A seguire un eccellente disco d'esordio, il chitarrista francese (ex Cheval De Frise) evolve verso scenari ancor più introversi con questo secondo CD prodotto su un proprio marchio creato alla bisogna (la cui denominazione è tutto un programma). E sia l'aspetto spartano della confezione sia l'evoluzione autistica mostrata nei concerti più recenti riflettono sicuramente una sua scelta di vita estremamente `waldeniana`. Se nel disco precedente era individuabile soprattutto un`attenzione rivolta alle armonizzazioni, qui Bonvalet sembra concentrarsi più nei singoli suoni e nelle rispettive risonanze, in una ricerca che sembra essere essenzialmente di tipo timbrico. Ne esce fuori un lavoro forse più frammentato del precedente (ma anche più vario) dove la divisione in sette piste appare più che altro un espediente tecnico mentre nella realtà il tutto si suddivide in ben più numerosi microframmenti. Cogli l`attimo, questo sembra essere al momento il suo credo principale. Un'altra differenza rispetto al CD precedente sta nel rapporto fra suoni strumentali (pochi tocchi di chitarra, banjo o armonica) e rumori accessori (metronomo, battito di piedi ed altro) che si è considerevolmente riequilibrato in favore di questi ultimi, fino all`apertura verso territori decisamente noise. Nelle esibizioni il confronto con certa improvvisazione gestuale francese è inevitabile, seppure la sua gestualità sia una necessaria conseguenza del suo specifico modo di suonare o di rapportare il suono prodotto dall`azione diretta sullo strumento alle risonanze ed al silenzio. Un punto nodale in tutto ciò pare avere un nome ben preciso, quello di Derek Bailey, anche se l`approccio di Bonvalet appare allo stesso tempo più tecnico e più `visceraneo` rispetto a quello dello scomparso chitarrista inglese. Il messaggio mi pare chiaro: Thomas Bonvalet, a dispetto del poco successo di pubblico riscosso nell`immediato, è uno di quei musicisti destinati ad essere ricordati a lungo negli ann(al)i a venire.
|