che s'è stabilizzato dietro una veranda floreale, un po' malridotto (le foto lancio parlano di colli rotti, di operazioni in arrivo) ma per divertirsi pesantemente, perchè aveva bisogno come ogni buon lottatore di wrestling, di riaprire il sarcofago della sua giovinezza essenziale dalla posizione che gli è più consona, che è quella di essere un archivista, un trovatore di suoni, se non meglio un custode. L'aveva dimostrato nella trilogia insieme all'Orsi quando si trattava di recuperare il pre-war ma solo per limarlo in un contesto di rinascita della passione per il sottosuolo, per il sostrato. E con la stessa accezione da Bassifondi aveva dissertato i suoi presenti attuali ripescando il suo e l'altro con “Memory makes noise” (disco di cui ancora si sente la necessità e l'impeto). In sostanza, più per lui che per noi, Noise Trade Company è una palestra di passato, ma solo come dovrebbe essere il passato, cioè sobrio, giocondo, altrimenti diventerebbe paleontologia, e quindi cosa grigia. Questo disco non può stare su Gigolo solo perchè ne manca la sua componente gay, certo, se stesse lì, sarebbe ammazzato mille volte dai Crossover (unico vero paragone attuale) ma a noi questo non importa perchè non dobbiamo caldeggiarne l'acquisto, anzi, in un ipotetico divertimento globale, questo disco dovrebbe essere regalato almeno a chi in casa ha un trittico di Cabaret Voltaire, Clock DVA e DAF! Vi domanderete cosa ci fanno il Così e l'Orsi qui dentro, ancora più del suo titolare... la risposta è presto detta: da un lato si divertono, e dall'altro, azzeccano due grandi derive rumoriste in High Resolution Set, abituati come sono, ai doppi, ai tripli, agli schemi che non si chiudono mai. Per il resto, cioè per la giovinezza, ovvero per tutti coloro che sono nati alla fine degli anni ottanta, si consiglia questo lavoro qui, giusto per disabituare alle cronologie, agli storicismi, ai rimpianti, ai tempi andati.


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Data Recensione: 18/11/2009
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`Live at Novarajazz 2009´