Chi è Ninni Morgia?...Se non l`avete mai sentito ve lo dico io, infatti si tratta di uno che in una nazione un po` meno ingrata di questa (ed è triste che lo scriva io che oltre a non essere nazionalista cerco pure di fottermene di chi e cosa ha fatto e dove viva) qualcuno in più avrebbe appuntato nell`agenda di quelli che hanno assemblato una discografia di tutto rispetto. Se White Tornado, La Otracina ed una serie di collaborazioni con altri musicisti dell`ambito free americano vi sembrano poco, in tal caso parliamone, ma se siete giovani o la vostra memoria inizia a perdere colpi è giusto ricordarvi che i soli White Tornado garantirebbero al buon Morgia la stima ed il rispetto di molti che leggono queste pagine, in fin dei conti quando lui se la giocava testa a testa con Albini alcuni di noi si tiravano le prime seghe. Lo stato attuale delle cose vede il nostro picciotto ormai stabilente situato 'in the land of the free-ak' e arrivato a New York uno così con chi può entrare in combutta se non con Kevin Shea e il misconosciuto (almeno per me) Stuart Popejoy!?. Buffo che mi capiti di recensire questo disco e di ascoltarlo subito dopo "Hey!Tonal" che vede sempre Shea impegnato su coordinate che restano free-math ma più melodiche, indie per non dire quasi post-emo. Ma ritorniamo al siciliano e all`amico Popejoy, infatti cambiando gli elementi dell`intruglio cambia anche il risultato e che Morgia a fare il freak ci riusciva bene si sentiva già parecchi negli Otracina e così eccolo qui che va di melodia e di acidità sul solito batterismo sghembo di mister Storm and Stress e che viene sorretto da un basso che non riesco a capire se sia tenue come tocco o poco presente per una soluzione stilistica del mixaggio. La registrazione suona molto live nel senso più jazzy del termine, intendo dire che credo si tratti di live in studio tanto come lo era Coleman, ma nel chitarrismo di jazz ce n`è ben poco, come trovo che lo stile in un certo senso si sia evoluto parecchio dai tempi dei White Tornado e non solo per la mancata distorsione/ruvidezza della maggioranza delle soluzioni, semmai per il fatto che tutto risulti più acido, più intimo, più dilatato e soprattutto più narcotico. Direi che una delle cose che mi ha sorpreso fin da subito del lavoro è che sembri a suo modo molto morbido, stupisce pensando che gli unici due membri di cui conosco altro materiale sono due che quando c`è da snocciolare mazzolate vanno di cazzuolate così grezze che farebbero invidia ad un`impresa di muratori albanesi. Free-indie con folate dopo noise e figlie degli anni Settanta, ed il tutto fatto con un cuore ed un senso per la melodia e per la malinconia che mi ricorda molti musicisti che venivano da Louisville, probabilmente l`unico ed ultimo retaggio di un passato che lascia qualche segno anche se non troppi. A differenza di "Hey!Tonal" che finisce per essere un bellissimo disco molto di genere, pur trattandosi di un lavoro a facilmente inquadrabile, “The end of the empire” dimostra un`identità ancora più spiccata. In realtà non ha neppure molto senso mettere in parallelo i due dischi perchè pur trattandosi di materia free-form l`attitudine che li sottende è ben diversa a partire dalle premesse fino al target che nel caso dei the Right Moves mi pare molto più interiore e molto meno incline a cercare di lavorare il prodotto in funzione del mercato, si tratta più dell`istantanea di un momento di un gruppo che pur lavorando sull`improvvisazione lo fa in modo molto canalizzato all`interno di un contesto psych-rock.
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Il secondo lavoro partorito dal progetto The right moves riesce ad essere tanto minimale quanto denso nei contenuti. La chitarra di Ninni Morgia, il basso di Stuart Popejoy e la batteria di Kevin Shea imbastiscono un album in cui questi tre strumenti dialogano con lucida semplicità , senza bisogno del contributo di altre sonorità , costruendo uno scenario di improvvisazione psichedelica affascinante e coinvolgente.
Nonostante il forte carattere sperimentale di “The end of the empire” l`ascolto è fluido e continuo, grazie agli acidi scatti alternati a sciabolate noise della chitarra di Morgia e all`isteria ritmica di Shea, i quali riescono a confezionare il tutto dotandolo di una fortissima matrice rock, un agile motore che rende le tracce contenute in questo album capaci di colpire il bersaglio.
Le costruzioni dei The right moves si amalgamano così in tocchi ruvidi e ben calibrati, in un vortice psichedelico trascinante ed ipnotico nonostante i numerosi spigoli, frutto del lavoro artistico e dell`esperienza di musicisti dalle rare capacità ancora una volta ben rappresentate in questo ottimo disco.
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