Ribadisco che il caos del periodo che stiamo attraversando sia abbastanza interessante, a volte succede che gente come Torben Snekkestad si debba spedire i cd facendo un porta a porta come l`ultimo dei cazzoni indie, non dico che sia solo negativo, ma pur non essendo uno che ha tutto questo rispetto reverenziale per le “scuole”, resta che certa gente lavora seriamente e duramente per essere dove si trova e quando il risultato è proporzionato al lavoro che ci sta dietro dovrebbe essergli riconosciuto. Che il lavoro di questo musicista norvegese sia arrivato ad una profondità espressiva notevole risulta anche dopo pochi secondi di ascolto di “Conic Folded”, d`altro canto stiamo parlando di un musicista che ha avuto modo di sviluppare un suo linguaggio suonando con formazioni come il Copenhagen Saxophone Quartet, la London Improvisers Orchestra, il Trygve Seim Ensemble e gli Among Machines con Tomas Stonen. Al di là del curriculum, il jazz avanzato di Snekkestad alla fine fa emergere una sensibilità tutta scandinava che in un certo modo è ciò che impreziosisce molta musica proveniente da quell`area sotto ai ghiacci. Tutto molto smooth, pacato, contenuto, fortemente introspettivo, sarà per autosuggestione, ma direi che pur non andando troppo per traiettorie astratte la musica del norvegese rimane sempre in una zona dove si incontra poca luce, quand`anche si muove in direzione degli spigoli non si tratta mai di nulla di troppo fastidioso e credo che in questo abbia aiutato molto anche la registrazione calda. Balke e Westergaard, al piano ed al basso, si muovono davvero in punta di piedi e nonostante ciò non si finisce l`ascolto con l`impressione che siano semplici ausiliari di un lavoro in solo, nelle undici tracce contenute su questo disco i fiati si muovono su un impasto di cui soprattutto Westergaard cura molto le dinamiche. Tracce mediamente brevi, o comunque di lunghezze sempre piuttosto contenute, ma credo che l`intenzione di Snekkestad sia quella di dipingere una serie di immagini che compongano il disco come un unicum, infatti oltre all`atmosfera molto omogenea che ne emerge direi che l`impressione che rimane è quella di una raccolta di racconti come “cattedrale” di Carver. Ho trovato che ci fosse qualche minima traccia i Evan Parker o di alcune delle cose più sbilenche di Tim Berne ma si tratta di richiami molto lontani, la voce del norvegese è molto più sommessa, le tracce più scure, più velate, nell`economia del mixaggio i fiati non sovrastano mai gli strumenti di accompagnamento, nel quadro non si vedono troppo le singole pennellate e l`immagine risultate risulta come un lavoro collettivo. Un fondo di astrazione ed un velo di tristezza, un eleganza compositiva molto forte e nonostante tutto una musicalità ed un suono vellutato che ho sempre associato a molto jazz scandinavo.
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