Musica per interventi chirurgici, micro-interventi a corpo sveglio senza anestesia. Ti tagliano un braccio, ma le gambe si muovono, o ti trapanano il cervello ma sei sveglio e intatto.
Dall'altra parte, molto lontano, qualcuno fa qualcosa: parla in sottofondo, o annuisce; ma è musica per processioni carnivore, o per funerali contorsionisti o geopolitiche di pace e di riterritorializzazione magra di tessuti su tessuti. Le spirali sono dei corpi osceni che contemporaneamente trattengono e stridono, esulano le superfici della pelle con una chimica ancora più grezza di un corpo estraneo. Materiale di resistenza organica, intra-vaginale, materiale di tenuta. O di soccorso. O anche materiale stellare di termo durata, o collassi interspaziali, dove più cose vengono fagocitate dentro altre cose sempre in movimento o espansione o rigurgito.
La musica degli A spirale riguarda un po' questa oggettità . E` un decentramento pieno, in cui ognuno interviene, sparisce dietro la sua invisibilità e l'invisibilità stessa gioca a tre carte, e fa sparire altre cose che si sformano o si riformano, da altre invisibilità e che poi riappaiono. Una musica invisibile, e simmetricamente inghiottente; irta attorno a luminescenze; una musica ottava, e largamente ispida, che si frena solo per sfrenarsi nei ghiacciai dei cervelli, ma che quando rimane in forse, e resta a contagiarne il silenzio, contamina la materia come una valvola cardiaca che fa asse su se stessa e scintilla e fibrilla per pompare sangue e muscoli. E` questa la prima differenza tra questi materiali qui e tutto quello che avete finora sentito delle spirali.
Prima nozione A-Spirale. Lascia intatta il passaggio: ovvero dà per scontato che niente è da scontare e che bisogna passare su troppi cadaveri per far rinascere la materia deforme del suono. E quindi diventa un passaggio da guerra: elimina il free, senza lasciarne il jazz; si s-produce nella sfera erronea (vedi il colpo di tosse registrato nella traccia 4); tratta i corpi senzienti come si trattasse di metafore viventi. E dietro queste mastodontiche apparizioni tutte accennate si consuma il corpo malandato di un suono che si scioglie al fuoco.
Seconda nozioni A/Spirale. Musica utopica. Fatta per pianificare dei rigurgiti, o per rigurgitare e sventrare il corpo grasso di tanta materia jazzistica o di ingrassare tanta motoria improvvisativa, e deve, necessariamente pronunciarsi da sola come Utopia esente di lirismi. Far accadere la musica come sostanza senza che prima questa debba passare su altri enunciati o enunciazioni.Provate ad immaginare più persone che parlano, ed ognuno imita la frase successiva che deduce dall'altro: così si suona da queste parti! Enunciazioni che saltano, e che slittano dentro altre enunciazioni...
Terza nozione A/Spirale. Per sopravvivere un congegno del genere, ai nostri giorni, deve errare. Ovvero cancellare i suoi referenti che altrimenti diventerebbero la matrice e questi passaggi inventerebbero obbligazioni più che essere obbligatori. Cancellare Manuel Mota, cancellare Kevin Drumm (periodo First), cancellare Bhob Rainey o Alex Dorner per pronunciarli in un corpo solido ma privo d'argomentazioni. E cancellare qui non significa nè riscrivere nè tantomeno omettere: vuol dire solo che le cose fanno il loro corso quando i padri muoiono, e lasciano figli unici scapoli. Significa in sostanza non lasciare eredità . Gli A-Spirale passano attorno ai defunti o ai figli che sono diventati vecchi perchè devono invecchiare, cancellare o disperdere dei materiali che altrimenti lascerebbero ingombrare la musica stessa e per prima la loro.
Quarta nozione A/Spirale. Quello che si sente non è esattamente quello che si fa. E qui torniamo alla cosa nascosta, e più interessante. Maurizio Argenziano non suona più con le mani, ma con le spalle, lo stomaco e nell'immobilità pura che lo elimina dal corpo scenografico di un set per farlo apparire nel corpo mentale del mentale. Suona quasi senza toccare le corde, le sue mani restano a distanza considerevole dallo strumento. Non inscena gestualità ma Gestalt: fissa e neutrale; crudele e disperata. Una specie di corpo contundente che si avvicina al suo atterraggio. Mario Gabola, suona come si trattasse di respirare: non è il caso di citare le microfrequenze di Nperign ma d'interpellare l'uso del dittongo e della punteggiatura. Si tratta di far parlare svizzero un pigmeo o di trasferire la gola di un tenore in un corpo di un neonato. Si tratta di operazioni puramente transitive, o d'inneschi di translazione. Prendere una cosa e portarla in un altro luogo. Se prendete una cosa e la portate in un posto dove non c'è mai stata: un posacenere in una griglia da pick-nick forse è il luogo stesso a trasformarsi; la stessa funzione dell'oggetto trasforma il posto.
Quinta nozione A/Spirale. Per caso, o mera realtà , questi tre personaggi invisibili abitano in Napoli. Ovvero sono qui, e magari non lì, dove lì sta per ovunque. Che può dire anche Limbo. oppure Caos, oppure Materia. Oppure Stanchezza, oppure Disinteresse. Ma è un caso senza caso. Potrebbero vivere in Groenlandia e farebbero la medesima cosa, o abitare a Luisville ma suonerebbero così perchè per suonare così hanno elaborato un percorso che si è frantumato fino a diventare un linguaggio coerente e preciso. E tutto ciò che si frantuma sul punto di spezzarsi rinasce dentro una nuova-carne. Che non è più nè quella carne nè un'altra carne. E` solo qualcosa che deve avere un corpo ed un luogo per esserci.
Partiti da una costola che sembrerebbe quella dei Bastro, e scivolati più per vittorie sul campo che per sconfinamento, in un disperato universo isolazionistico-improvvisativo, gli A Spirale di oggi, sono un collettivo in parte fluido, vorrei dire situazionista, se non mi suscitasse subito il vomito per la scontentezza; che si dipana più dentro l'improvvisazione live che dentro una rigida struttura di durata come un disco. Gariga è composto di 6 tracce ma si tratta a mio avviso di un'unica sezione, che Baudrillard, definirebbe della sparizione. Una scena fantasmatica, dove dei passaggi castrati si levano per seguire un corpo imprevedibile e riatterrare da dove sono apparsi. Non c'è caos, non ci sono meditazioni, non ci sono nemmeno mediazioni. Questa musica si potrebbe scomporre e decostruire ma apparirebbe molto meglio costruente di quanto non lo sia così, improvvisata. E tra l'altro, un disco a questa musica non basta. Perchè premerete play e sarà già finito ma sarà germogliato più in tutto quello che manca che in quello che c'è.
Altre parole, ma non altre voci, nel disco con Sec_. Mimmo Napolitano è un giovane rumorista che dal vivo spacca davvero. Qui suona forse con un moog, di quelli analogici, e si sente. Una via di mezzo tra Aaron Dilloway e una musica parcellizzante, mista di spine ed ibridi. Caotica e dotata di un corpo attivo, vivido ed energetico. La line-up di sotto, priva del batterista, Massimo Spezzaferro, è comunque percussiva, nel senso che ha dei materiali plastici, o rodanti che svitano e riavviano una piastrella di forma variabile, e di grana solida. I suoni, come una perfetta vibrazione mortale, mimano tutti insiemi quelli dello strumento successivo, in un gioco mimetico di frantumazione e ricomparsa fantomatica che somiglia più a certi materiali improvvisativi giapponesi che alla scuola di Evan Parker, con cui in più di un passaggio ci sono molte similitudini tenute ben nascoste e ben protette. Si potrebbe ribadire che questi suoni sono il frutto di un momento, nel senso che la loro non-riproducibilità intatta, identica, li renderebbe frutto di un caso, e quindi in buona parte dei materiali di fortuna da repertorio nutrito. Ma tutto ciò che appartiene all'improvvisazione vive di questa contraddizione insindacabile costituita dal fatto che un oggetto resta un oggetto e che catturarlo è più una prassi del tempo-corpo che della gestione livida della riproducibilità . E così nemmeno questo disco basta, così come non basterebbero tutti i tentativi di renderlo live ed imitarne i contenuti. Sono suoni possibili; la nolo necessità si trova esterna e solitaria ai medesimi. In questo c'è più tragedia che musica.
Un'ultima parola voglio dedicarla al concetto di spazio che per questi due dischi trova una nuova collocazione. Ascoltare questa musica in buona parte comporta pensare uno studio stretto con dentro delle persone che se cercassero la spazializzazione e la distanza non la troverebbero certamente dall'ambiente in cui suonano. A questo proposito voglio dire che sebbene in questi materiali manchi, una mente ricollocatrice ed esatta come quella di Valerio Tricoli, che avrebbe giovato moltissimo alla produzione di dischi come questo, gli A spirale, la spazializzazione la ricavano dal mentale: i loro suoni sono aggregazioni monocrome, quasi tunnel visibili, ma che s'incastrano in un'apertura serrata e sformata da cercare il senso dello spazio al di là ella disposizione di missaggio. In estensioni, di braccia, di tubi, di busto, di spazi che s'infrangono.
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